A volte veniamo assaliti da un dubbio: ma ha senso la nostra battaglia? O siamo come dei Don Chisciotte, destinati a sbattere contro la realtà? Ossia: ha senso raccontare - e quindi propagandare - i luoghi del gusto dove si fa cucina di qualità; dove s'innesta un rapporto virtuoso col territorio; dove si selezionano grandi materie prime, che poi vengono rispettate in cucina; dove ci cerca di onorare la tradizione, apportando però tutti gli accorgimenti necessari per crearne una nuova? O deve valere la logica dei grandi numeri, stile all you can eat? Ci si arrovella. Poi ci si ritrova in posti come il Mirepuà, e tutte le incertezze vengono spazzate via.
Mirepuà sta, dal 3 aprile 2019, a Il Cascinone, una delle principali tenute dell'Acquese. Siamo sulle colline dell'Alto Monferrato, l'azienda conta centodue ettari in corpo unico, dei quali 45 vitati, all’interno del comune di Acqui Terme (che però dista più di 8 km), in una delle zone più vocate alla produzione di Barbera d’Asti. Attorno, solo campagna.

Tavolo con vista sui vigneti
Prima dell'inaugurazione del
Mirepuà, in queste stesse stanze trovava albergo uno dei tanti ristoranti classici della zona, quelli col carrello infinito d'antipasti, la solita sbobba di sempre realizzata così così, il prezzo un tanto al chilo. «Noi abbiamo invece pensato di svecchiare questo modello, e plasmarne una versione contemporanea. Cerchiamo di fare il nostro lavoro, senza mai strafare, perché siamo assolutamente rispettosi delle radici gastronomiche locali».
A parlare è Federico Ferrari, di professione chef, che con la socia Gaia Fassone, genovese classe 1989, ha appunto creato Mirepuà. Federico è a sua volta genovese e classe 1989. Si è diplomato all’Istituto Alberghiero Nino Bergese di Sestri Ponente, dove la sua passione per la ristorazione ha iniziato ad assumere concretezza: «Mia nonna aveva un'osteria a Genova, con la zia di mia mamma. Ho insomma sempre mangiato bene a casa, e la tavola mi ha sempre affascinato. All'inizio non pensavo al fine dining. Ma poi ho preso a lavorare in Versilia, in Liguria, dopo anche all'estero...». Neiprimi anni è stata fondamentale l'esperienza da Cesare Giaccone, dove Ferrari ha imparato l’arte della tradizione e della semplicità e ha capito inoltre l’importanza fondamentale della selezione degli ingredienti e del rapporto con i fornitori locali. Poi Londra, la Danimarca, gli stage da Enrico Crippa, Riccardo Aiachini, Matias Perdomo...

Gaia Fassone e Federico Ferrari
L'esito di questo
cursus honorum è stato appunto
Mirepuà: prima ospitato in un palazzo di fisionomia barocca della vicina Rivalta Bormida, ora invece, apputo, a
Il Cascinone sulle colline di Acqui.
Ferrari è molto bravo, specie su un punto: riesce a modellare la tradizione piemontese in modo estremamente convincente, insieme golosa e raffinata. Voglio dire: oltrepassa il limite senza arroganza; innova, senza assumere le vesti dell'innovatore a tutti i costi, per discrezione sua propria. Prendiamo Ritorno al futuro, la versione maison dell'insalata russa (con gel di peperoni, verdure fermentate e non, tataki di tonno). O Arrosto crudo, altra reinterpretazione dei classici. Sono - ci perdonino i puristi - migliori dei modelli originali, perché la creatività in cucina significa esattamente far meglio del già visto, altrimenti non avrebbe senso.
Federico Ferrari ha la mano d'autore, non gliela toglierà nessuno. Spiega: «Vogliamo innanzitutto essere ambasciatori di questo territorio, su tutti i fronti: quindi nella carta dei vini, nell'utilizzo degli ingredienti in cucina, nella scelta di piatti che si colleghino con la tradizione locale...». Si crea da solo il km 0,
Federico: «Il 60% delle verdure è autoprodotto, il resto me lo fornisce un ragazzo che lavora a 10 minuti d'auto da qui. Oggi non potrei più fare a meno dell'orto, dei formaggi territoriali, della carne che prendiamo alla vicina San Desiderio, dove c'è un allevamento con macello...».
Il dato di fondo è: al Mirepuà - come dall'esimio Davide Palluda, tanto per azzardare un paragone - non si gusta una cucina piemontese museale, ostaggio di sé stessa. Ma una sua interpretazione contemporanea assolutamente convincente.
E ora vi raccontiamo il nostro pasto, grazie alle foto di Tanio Liotta.

Macaron con paté di trota e le sue uova

Ciliegie marinate in aceto di vino

Ritorno al futuro: "insalata russa", gel di peperoni, verdure fermentate e non, tataki di tonno. Un'interpretazione davvero convincente di un classico piemontese

Asparago, cervella, carbonara. Il finto asparago è di mousse di cervella al limone con glassa di asparago, poi salsa carbonara (pecorino, tuorlo marinato, guanciale, panna), salsa olandese al limone e timo, tuorlo marinato, asparago crudo

Arrosto crudo, siamo ancora nel campo della reinterpretazione dei classici: qui un carpaccio di fassona marinato nell'olio di arrosto e con tartufo nero estivo. L'approccio di Ferrari è sempre molto rispettoso della tradizione, ma dritto sulla contemporaneità

Anima mia: animella di vitello, crema di zucchine, curry verde, menta, fondo bruno, zucchine marinate

Eccellente questo Bon-Bon: gnocchi di zucchine trombetta al vapore, gamberi crudi di Mazara del Vallo, limone candito, ristretto di pesca allo zafferano e pomodoro

Il Plin del vicino: è plin vegetale (ripieno di sedano, carote, cipolle, melanzane, zucchine) con un fondo vegetale tirato secondo tradizione

Alti livelli con Madame Faraona: il petto farcito con guanciale e salvia, la coscia in panura aromatica, il suo fondo, la brûlée di fegatini, il collo ripieno alla genovese. In quest'ultimo elemento l'unico problema, altrimenti sarebbe un piatto perfetto: la pelle è un po' troppo cruda

Sorprendente l'Impepata di coppa, una coppa di maiale con salsa al pepe, uva e friggitelli. Godibilissimo, pulito, armonico, azzeccato

Limone cioccolato: cupola di limone e lime, cuore di cioccolato fondente 100%, polvere di cioccolato 78%, limone fermentato

Notti al Bar Dante: semifreddo alle arachidi salate, biscotto al cacao, namelaka di Ivoire Valrhona e lime, gel al Campari