12-04-2025

La storia del vegetarianesimo in Italia nel nuovo libro di Alberto Capatti

Lo storico analizza l'evoluzione nel nostro paese di un movimento alimentare, culturale e filosofico che ha attraversato il fascismo, il dopoguerra e il boom economico. Fino ai giorni nostri

«I vegetariani non sono un'identità unica ed epicentrica, ce ne sono di ogni forma e ne ho incontrati diversi: i mangiatori di frutta, i crudisti, i vegetaliani, che era la forma prima della nozione di vegano»: Alberto Capatti definisce così, nell'intervista che ci ha concesso, l'oggetto della sua nuova ricerca storica e culturale, contenuta nel libro Vegetariani. La storia italiana, pubblicato da Slow Food Editore (256 pagine, 18 euro, si compra qui).

Un'opera - si tratta di una pubblicazione con nuovi contenuti dopo una prima edizione nel 2016 - che affronta con rigore e profondità uno degli orientamenti alimentari più rilevanti della contemporaneità, che in Italia ha una storia lunga e articolata, meritevole di essere indagata.

Lo storico della gastronomia, primo rettore dell'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e firma fondamentale per la storia della cucina italiana, ha saputo negli anni raccontare con precisione e leggerezza le evoluzioni della nostra cultura alimentare. L'anno scorso presentavamo su queste pagine la sua Storia del panino italiano, in questo suo nuovo lavoro, Capatti traccia un percorso che va dal 1904 agli anni Settanta, mostrando come il vegetarianesimo in Italia abbia avuto radici profonde e diramazioni complesse. L'ultima parte del libro, affidata alla penna di Carlo Bogliotti, AD di Slow Food Editore, prende in esame invece gli ultimi anni del fenomeno, aggiungendo diverse considerazioni sulla sua evoluzione.

L'origine della ricerca, come racconta lo stesso Capatti, nasce da una sua precedente indagine: «All'origine c'è una storia dei vegetariani in Francia che ho scritto in un capitolo di un libro di diversi anni fa. In seguito a questo, ho voluto approfondire invece il filone italiano, con due punti di riferimento fondamentali: uno è stato il dialogo con un amico carissimo, Pietro Leemann, che come saprete nel 1989 aveva aperto a Milano il Joia, l'altro è stata una ricerca in biblioteca, in particolare alla Braidense di Milano».

Alberto Capatti

Alberto Capatti

La scoperta di un patrimonio documentale inaspettato è stata determinante: «Mentre lavoravo in quella biblioteca cercando vari spunti, improvvisamente ho scoperto che c'era un filone di libri immenso sui vegetariani e mi ci sono dedicato. Era la biblioteca della Società Naturista Italiana, fondata dopo gli anni '30 a Milano su sollecitazione, tra l'altro, del Duce. Questo filone mi ha permesso di differenziare i miei fronti di ricerca sui vegetariani». Il libro individua nella Firenze del 1906 il punto di partenza di questa storia: «Allora si decide di creare un'associazione. Perché? In Francia, ma prima ancora in Germania e in Inghilterra avevano già operato in questo senso, e l'Italia intendeva aggiornare il proprio rapporto con l'alimentazione approfondendo anche questo filone».

Chi furono i pionieri di questo movimento? Capatti spiega: «Il presidente di questa nuova associazione vegetariana era un medico. Sono i medici che, in buona parte, all'inizio del '900 intendono trovare un filone nutritivo nuovo, fondato da un lato su dei rifiuti radicali: rifiuto del tabacco, rifiuto dell'alcol, rifiuto di un ambiente inquinato dai fumi delle ciminiere e via dicendo. Ritrovare la natura, ritrovare l'orto e ritrovare una modalità di vita sana ed igienica. È su questi punti che nasce un filone vegetariano in Italia, come era nato negli altri Paesi».

Un aspetto particolarmente interessante della ricerca di Capatti riguarda il rapporto tra vegetarianesimo e fascismo, un legame che può apparire sorprendente: «Il collegamento è con il movimento naturista appunto, quella parte di vegetarianesimo che si associa negli anni '30 su una precisa sollecitazione del Duce. Questi vegetariani, io li vedo e li identifico al momento in cui dovranno fare le scelte fondamentali. La scelta fondamentale saranno le leggi razziali e poi, successivamente, il secondo conflitto mondiale. I vegetariani sono dei pacifisti. Il vegetariano non coglie assolutamente la guerra come una sorta di fattore vissuto intensamente, ma si distanzia, si allontana, è quasi un eremita all'interno di questo sistema».

Danilo Dolci

Danilo Dolci

Il dopoguerra porta nuove consapevolezze e nuove figure nel mondo vegetariano italiano: «Si arriva agli anni del boom economico. La società vegetariana rinasce con una volontà di estraniare e di lasciarsi alle spalle quello che era stato il naturismo fascista. E cosa scopre? Scopre che vegetariani sono ed erano anche coloro che vivevano coltivando la terra in posti impossibili, che si nutrivano eventualmente di una rana e di una lumaca quando la trovavano, ma che sostanzialmente erano vegetariani coatti». In questo contesto emerge la figura di Aldo Capitini, figura chiave nel rilancio del vegetarianesimo post-bellico, che stabilisce un contatto con Danilo Dolci: «Cosa fa un vegetariano di fronte ai vegetariani coatti? Il vegetariano si elimina, elimina il cibo e comincia un digiuno. E i digiuni di Capitini e Dolci saranno fondamentali per far comprendere la doppia faccia di questa situazione. Perché, fondamentalmente, i contadini erano in buona parte dei vegetariani senza saperlo e non volevano esserlo».

Particolarmente significativa è l'esplorazione del legame tra vegetarianesimo e spiritualità che Capatti sviluppa nel suo libro: «Agli inizi del Novecento il personaggio di riferimento principale per un vegetariano è Leone Tolstoj, per come ha vissuto tutta la sua vita e soprattutto per Il primo gradino, che era un libro conosciutissimo in Europa. Libro che indica nella consapevolezza del sacrificio degli animali  la molla spirituale per una nuova vita, che potesse coesistere con tutte le altre forme di vita vegetali, animali e umane. Questa scelta guida il vegetariano verso un pensiero che non è occulto, ma al contrario è un pensiero che si giustifica attraverso l'accettazione profonda di tutto il mondo che lo circonda. Questo tipo di rapporto con la vita animale è un rapporto immateriale, ma anche un rapporto spirituale in cui gli animali coesistono profondamente con noi e ci insegnano molte cose», continua Capatti.

Nel libro viene esplorato anche il non semplice rapporto tra vegetarianesimo e cattolicesimo in Italia: «Il rapporto con la Chiesa cattolica in Italia è stato un rapporto complesso che da una parte portava a un'affinità e dall'altra si distanziava con le quaresimali, col famoso agnello pasquale. All'interno del cattolicesimo, troviamo esempi che rovesciavano l'approccio romano e papale: ho amato molto la vita di Don Cassola, che a Osio Sotto, a dieci chilometri da Bergamo, fonda un orfanotrofio, inizialmente con dodici bimbi senza famiglie. Istituisce una sorta di orfanotrofio vegetariano in cui c'è la scuola, ma c'è anche l'orto da praticare, e avrà un grande successo».

Pietro Leemann

Pietro Leemann

Il libro di Capatti si conclude quindi con il contributo di Carlo Bogliotti, che completa la ricerca portandola fino ai giorni nostri: «Era molto importante non restare, come io ho fatto con la mia ricerca, agli anni '80. Il lavoro di Bogliotti è stato estremamente importante perché permetteva di arrivare giustamente a quel Pietro Leemann che io ho sempre considerato come una sorta di ideatore del vegetarianesimo milanese».

La ricerca di Alberto Capatti ci consegna dunque una storia ricca e articolata, che mostra come il vegetarianesimo in Italia abbia radici profonde, legate a movimenti culturali, spirituali e sociali, e come si sia evoluto attraversando le diverse fasi della storia italiana del Novecento. Una lettura illuminante non solo per comprendere un fenomeno alimentare sempre più diffuso, ma anche per esplorare un aspetto meno conosciuto della nostra storia culturale.


In libreria

Pubblicazioni e novità editoriali del pianeta gola

Niccolò Vecchia

di

Niccolò Vecchia

Giornalista milanese. A 8 anni gli hanno regalato un disco di Springsteen e non si è più ripreso. Musica e gastronomia sono le sue passioni. Fa parte della redazione di Identità Golose dal 2014, dal 1997 è voce di Radio Popolare 
Instagram: @NiccoloVecchia

Consulta tutti gli articoli dell'autore