Nel suo primo libro, il patron del Cambio di Bologna firma una dichiarazione d'amore per l'ospitalità, restituendo dignità e futuro a un mestiere troppo a lungo trascurato. Osti si nasce, forse. Ma diventarlo è tutta un'altra storia. Con “Nato Oste”, Piero Pompili, firma un libro che non si limita a raccontare la sua vita: si prende il rischio di dire, senza mezze misure, cosa conta davvero oggi nella ristorazione.
Non è la cucina, non sono le mode. È la sala. È il modo in cui si accolgono le persone.
«Oggi sono pienamente convinto», scrive il direttore del ristorante Al Cambio di Bologna, «che in un mondo popolato da ristoranti in cui si mangia oggettivamente bene un po’ ovunque e in ambienti sempre più curati da architetti, la differenza la potrà fare solo la sala: il calore che riuscirà a esprimere e la sua capacità di far star bene e sentire i clienti a casa». Un'idea che attraversa tutta la lettura come un filo conduttore, senza mai trasformarsi in slogan.
“Nato Oste” si struttura come una lunga conversazione sincera. Capitolo dopo capitolo, l'autore intreccia memoria, esperienza professionale e riflessioni culturali. Dall’infanzia nelle Marche alle stagioni in albergo, dalla Bologna universitaria vista prima dalle discoteche che dai ristoranti fino all’ingresso all’Osteria del Minestraio di Riccione: il percorso di Pompili è raccontato senza trionfalismi, ma con la lucidità di chi ha sempre avuto chiaro che l'ospitalità è prima un'attitudine e poi un mestiere.

Piero Pompili, marchigiano di San Benedetto del Tronto, classe 1975, dal 2016 restaurant manager di Al Cambio, Bologna
E in un’epoca dominata dall’immagine degli chef-star, il suo sguardo suona ancora più necessario. Quando la gastronomia si muoveva ancora sui forum del Gambero Rosso e non sui social, Pompili intuiva che anche la sala aveva bisogno di una narrazione: con gli pseudonimi
Muccapazza e
Il Gastronomo Riluttante, le partecipazioni ai primi congressi di cucina fino agli interventi sui grandi quotidiani, ha sempre rivendicato la centralità dell'accoglienza, senza cercare scorciatoie.
Nato Oste è anche il diario di un’esistenza segnata dal dolore, raccontato con pudore e forza. La perdita di
Arnaldo Laghi, compagno di vita e di lavoro, la pandemia vissuta come spazio di riflessione più che di esposizione, le battaglie per restituire dignità al lavoro nella sala: ogni episodio trova spazio nel libro non come confessione personale, ma come parte di un disegno più grande.
Il tono è discorsivo, a tratti quasi colloquiale, ma la profondità delle riflessioni tradisce l’ambizione di lasciare un segno. Non si tratta solo di raccontare un mestiere: si tratta di difendere un modo di stare al mondo.
Alla fine, il messaggio che il testo consegna è nitido: la ristorazione di domani non dipenderà da chi saprà stupire, ma da chi saprà accogliere davvero. Con intelligenza, con umanità, con quella gentilezza consapevole che - oggi più che mai - appare come il gesto più radicale di tutti.