"Vale il viaggio" non è solo un modo di dire. Ci sono ristoranti che il viaggio lo valgono più di altri, se non altro perché quel viaggio porta in un posto un po' sperduto, che difficilmente sarebbe una meta di per sé. È il caso di Cucina Rambaldi, che il viaggio lo vale sicuramente, sulla strada che conduce a Villar Dora, un comune della Val di Susa che è un avamposto per la montagna, ma che da anni è anche una destinazione gastronomica. Merito di Beppe Rambaldi, cuoco che un tempo fu il braccio destro di Davide Scabin, ma che da anni è molto altro, dopo che la sua vita - e la sua cucina - si sono spostate in provincia, convincendo i torinesi a seguirlo, nonostante qualche chilometro di distanza. Una sala piena, dal gusto personale e da un'atmosfera piacevolmente familiare, si riempie ogni sera, in quello che è un piccolo prodigio che solo i più bravi sanno fare: non importa dove vai, se sei bravo, e se hai personalità, il tuo pubblico ti seguirà.
Da Beppe Rambaldi si viene per assaggiare piatti che sono al contempo tradizionali e creativi, rassicuranti e spregiudicati, piemontesi ed emiliani. Piatti buoni, soprattutto, in una sala in cui ci si sente raccolti e coccolati, mentre dalla cucina a vista escono creazioni divertenti, adagiate su porcellane da servizio buono di una volta. Si parte con "i lenitivi", tapas sfiziose che preparano a quel che viene dopo: c'è l'Emilia e la cucina di casa nello Gnocco fritto, tartufo e mortazza, un boccone di pura goduria, e c'è l'estro sorridente del Tacos di gamberi e curry, da mangiare rigorosamente con le mani. C'è la classicità rivista dell'Ostrica agli agrumi, o quella del Vol au vent di fegato alla veneziana. Gusti importanti, che stanno a metà strada tra il mangiare di trattoria e quello dei grandi ristoranti di una manciata di anni fa.

Kebab vegetale da Cucina Rambaldi
Ed è esattamente così, su questa doppia strada percorsa in parallelo, che prosegue la cucina di
Rambaldi. La proposta si dirama in due menu degustazione diversi: il "Piola tour" (65 euro), piemontesissimo, riprende la tradizione degli antipasti misti del territorio per poi proseguire con i
Tajarin alle creste in finanziera (dove nella pasta un po' più spessa della regola
Rambaldi tradisce le sue origini emiliane) e con la
Guancia di vitello brasata con purea di patate di montagna. Vale la pena però di lasciare lo chef libero di divertirsi con il suo menu degustazione (85 euro), che conta nove portate che viaggiano un po' ovunque, dalla Francia della
Madeleine di funghi porcini con baccalà e arancio all'Oriente dell'
Essenza di ramen, e dai sapori solidi del
Cuore in salmì alle trovate scherzose del
Tequila, sale e limone.
Quando si viene qua per la prima volta può aver senso anche scegliere dalla carta, magari pescando tra gli Imperdibili. Anche in questo caso ci si diverte, e si salta qua e là tra la tradizione (il Vitello tonnato alle due maniere, per esempio) alle sorprese (come la Margherita + acciuga, che non è nulla di quello che promette d'essere). E poi ci sono i Cappelletti in brodo di gallina, che sono forse uno dei motivi più validi per arrivare in questa cascina familiare, così come la Salama da sugo con purea di patate di montagna, tanto semplice quanto potente.
La capacità di
Rambaldi sta proprio nel mescolare bene le due anime della gastronomia, quella alta e quella quotidiana, per solleticare le idee degli ospiti rassicurandoli al contempo: il risultato è sempre piacevole, e la voglia di tornare, macinando i chilometri che separano Torino da Villar Dora, sempre tanta.