«Applicheremo la filosofia dei piccoli passi, ossia costruiremo poco a poco, senza fare troppi errori. Come mi sento? Mi sento come quell'uomo, che appare minuscolo in mezzo ai giganti: le montagne, la natura, le nuvole», e nel dirlo indica una grande fotografia alla parete in fondo, ritrae una figura maschile solitaria tra picchi e brume, opera di Gustav Willeit, I viandanti solitari (2017). È un po' teso, Alfio Ghezzi, e c'è da capirlo: da lì a pochi minuti dovrà dare l'avvio al primo servizio del suo nuovo Senso - Alfio Ghezzi, all'interno del Mart di Rovereto, «e siamo in piena emergenza». Quattro ragazzi in brigata, «uno ha avuto un piccolo incidente l'altro giorno, l'altro sta male», personale di cucina dimezzato, insomma; e anche quello di sala, altre quattro persone, registra un'assenza subito all'esordio.
Inquieto,
Ghezzi si aggira come un lupo tra cucina e sala, dove saluta gli amici venuti a trovarlo, con fare cordiale ma nello stesso tempo nervoso, il sorriso un po' tirato di chi sta conversando amabilmente ma nello stesso tempo si chiede cosa mai starà accadendo ai fornelli in quel momento. Non è paura, intendiamoci, ma la tensione tipica prima che inizi una competizione; circostanza alla quale lo chef è peraltro abituato, diventa adrenalina buona, lui è l'
iron man tra le toques, se c'è una competizione sportiva e lui è iscritto (e lui
È iscritto) prevale senza problemi, come la storiella del calcio "che è quel gioco che si gioca undici contro undici, e poi vince la Germania" (leggi
Barcolana Chef a Trieste, vince sempre Alfio Ghezzi o
Il montanaro Ghezzi padrone del mare o ancora
Il volo di Alfio Ghezzi sulle Alpi...).
Certo, questa volta la sfida è tosta: dopo essere stato il numero due di
Andrea Berton e dopo quasi dieci anni di
Locanda Margon,
Ghezzi si è lanciato in una nuova avventura "senza paracadute", per così dire: due anime moltiplicate per due, ossia l'
Alfio Ghezzi Bistrot (insegna di cucina più informale) e
Senso - Alfio Ghezzi (il gastronomico) entrambi al
Mart - museo d'arte contemporanea di Rovereto, aperti al pubblico da ieri; si replicherà dal maggio 2020, stessa doppia formula, al nuovo
Eala di Limone sul Garda, hotel cinque stelle lusso in fase di costruzione (via IV Novembre 86, Limone sul Garda, Brescia. Tel. +39 0365 954613,
ealalakegarda.com).

Qui sorgerà il nuovo Eala
Alfio, ci racconti cosa farai dunque in questo prossimo 2020? «L'
Alfio Ghezzi del 2020 è quello che inizia una fase nuova dopo tappe importanti, con
Berton prima e dopo aver interpretato a lungo la filosofia della famiglia
Lunelli. È un percorso, un'acquisizione di maturità che credo arrivi nel momento giusto, non troppo presto né troppo tardi. Infatti sono contento».
L'idea è quella di proporre - lo abbiamo visto - due tipi diversi di cucine: «Una declinazione più informale e "democratica", che amo moltissimo, e poi l'altra più esperienziale, che ha a che fare con il pensiero gastronomico. Un altro elemento che mi piaceva era il poter replicare queste cose, non all'infinito ma per avere dei luoghi diversi, in modo da creare un percorso coerente, che abbracci tanto il lago quanto la montagna», dunque Rovereto e Limone sul Garda, «dove stanno lavorando sodo, la famiglia proprietaria è molto precisa e organizzata, credo saranno rispettati i tempi - opening appunto a maggio 2020 - e ho già creato il mio gruppo di lavoro».
Saranno nelle intenzioni di
Ghezzi copia l'uno dell'altro, Rovereto e Limone. Con le rispettive due offerte, «nel bistrot parleremo anche del lago, della pesca e della cucina tipica nella sponda bresciana del Garda, non ci limiteremo al mio Trentino delle montagne». E, sempre a proposito del (o dei) bistrot, aperti solo a pranzo, ci sarà anche la pizza, un esordio di
Alfio in un mondo «del quale sono stato sempre un grande fan». Racconta: «Abbiamo una piccola proposta
all day che comprende anche la pizza appunto. Niente stile napoletano: una alla pala - sorta di schiacciatina - e l'altra nel ruoto. L'ospite non sceglie il condimento: la prima sempre con stracchino e cotto
Branchi, la seconda con pomodori secchi, stracciatella e pesto».
Aneddoto: per imparare l'arte, Ghezzi è anche andato da Crosta a Milano, «da Giovanni Mineo e Simone Lombardi, uno un gran fornaio-pensatore e l'altro un caro amico da tanti anni, che ha saputo dire la sua nel settore». Oltre alle pizze, quattro panini, tre lievitati dolci e altrettante torte da credenza, «più il mio frigorifero d'eccellenza» e indica una cella refrigerata dietro alla quale riposano meraviglie, apre lo sportello e fa annusare il profumo inebriante: sono quattro meravigliosi salumi, lo speck di Tito Speck, la soppressata di Giannarelli, il lonzino di Simone Fracassi, la bresaola di Panatti, poi formaggi di malga e la giardiniera maison. Poco distante c'è anche in vendita «la mia nuova linea di conserve, che abbiamo chiamato Antologia: crauti, susine di Drena, rabarbaro...».

La sala. Foto Jacopo Salvi
Questo per quanto riguarda l'offerta bistrot. Ma il gastronomico? «Avrà sempre un menu fisso, niente alla carta, sette portate con la possibilità di scegliere tra tre main course, secondi piatti (nel nostro caso capriolo, animella o faraona)». Ma cosa cambia rispetto al
Ghezzi del recente passato? «Abbiamo scelto di togliere le sovrastrutture. Già prima ho sempre cercato di farlo, da buon cuoco di stampo marchesiano. Qui ancor di più: concretezza, semplicità, essenzialità.
Marchesi direbbe "senza troppe seghe mentali". Cerchiamo di concentrarci sul gusto ma anche sul contrappunto aromatico ovviamente. È importante che nel piatto ci sia un tono, sempre riconoscibile. E gli ingredienti saranno solo italiani».
A proposito di
Marchesi, gran amante dell'arte: gli sarebbe piaciuto questo rapporto continuo - che diventa interscambio - col
Mart. «È uno degli elementi che ci caratterizzerà. Avremo sempre un piatto dedicato a una mostra temporanea ospitata dal museo». L'inizio di questo connubio è stato così: «Giovedì scorso c'era l'opening della
retrospettiva dedicata a
Isadora Duncan. Era circa mezzanotte e il direttore del
Mart,
Gianfranco Maraniello, e il presidente
Vittorio Sgarbi mi hanno chiamato, "perché non fai un salto qui"? C'era anche uno dei due curatori,
Maria Flora Giubilei (l'altro è
Carlo Sisi), che mi ha lanciato alcuni riferimenti molto precisi per la realizzazione di un piatto dedicato a
Isadora. Ha identificato alcuni elementi della sua figura, come la libertà sia interiore ma anche nel modo di vestire. All'epoca, siamo a cavallo tra Ottocento e Novecento, fu la prima a eliminare i bustini nell'abbigliamento, indossava invece vestiti larghi, con veli sventolanti; ballava a piedi nudi, cercava il contatto con la terra, la sabbia».
Ghezzi l'ha interpretata a suo modo: con un velo di barbabietola rossa («Dunque la terra, ma lavorata in marinatura per ammorbidirla, addolcirla») che rappresenta il famoso scialle causa anche della morte della celebre danzatrice, venne soffocata dallo stesso impigliatosi nella ruota di un'auto, a Nizza nel 1927. Lo chef ha chiamato questo piatto - con spuma di fumetto di pesce, bergamotto, crumble al cacao -
Sinuosità, «perché identifica il movimento».

Plinio Nomellini e Isadora Duncan. Gioia (Gioia tirrena), 1914 (dettaglio) - Quadreria Villa San Martino Collezione Silvio Berlusconi. È in mostra al Mart
Un'ultima domanda: ma perché hai chiamato il ristorante
Senso? «C'erano varie opzioni. Un mattino m'è venuto
senso: la cosa è partita un po' per gioco, mi ricordavo una frase di un base jumper, "
sense of flying". La parola ha iniziato a risuonarmi nella testa e mi è piaciuta, anche perché può essere interpretata in vari modi: la direzione che uno sta prendendo, i cinque sensi, il senso delle cose... E allora abbiamo sposato questa idea».
Ed ecco la nostra cena, gli scatti sono di Tanio Liotta.

Porcini e polenta, sullo sfondo Grissini di grano saraceno con maionese al rafano

Buonissimi questi Ravioli di mele, brunoise di mele marinate al Ferrari Perlè, crema di mortadella

Chips con trota, maionese di uova di trota, crescione di torrente

Wafer di semi di lino, crema di carota, lucanica e miele di tarassaco

Il piatto precedente introduce una sorta di "ode alla carota della val di Gresta" in più passaggi

Il primo è questa Corteccia di carota ripiena di crema di patate ed essenza di pino mugo. Per la corteccia si utilizza la parte della carota che in genere viene scartata

Le parti più esterne dell'ortaggio vengono utilizzate per questa Centrifuga di carota all'aneto

La "polpa" della carota, passata in forma e poi battuta, diventa Carota con crema di dragoncello

Il piatto precedente s'accompagna a una Cialda di sesamo e creme fraiche

Molto raffinati i Crauti con fegatini di pollo, olive candite e crema di coriandolo

Sinuosità, un piatto omaggio a Isadora Duncan: velo di barbabietola marinata, spuma di fumetto di pesce ristretto e leggermente affumicato, bergamotto, crumble al cacao

Spettacolari, golosissimi questi Ravioli, burro acido e zafferano di montagna. Il ripieno è di gallina ed è fantastico. «Lo facevo anche alla Locanda Margon»

Il pane diventa un piatto: Compartire, ossia pane di grano duro, il nostro burro e olio extravergine Garda Trentino Dop. Il pane è una meraviglia (lo abbiamo finito, troppo buono: croccante, aromatico, con una nota vagamente bruciacchiata...), l'olio pure, il burro è di malga ma migliorabile. «Mi piaceva l'idea di dividere un pane al tavolo, riprendendo la tradizione cristiana. E poi ormai molti cuochi si battono per ridare dignità piena al pane, è un concetto che accolgo volentieri, non dev'essere più un elemento accessorio al pasto»

Un classico di Ghezzi, un po' rivisto, delizioso: Salmerino, sedano rapa e rapanelli, con finocchietto

Capriolo in crosta di cioccolato, crema di pastinaca, fondo di capriolo e cioccolato

Animella. Da volerne ancora e ancora. Un trait-d'union tra alta cucina e fast food

Miele, noci, polline e rabarbaro. Il biscotto è al miele e noci, il cremoso al miele, la cialda al polline, il gelato di rabarbaro. Grande texture
Chiudiamo riportando alcune note sullo spazio occupato da Senso - Alfio Ghezzi:
Recentemente rinnovato negli arredi da Mario Botta insieme allo studio Baldessari e Baldessari, in dialogo con la collezione del museo che annovera alcuni tra i maggiori capolavori italiani del Novecento, lo Spazio Cafè & Ristorante del Mart è un percorso attraverso il design del XX secolo, rigorosamente made in Italy.
Gli arredi costituiscono una selezione di pezzi iconici che identificano la grande storia del design del nostro Paese: la lampada Luminator di Luciano Baldessari; la poltroncina Luisa (832) e il tavolo Cavalletto (883) di Franco Albini; lo sgabello Mezzadro e la poltrona San Luca di Achille Castiglioni; la sedia Seconda/602 e la poltrona Charlotte di Mario Botta; la poltroncina Silver, la poltroncina Uragano, e la poltrona Louisiana di Vico Magistretti; la poltroncina Ghiaccio di Piero Lissoni.
Attraverso il percorso creativo di almeno quattro generazioni di progettisti, il locale svolge il compito di servizio al pubblico e, insieme, realizza una testimonianza culturale oltre che un significativo nucleo di una nuova collezione del museo. L’allestimento è caratterizzato dalla progettazione a disegno di alcune parti e dalla selezione di prodotti ideati esclusivamente per aziende italiane. Gli ambienti si suddividono in diverse aree di ospitalità, individuate dalla tipologia di sedute, mobili, corpi illuminanti e dall’orientamento di grandi riproduzioni di immagini pittoriche che si propongono come omaggio a Gillo Dorfles, straordinario ed eclettico intellettuale, autore di fondamentali saggi sul design del XX secolo.
Senso - Alfio Ghezzi
presso il Mart di corso Bettini 43, Rovereto (Tn)
Tel. +39 0464 661375
alfioghezzi.com
Aperto solo a cena. Chiuso la domenica e il lunedì
Menu degustazione a 70 e 90 euro
Il bistrot è aperto dal martedì al sabato dalle 9 alle 19 e la domenica sera