Può un singolo piatto far emergere già da solo l’inatteso talento di chi l’ha prima pensato e poi preparato? Probabilmente sì, a patto che sia un boccone fulminante, di quelli dei quali ci si innamora immediatamente per autenticità della materia prima, eccellenza di costruzione, armonia al palato, chiarezza di concetto. Come questa Testa di tonno in cassetta che ancora ci coccola le papille e ha vinto poche ore fa la Tuna Competition, ossia la tradizionale sfida tra nazioni a colpi di tonno rosso local alla diciannovesima edizione del Girotonno che si sta chiudendo a Carloforte, isola di San Pietro, Sud-Ovest della Sardegna.

Alcuni membri della giuria tecnica: da sinistra Roberta Garibaldi, Gavino Sanna, Cristina Viggè e Carlo Passera
A decidere che proprio
Testa di tonno in cassetta fosse di gran lunga il piatto migliore è stata una giuria presieduta da
Chiara Maci e della quale ha fatto parte anche chi scrive (alla finalissima tutti “10” sulle palette di voto, un plebiscito); e ci sarebbe potuto essere un poco d’imbarazzo, nell’attribuire tale consenso unanime in quanto assegnato alla squadra italiana (la cucina non ha bandiere e quindi certo non volevamo passare per gastronazionalisti, di questi tempi poi…) se solo a metterci tutti d’accordo non fosse stata l’assoluta eccellenza della preparazione, la soavità dei tocchi che la caratterizzano, la pulizia mentale di chi l’ha ideata che si riflette nella sua realizzazione.
CHI SONO I VINCITORI

Simona Baila e Federico Durzu in tenuta da mare davanti a una barca di Carloforte Tonnare
E allora, andiamo a scoprire chi sono gli artefici di questa bontà. Italiani, si diceva. Anzi, sardi doc. E giovanissimi, 55 anni in due. Una ragazza e un ragazzo, solari e increduli.
Lei è Simona Balia, classe 1995, originaria della vicina isola di Sant’Antioco. Studiava Biologia a Sassari quando è stata folgorata dalla passione per la cucina, iscrivendosi così alla Coi - Accademia Enogastronomica fondata da Roberto Petza a Baradili. Da lì esperienze varie, come a Palazzo Doglio del Forte Village, al bistrot cagliaritano Babeuf, persino in un ristorante giapponese-autentico sempre sull’isola, ma l’indirizzo più blasonato è stato il Qafiz sull’Aspromonte, con Nino Rossi, cinque anni fa. Ora è rientrata a casa, lavorerà presto con Achille Pinna al Da Achille proprio a Sant’Antioco.
Balia, selezionata per rappresentare l’Italia a questo Girotonno 2023, ha pensato di farsi affiancare da un collega quasi coetaneo, che aveva conosciuto quando era allievo, come lei, all’Accademia Coi. E ha chiamato allora Federico Durzu («Perché? Perché è bravissimo!»). Lui, cagliaritano classe 1994, attualmente è responsabile della panificazione al Reale Casadonna con Niko Romito, «ma d’accordo con lo chef mi son messo in ferie lunghe. Sto cercando un posticino nel capoluogo per aprire un locale tutto mio, anche piccolo perché voglio fare tutto da solo, e mettermi così alla prova. Penso a una cucina povera, semplice, di prodotto sostenibile e stagionale: pochi piatti ben eseguiti, per una tavola accessibile a tutti». Anche in questo caso è un torrare a domu, dopo aver tanto girovagato: nel suo curriculum non c’è solo l’Abruzzo di Niko, ma anche Londra e Berlino, persino il Messico, oltre che la Alghero di Cristiano Andreini.
IL PIATTO

Testa di tonno in cassetta
Testa di tonno in cassetta vede questo quinto quarto di pesce incontrare elementi gustativi che gli si sposano alla perfezione: glassa di cipolla, fondo bianco di tonno, insalata di campo, vinaigrette alla sapa di fico d’India. «L’idea – ci spiegano i suoi due autori – è stata di quella di disossare tutta la testa del tonno, a partire dal collare, poi la guancia, la parte superiore e persino la lingua, molto carnosa. Abbiamo quindi marinato con limone, maggiorana e finocchietto selvatico raccolti da noi; abbiamo composto in vaschette di alluminio questi pezzi di tonno, tagliati grossolanamente in modo che ognuno poi risulti al taglio distinto dall’altro. E abbiamo aggiunto, in mezzo a questo mosaico di tonno, dei fichi canditi e delle mandorle tostate. Quindi abbiamo compattato un po’ con del fondo bianco di tonno, in modo da aggiungere altro collagene, chiuso sottovuoto e cucinato a 60°, senza altri odori che non fossero già quelli della marinatura».
Ma, al di là delle mandorle, che sono già una chicca preziosa a dare croccantezza e rotondità al piatto, quest’ultimo si caratterizza per altri tre tocchi davvero magistrali. Il primo, il fondo ristretto di cipolle che va a glassare la terrina, deriva dalla tecnica romitiana dell’Assoluto di cipolle (dunque cipolle cotte sottovuoto in soluzione di sale, aceto, vino, olio e zucchero, poi strizzate e filtrate. Da 20 venti chili di ortaggi, 200-300 grammi di liquido, in sostanza la loro pura essenza), una sventagliata di dolcezza aromatica all’inseguir l’umami; poi, ancor di più, l’insalatina di erbe fresche di campo (nasturzio, finocchietto, rucola selvatica, germogli di carota selvatica…) che regala freschezza vegetale e note amarostiche, condita poi – per un’acidità rotonda e fruttata - con una vinaigrette di aceto di melograno e sapa di fico d’India, rarissima da trovare, «c’è l’ha fornita Achille Pinna da Sant’Antioco». Infine, il terzo tocco brillante: il piatto prevede anche un trancio di panfocaccia realizzato con farina tipo 1 e grano saraceno, con prefermento di biga con 24 ore prima e poi ulteriori 48 ore di lievitazione, «volevamo ispirarci alla focaccia carlofortina, che poi è quella genovese (i legami storici tra l’isola e Zêna son ben noti, no?): quindi impasto molto idratato, con olio evo, e il saraceno per dare profumo in più».
La terrina è stata idea di Simona, i condimenti e il pane di Federico: l’esito è unitario, un piatto armonico, territoriale, raffinato, intelligente, persino pratico da realizzare (han dovuto impiattarne oltre 150 porzioni in pochi minuti, tra giuria tecnica e giuria popolare del Girotonno). Non sfigurerebbe in un due stelle. E inneggia anche alla sostenibilità.
ALTRE BONTÀ 1: ULTERIORI ASSAGGI ALLA TUNA COMPETITION

Degustazione del piatto di Roberto Okabe, secondo classificato

I concorrenti di Girotonno 2023: rappresentavano Italia, Marocco, Giappone, Messico, Argentina e Portogallo
La finalissima di ieri sera ha visto l’Italia trionfare contro l’altra nazione qualificata per l’ultima sfida, ossia il Giappone rappresentato da
Roberto Okabe, chef del
Finger’s Garden di Milano; molto dritto, austero e didascalico il suo
Maguro tataki Okabe style, ossia un ventaglio di tonno (filetto e ventresca, ad aumentare di velluto) con rapa bianca grattugiata, wasabi fresco e perle di buccia di mandarino giapponese al ponzu. A noi han convinto molto altre due preparazioni. La prima, cui infatti è andato un premio speciale della giuria per l’originalità dell’idea: le
Tostadas de carnitas della coppia messicana formata da
Diana Beltran Cassarubias (ristorante
La Cucaracha, Roma) e
Rodrigo Zepeda Sánchez (chef dell’ambasciata messicana in Italia); piatto quasi spericolato, molto coraggioso, una sintesi ben riuscita di piccantezza, acidità, dolcezza, freschezza date dal tonno rosso in due cotture separate da tostada di mais nero a regalare note tostate, più l’aromaticità di arancia, cipolla rossa di Tropea, lime, avocado (a conferire grassezza, con lo strutto di maiale usato per la cottura del tonno), melograno, alloro, timo, maggiorana, cannella, pepe, coriandolo, aglio.
Piatto buonissimo, con un unico difetto: la ricchezza di sapori del “contorno” si mangiava un po’ il tonno. Al contrario, il Tonno tangia con crema di melanzane affumicate valorizzava al massimo il tonno rosso di Carloforte, in filetti belli spessi e cotti alla perfezione, ossia poco, uniformemente e con perfetta scottatura esterna, poi la nota croccante della pastilla sbriciolata e l’aromaticità del limone in conserva, del cumino e dello zafferano – infusi in una salsa di pesce - ma tenuta a bada, dosata per ottenere il giusto bilanciamento. Problema: la crema di melanzane affumicate? Non pervenuta al palato. Gli autori? M Bark Belmissi e Jawad Sarih, entrambi in forza al Four Seasons Resort di Marrakech. (Nota bene: la tangia è un recipiente di argilla per la cottura, tipico di Marrakech e qui usato per la preparazione della salsa di pesce; è da non confondere con la tajine).
ALTRE BONTÀ 2: IL TONNO STAGIONATO 25 ANNI (E PiÙ)

Luigi Pomata mostra un suo tonno invecchiato 25 anni ancora nella latta appena aperta e sgocciolata
A margine delle gare al
Girotonno, tutti al
Da Nicolo, il ristorante del padre di
Luigi Pomata, per qualche assaggio speciale. Compreso quello, ancora una volta incredibile, del tonno rosso “a lunga conservazione”: ossia inscatolato dallo chef carlofortino e poi dimenticato anni, anni e anni, anche 30, ormai anche 35 («Di quest’ultimo me ne rimangono ormai solo due confezioni!»). Noi avevamo assaggiato anni fa, e siamo tornati a gustare qui, quello che matura da 25 anni, condito giusto con un goccio di limone, scagliette di fior di sale e buon olio evo marchio
Pomata (lo produce
Antonello, fratello di
Luigi): all'assaggio, il boccone si rivela scioglievole, intenso e delicato insieme. Delizioso. Assomiglia - non per aroma, per texture - al wagyu (d’altra parte viene utilizzata solo la ventresca di tonni dai 300 chili in su, quindi ricchi di grasso), ma non lascia quella patina vagamente oleosa al palato, pare una magia. Ma di questa eccellenza assoluta avevamo già
parlato più diffusamente qui. Valore? Diciamo inestimabile, e comunque non è in vendita.
ALTRE BONTÀ 3: IL TONNO ROSSO DI CARLOFORTE TONNARE

Le antiche tonnare di Carloforte
Girotonno è Carloforte, e Carloforte è la sua tonnara per eccellenza, l’unica e ultima in Italia (e senza eguali nell'intero Mediterraneo) a gestire una filiera completa che va dalla pesca del tonno di corsa, alla trasformazione in conserve sott’olio, fino alla commercializzazione. Storia incredibile: come noto, Carloforte si caratterizza su una rotta di peregrinazioni da Nord a Sud e poi di nuovo a Nord, è un'area ligure per lingua (e gastronomia: la focaccia è quella genovese, il pasticcio carlofortino è una pasta condita con tonno e pesto…) in quanto l'isola di San Pietro fu colonizzata nel 1738, dopo secoli di abbandono, da pegliesi, ossia genovesi del borgo di Pegli ma provenienti da Tabarka, isola oggi collegata alla costa tunisina, dove erano emigrati nel 1542 per dedicarsi alla pesca e al commercio del corallo. Questi “tabarchini” presero a fare lo stesso a Carloforte. La tonnara non fu però una loro trovata, bensì di
Pasquale Pastorino, discendente di un famiglia (genovese), quella dei banchieri
Vivaldi, che già due secoli prima aveva ottenuto dal re di Spagna, sotto il cui dominio versava l’isola, il monopolio della pesca, trasformazione e commercializzazione del tonno di Sardegna.
Pastorino creò l’attuale tonnara di Carloforte nel 1890; e gli attuali diretti discendenti, che non si chiamano né
Vivaldi né
Pastorino, ma
Greco (
Salvatore il papà,
Giuliano, Pier e
Andrea i figli), sono dunque depositari di una tradizione nata nel 1654, secolare, di gesti, cultura, sapienza e impresa.
La Carloforte Tonnare Piam perpetua i riti della “tonnara fissa”, che lavora con metodo artigianale; non c’è più l’antica e cruenta mattanza, bensì sistemi mutuati anche dai maestri giapponesi per ottenere un prodotto ineguagliabile. Qui vengono trattati solo magnifici tonni rossi “di corsa” pescati direttamente a meno di un miglio di distanza dalla costa; in parte vengono poi commercializzati freschi all’alta ristorazione e in tutto il mondo, ma il fiore all’occhiello sono gli inscatolati – tonno rosso, ventresca, tarantello, briciole e buzzonaglia, si acquistano qui – che sono vera prelibatezza (non è sbagliato dimenticare la ventresca in cantina per anni e anni: non fa che migliorare, come dimostra Pomata). La migliore materia prima in assoluto, pescata e confezionata con il miglior metodo in assoluto.