10-12-2024
SantoPalato è stato pubblicato lo scorso 30 ottobre da Giunti Editore, 192 pagine, 19.90 euro. Si acquista qui
Per gli appassionati di ristorazione di qualità e di cucina d'autore, come sono i nostri lettori, i nomi di Sarah Cicolini e del suo ristorante romano SantoPalato non sono certamente una novità. La chef abruzzese, con la sua cucina che affonda le proprie radici nella tradizione giudaico romana, che celebra con gusto contemporaneo il quinto quarto, che si distingue per la sua personalità deliziosa e concreta, si è ritagliata in pochi anni uno spazio di primo piano nel panorama della ristorazione capitolina e non solo.
Ora Sarah Cicolini si racconta in un libro, intitolato proprio come il suo locale: SantoPalato, edito da Giunti, non è però un classico libro-di-cucina, o tanto meno un semplice ricettario. Le ricette ci sono, ma questo libro si propone come un'opera in cui la cucina, pur avendo un ruolo centrale, fa da filo conduttore per parlare del lavoro, della vita, delle idee e dei progetti di una cuoca, di una ristoratrice, di una donna. Per questo motivo, parlare con l'autrice significa affrontare proprio questi temi.
Sarah Cicolini fotografata da Andrea Di Lorenzo
Mettere al centro la propria storia richiede una riflessione su come raccontarsi, su cosa mostrare di sé ai lettori. Quali idee l'hanno guidata nella scelta del taglio narrativo più efficace? Citando, in un certo senso, il titolo di un libro di Allan Bay, oggi noi cuochi siamo chiamati sempre più a incarnare la figura del cuoco universale. Questo significa che il nostro ruolo non si limita al cucinare in senso stretto, ma consiste anche nel saper narrare le storie che si celano dietro i piatti, gli ingredienti e tutto ciò che ci ispira. Raccontando me stessa e il mio percorso professionale in un contesto variegato di possibili scelte, volevo sfatare l'idea che diventare chef sia una specie di piano B. Al contrario, quella del cuoco è oggi una scelta consapevole, che richiede impegno, studio e sacrificio, ma offre anche grandi soddisfazioni. Per parlare di SantoPalato non potevo prescindere dalla mia storia personale.
Nel libro c'è un capitolo intitolato "L'Abruzzo, la famiglia: dove tutto è cominciato", in cui racconta di un prima e un dopo Roma, nella sua vita. Quanto delle sue radici è ancora presente nel suo lavoro quotidiano e in che modo emerge? La ricchezza della cultura enogastronomica italiana risiede proprio nelle peculiarità che caratterizzano ogni regione. Abruzzo e Lazio, pur essendo territori contigui, presentano alcune differenze sostanziali. La sfida più intrigante per me è far dialogare ogni giorno il mio gusto personale, plasmato anche dalla mia educazione gastronomica e olfattiva, con la tradizione piuttosto codificata della cucina romana, in cui mi sono cimentata aprendo una trattoria nella capitale. Il fatto che i clienti percepiscano nelle mie proposte un tocco diverso, non prettamente romano, per me è motivo di grande soddisfazione. Pur avendo interiorizzato la cultura gastronomica di Roma e del Lazio, non vorrei mai perdere il legame con le mie radici abruzzesi, che cerco sempre di far emergere in qualche modo.
Tappa fondamentale del suo sodalizio con la cucina romana, così racconta nel libro, è stata la "prova della pajata", piatto simbolo della tradizione popolare capitolina. Cosa ha rappresentato per lei questa esperienza? Ho voluto raccontare innanzitutto di come la pajata fosse una delle poche specialità che non avevo mai avuto modo di assaggiare né di cucinare. Quindi, quasi come una sfida con me stessa, mi sono ripromessa di imparare a prepararla in maniera impeccabile. Potermi confrontare con un professionista della macelleria come Roberto Liberati, persona di vasta cultura e al tempo stesso sempre pronto a mettersi in discussione nonostante la sua conoscenza quasi enciclopedica, è stato fondamentale. Lui non ha avuto alcuna remora a insegnarmi i segreti di questo piatto senza fornirmi una ricetta precisa, ed è stato molto interessante. Così mi sono cimentata nella preparazione e, dopo qualche iniziale incertezza, direi che la pajata ha sancito il mio matrimonio con la cucina giudaico-romanesca.
Foto di Tommaso Viggiani
Un altro tema importante affrontato nel libro è quello della sostenibilità, a cui lei dedica un intero capitolo, definendola "meta e viaggio". Ci spiega meglio il suo approccio a questo tema? Per noi la sostenibilità rappresenta sia un viaggio, sia una meta. Un viaggio perché ogni giorno offre l'opportunità di adottare nuove soluzioni per perseguirla. Non si finisce mai di scoprire come migliorare sotto questo aspetto. Pur essendo un tema attuale da diversi anni, noto che rispetto agli esordi abbiamo fatto passi da gigante e confido che continueremo in questa direzione. Ovviamente per noi cercare di fare del nostro meglio ogni giorno è un obiettivo che abbraccia tutti gli ambiti, a partire dalle cose apparentemente più banali, come i pasti dello staff, fino ad arrivare al piatto servito al cliente. Adottiamo un approccio zero waste in cucina, riducendo al minimo gli scarti e i packaging.
C'è un tema ancora più personale e delicato che lei ha voluto includere nel suo libro, quello di un disturbo alimentare che ha vissuto in passato. Perché, e come, ha deciso di parlarne? Questa esperienza ha segnato profondamente la mia formazione umana prima ancora che professionale. Stiamo parlando a tutti gli effetti di una malattia, di un disturbo che incide in modo significativo non solo sulla psiche, ma anche sulla fisiologia della persona. Ne parlo per portare l'attenzione su un argomento che periodicamente torna alla ribalta, del quale si cercano di identificare le cause e individuare possibili soluzioni, ma che resta uno dei mali più subdoli in cui si possa incorrere, con ripercussioni importanti anche sulle famiglie di chi ne soffre, specie se insorge in giovane età. Può sembrare inusuale che una persona che ha a che fare quotidianamente con il cibo ne parli, avendo in passato considerato l'alimentazione quasi come un nemico, nel mio caso a causa dell'anoressia nervosa. Nonostante l'assunzione regolare di cibo, la componente psicologica era così forte da causare un dimagrimento costante. Ho voluto parlarne pensando di poter aiutare chi legge il mio libro e sta vivendo o ha vissuto una situazione analoga. Condividere apertamente certe esperienze aiuta a sentirsi meno sole - parlo al femminile perché le statistiche evidenziano ancora una prevalenza tra le donne, pur con una crescente incidenza anche tra gli uomini. Ne parlo perché credo se ne debba discutere il più possibile, anche in ambito enogastronomico.
Foto di Andrea Di Lorenzo
Traspare dalle parole di Sarah Cicolini la passione e la dedizione per il suo lavoro, effettivamente spiegato in modo molto chiaro e intenso nel decimo capitolo del libro, intitolato eloquentemente "La cura per gli altri". Ed è davvero bello pensare che quel che abbiamo letto, e assaggiato, sinora sia solo la prima parte di un percorso umano e professionale che ha ancora molto da raccontare.
Pubblicazioni e novità editoriali del pianeta gola
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Giornalista milanese. A 8 anni gli hanno regalato un disco di Springsteen e non si è più ripreso. Musica e gastronomia sono le sue passioni. Fa parte della redazione di Identità Golose dal 2014, dal 1997 è voce di Radio Popolare Instagram: @NiccoloVecchia
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