06-12-2024

Siamo ingredienti: il viaggio culinario e sociale di Victoire Gouloubi

Nel suo libro, la chef italo-congolese esplora il ruolo del cibo come vettore di identità, di cultura, ma anche di disuguaglianza. E intanto lavora per far crescere un salone delle eccellenze gastronomiche afro-caraibiche

Siamo ingredienti, di Victoire Gouloubi, con prefa

Siamo ingredienti, di Victoire Gouloubi, con prefazione di Roberta Schira, è stato pubblicato da Trèfoglie. 228 pagine, 18 euro

Era il 2015, quando per la prima volta su queste pagine abbiamo raccontato la storia di Victoire Gouloubi, chef congolese approdata in Italia per studiare legge e diventata invece un talento emergente della ristorazione milanese. Arrivata a Verona con il sogno di laurearsi in giurisprudenza, aveva dovuto cambiare i suoi piani per motivi economici: «Solo uno dei due, tra me e mio fratello, poteva fare l'università. E così, su consiglio di mio zio, che viveva in Italia già da dieci anni, mi sono iscritta alla scuola alberghiera di Feltre».

Dopo aver mosso i primi passi all'Hotel Cristallo di Cortina e accumulato esperienze con alcuni protagonisti della cucina italiana come Claudio Sadler, Fabrizio Ferrari e Marc Farellacci, Gouloubi aveva coronato il sogno di aprire il suo ristorante, semplicemente chiamato Victoire, dove esprimeva la sua personalità culinaria a cavallo tra il Belpaese e il Congo. «Volevo certamente poter esprimere me stessa in maniera completa - raccontava all'epoca - riuscire a prendere tutto quello che avevo imparato della straordinaria cultura culinaria italiana e incrociarlo con le mie idee, le mie radici, le mie sensazioni».

Oggi ritroviamo Victoire Gouloubi più matura e consapevole, pronta a utilizzare la sua voce per affrontare temi che vanno oltre i fornelli. Lo fa nel libro Siamo ingredienti e non sapevamo di esserlo, edito da pochi giorni dalla casa editrice palermitana Trèfoglie, in cui esplora le molteplici implicazioni culturali e sociali del cibo.

«Penso che quanto ho scritto sia frutto di tutta la mia esperienza in questo mondo, della mia vita, della voglia di prendere posizione, ma anche di una rabbia sincera: è un misto di tutto questo. Ed è venuto fuori così», racconta Victoire riguardo alla genesi del libro, nato quasi d'istinto in soli tre mesi e arrivato alla lunghezza considerevole di 400 pagine. Un'opera così vasta e potente che, come rivela l'autrice, «quando l'hanno visto gli editori e anche Roberta Schira, che ne ha redatto la prefazione, hanno deciso di dividerlo in due parti. Quindi ci sarà sicuramente un secondo volume».

Attraverso il filo conduttore degli ingredienti, di cui si parla in quanto materie prime, ma anche come allegorie e simboli in contesti più ampi, Gouloubi affronta questioni di grande attualità come il razzismo, il classismo e il body shaming. Le abbiamo chiesto di raccontarci come le sia venuta questa idea di usare la cucina, e gli ingredienti, per raccontare vicende e questioni che ci riguardano tutti, che sono universali: «Ce l'avevo già in mente, ma ciò che ha fatto crescere ancora di più questa idea è il fatto di accorgermi in modo molto forte di quando noi siamo ingredienti. Le guerre in particolare ne sono la rappresentazione più disarmante: una parte della mia famiglia è ancora in Africa, alcuni dei miei fratelli sono a Kinshasa, vedo come gli africani vengono letteralmente usati. Non riguarda solo gli africani, ma io sono africana e quindi parlo per me, per conto della mia gente. Mi sono detta che più ingredienti di noi non ci sono».

Il libro diventa così un potente atto d'accusa contro un sistema che spesso non dà agli africani la possibilità di integrarsi pienamente: «Se guardiamo alla genesi della nostra storia, ai primi veri genocidi, quelli fatti dai colonialisti, in troppi non ne parlano. Chi ci ridarà un senso di giustizia? Chi ridarà giustizia a tutti quei nostri antenati che sono stati colonizzati, deportati come fossero ingredienti verso le Americhe, o anche a quelli che stanno lavorando tuttora per accrescere l'economia, che sia italiana o francese, ma che non vengono riconosciuti a dovere, come ad esempio anche chi lavora nelle cucine?».

Parlando con Identità Golose, l'autrice punta il dito contro le difficoltà burocratiche che gli africani devono affrontare in Italia, anche quando hanno pieno diritto di cittadinanza. Lo esemplifica con la sua storia personale: «Mia mamma l'ho fatta venire io, sono italiana ormai da più di dieci anni e per le leggi italiane mia mamma dovrebbe, dopo l'ingresso in Italia e dopo due anni, diventare cittadina italiana come me. Però quest'anno il governo attuale ha cambiato di nuovo le regole e anche le donne anziane devono richiedere il permesso di soggiorno periodicamente, mentre i figli sono cittadini italiani. Pago le tasse, sono integrata, mia mamma è claudicante, soffre di artrosi e deve stare 7 ore fuori dalla questura per prendere un appuntamento. E' una follia».

Quando l'Occidente non dà agli africani la possibilità di integrarsi a dovere, osserva Victoire, «alla fine tutto il sistema va a monte. Perché i più deboli finiranno per arrangiarsi con quello che trovano, se non finiranno a delinquere. Poi se guardiamo al commercio, non c'è la possibilità di trovare un vero un mercato internazionale africano in Italia. In altri Paesi ce ne sono, a Londra come in molte città asiatiche troviamo devi veri mercati afro, ma in Italia no».

Ma Siamo ingredienti è anche un'analisi lucida e appassionata del ruolo della donna nella società e nelle cucine professionali. Victoire Gouloubi, quando le chiediamo come abbia voluto affrontare un tema così delicato, ci racconta subito una storia: «Qualche anno fa c'era una donna chef che lavorava per un hotel di alto livello. Rimase incinta e aveva accettato quel posto perché le piaceva la sfida. Era un bellissimo complesso, premiato a livello internazionale non solo per il design ma anche per i traguardi che avevano realizzato. Aveva messo su una bella squadra, forgiando i ragazzi da quando era andata in quella struttura. Ma quando rimane incinta, scopre che tutti i colleghi maschi che andavano a fare il colloquio per il ruolo che lei doveva lasciare, rifiutavano perché per loro quella remunerazione era troppo bassa. E quando quella chef pensò che poteva trovare un modo per rimanere, anche con la gravidanza, e che a quel punto avrebbero dovuto aumentare lo stipendio a lei, la proprietà rifiutò. Ha capito così che quando l'uomo rifiuta, lo si corteggia, ma quando la donna chiede di essere pagata come un uomo, le viene detto di no. Quella chef sono io».

La prefazione della scrittrice e giornalista del Corriere della Sera Roberta Schira inquadra il libro come «un'opera densa, che mescola autobiografia, storia culinaria e riflessione sociale». Victoire Gouloubi ci invita a riflettere su questioni che riguardano tutti noi, come la sostenibilità e i diritti umani, in un viaggio che parte dai campi del Sud Italia, dove i braccianti africani raccolgono pomodori, e arriva alle cucine dei ristoranti stellati dominati da figure maschili. «Pagine sulle questioni irrisolte del razzismo e della condizione femminile», scrive Schira, «temi che l'amica Victoire affronta con chiarezza, e un tono di voce che alterna delicatezza e rabbia».

Parallelamente all'uscita del libro, Victoire Gouloubi porta avanti il progetto Uma Ulafi, un salone delle eccellenze delle culture gastronomiche afro-caraibiche in Italia: «Siamo nati da poco, però stiamo crescendo con costanza, piano ma in modo solido - racconta entusiasta - la prossima edizione sarà l'anno prossimo e ci accoglierà il Comune di Pavia, ci aprono le porte con grande interesse. Portiamo a Pavia il salone anche perché vogliamo che sia un progetto itinerante. Vorrei poterlo portare in diversi salotti occidentali».

Il sogno è quello di creare un appuntamento annuale in cui i Paesi africani possano promuovere i loro prodotti e le nuove tendenze: «Vorrei che fosse un salone dove tutti gli stati africani possano venire in Italia a promuovere le nostre specialità, le nostre ricchezze, le nuove pepite che escono dalle nostre terre, dall'agricoltura, dalla produzione», spiega. «In Ruanda ci sono giovani ragazzi che cominciano a produrre il vino, non è più solo il Sudafrica. In Costa d'Avorio stanno cercando di fare il vino con il platano, perché è dolce quanto l'uva, quindi fermenta anch'esso. Sono tutti questi progetti innovativi che vorrei portare in Italia, che sia un salotto dove le persone possono venire a vedere».

Gouloubi vorrebbe vedere più scambi e sinergie tra l'Italia e l'Africa, anche pensando al tema della formazione: «Vorremo creare un ponte ideale, non soltanto portare la gente qui ma portare anche esperti e competenze che vivono e lavorano in Italia, a formare altre persone in Africa, a condividere le nuove innovazioni e tecnologie, perché l'Africa deve essere raccontata e costruita dagli africani. In ogni paese, in ogni regione dell'Africa troviamo abitudini, tradizioni e comportamenti particolari e diversi».

Con Siamo ingredienti e non sapevamo di esserlo, Victoire Gouloubi firma un'opera coraggiosa, capace di smuovere le coscienze e far riflettere sul ruolo del cibo come potente vettore di identità, ma anche, purtroppo, di disuguaglianza. Un libro che è insieme memoir, manifesto politico e ricettario innovativo, da leggere per capire meglio il mondo in cui viviamo e immaginare un futuro più giusto e inclusivo, a partire dalla tavola.


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Niccolò Vecchia

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Niccolò Vecchia

Giornalista milanese. A 8 anni gli hanno regalato un disco di Springsteen e non si è più ripreso. Musica e gastronomia sono le sue passioni. Fa parte della redazione di Identità Golose dal 2014, dal 1997 è voce di Radio Popolare 
Instagram: @NiccoloVecchia

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