Un’azienda, tre anime e nuove sfide. Gianni Tessari non è certo un “novellino” nel mondo del vino, ma nel 2013 è, in un certo senso, ripartito da zero.
Classe 1963, Gianni Tessari nasce e cresce nell’azienda di famiglia, la Ca’ Rugate, riuscendo anche a raccogliere vari riconoscimenti, come 14 “Tre bicchieri” del Gambero Rosso, concentrandosi sul Soave, sua zona di origine. Ma lavorando anche sui vini dei Colli Berici e, successivamente, anche sull’area dell’Amarone.

Il Metodo Classico in affinamento
Nel 2013, come detto, la svolta. O meglio, l’avventura in solitario: nasce l’azienda
Giannitessari a Roncà. Sempre
Soave, con un legame indissolubile alla sua terra d’origine, e ancora
Colli Berici, zona che ha imparato ad apprezzare per la realizzazione di vini rossi, in particolare il
Tai. E poi la sfida: il
Durello. Le bollicine. In questo caso,
Gianni Tessari ha acquistato la
Marcato, azienda storica della zona, e da allora ha cercato di dare una propria impronta decisa ai vini da realizzare.
Partiamo proprio dalle bollicine: il Durello (che ricordiamo viene realizzato con l’uva autoctona Durella), per diventare un grandissimo spumante Metodo Classico, ha bisogno di tempo. Tanto tempo, probabilmente più di qualsiasi altro spumante realizzato in Italia. Tanto che Tessari lo presenta in tre versioni: il 36 mesi, giustamente definito giovane, il 60 mesi, dove finalmente il Durello riesce ad acquisire una maggiore complessità ed equilibrio, e il 120 mesi, dieci anni di attesa per capire l’evoluzione definitiva di questo vino.
«Avendo acquisito l’azienda nel 2013 – spiega
Tessari – ho effettuato una selezione attenta di quello che era già presente in cantina, scegliendo quali annate e quali bottiglie saranno poi messe in commercio dopo il lungo periodo di affinamento». Al momento, sui 55 ettari di vigneto complessivi dell’azienda (distribuiti nei comuni di Roncà, Soave e Sarego), circa 6 sono dedicati al
Durello, del quale viene realizzata anche una versione
Charmat.
Il 36 mesi è tutta “farina del sacco” di Gianni Tessari (la vendemmia di riferimento è infatti la 2014), con sboccature recenti, visto che «ne facciamo circa 3 o 4 all’anno». Il vino che forse ci ha più colpiti è comunque il 60 mesi, dato il grande equilibrio che è stato creato con il tempo. Il 120 mesi è un vino comunque vivo e freschissimo, provato con due sboccature diverse: una recentissima (annata 2008) e una di due anni (annata 2006).

La "sfida" tra le bollicine
Soprattutto il
Durello non ha sfigurato in un confronto, rigorosamente alla cieca, che si è svolto all’
Osteria del Durello, dove le varie versioni del
Metodo Classico della
Giannitessari sono state affiancate al
Franciacorta Blanc de Blancs di
Cavalleri,
al Blanc de Noirs Brut 2010 di
Heymann-Löwenstein dalla Mosella, al
Trentodoc Riserva del Fondatore Giulio Ferrari Extra Brut 2007 di
Ferrari e allo
Champagne Blanc de Blancs Extra Brut 2006 di
Bruno Paillard. Senza contare un fattore molto importante: il grande rapporto qualità/prezzo.
Come detto, il legame con il territorio d’origine resta molto forte: ne è un esempio il logo dell’azienda, con un disegno stilizzato che riproduce la chiesa di Brognoligo, la frazione di Monteforte d’Alpone dove è nato Tessari. Bene, il Soave resta un vino fondamentale per l’azienda, in particolare con i due Cru: il Monte Tenda e il Pigno.

Gianni Tessari presenta i suoi Soave
Il primo (abbiamo assaggiato l’annata 2017) risulta molto elegante e fresco: vitigni su terreni calcarei, 80%
Garganega e 20%
Trebbiano, spicca soprattutto per un’aromaticità intensa ma non invadente. Il
Pigno, invece, è un
Soave un po’ più “muscoloso”, ma che mantiene comunque una buona finezza. I terreni vulcanici dai quali proviene gli danno certamente un profilo aromatico più ampio, e a questo vanno aggiunti anche una vinificazione in legno e un affinamento di un anno in botti, delle quali il 60% circa barriques: assaggiandolo nel tempo (annate 2017, 2015 e 2013) si nota come possa ben esprimersi nell’affinamento in bottiglia.
Ma non è finita qui: perché Gianni Tessari ha voluto anche fare un vino volutamente “non nelle sue corde”, o meglio, un po’ più lontano dal suo stile. Il ribelle in questione si chiama appunto Rebellis, ed è realizzato con il Solaris, un vitigno Piwi, acronimo di Pilzwiderstandfähig, che significa vitigno resistente alle malattie. «Ne ho un ettaro e mezzo – spiega – Ho sempre sposato la ricerca sugli incroci naturali e sulla possibilità di utilizzare questi vitigni resistenti. Da un punto di vista agronomico sono sicuramente molto interessanti e fanno molto riflettere».

Gianni Tessari e la moglie Anna Maria con una selezione dei vini dell'azienda
Il
Rebellis 2017 è decisamente “ribelle” rispetto allo stile di
Gianni Tessari, forse un po’ troppo grasso e pieno, mentre il 2018, assaggiato in assoluta anteprima, sembra più aggraziato ed elegante, oltre che molto piacevole. Certo, si tratta dei primi esperimenti e, come ha spiegato
Tessari, «c’è ancora tanto da capire a riguardo di questi vitigni». La pazienza, in tal senso, non manca.