In occasione della prima edizione estiva di Care’s – The ethical Chef Days – che si è svolta dal 21 al 24 maggio a Salina (Isole Eolie) - Marchesi 1824 ha assegnato a Francesca Iurlaro, dottoranda presso l’European University Institute di Firenze, una borsa di studio per l’approccio innovativo con cui ha introdotto nella sua ricerca accademica il concetto di etica applicato al cibo. Iurlaro condurrà uno studio di ricerca sull’etica del cibo, alla fine del quale pubblicherà le conclusioni in un saggio accademico, che verrà presentato alla prossima edizione estiva di Care’s. Abbiamo chiesto a Francesca Iurlaro di raccontarci su cosa verterà la propria ricerca.

Francesca Iurlaro premiata da Lorenzo Bertelli (foto Diego Artioli - Formasette)
I filosofi ci insegnano che la realtà sfugge ai nostri tentativi di afferrarne il significato. Più cerchiamo di coglierlo, più questo ci sembra fuggevole. A coloro che, al contrario, credono che l’esperienza della realtà sia oggetto di sicura e infallibile comprensione,
Hegel risponde che “dovrebbero essere rimandati alla scuola elementare della saggezza, cioè agli antichi misteri eleusini di Cerere e di Bacco, per imparare innanzitutto il segreto del mangiare il pane e del bere il vino” (
Fenomenologia dello Spirito, 1807). Attraverso questa metafora,
Hegel si riferisce all’antica pratica di celebrare l’immortalità umana attraverso il più volatile e deperibile degli oggetti: il
cibo. Niente come il cibo testimonia la fuggevolezza della realtà: nel momento stesso in cui ce ne appropriamo mangiandolo, scompare.

Protagonisti e organizzatori di Care's: Giancarlo Morelli, Norbert Niederkofler, David Kinch, Paolo Ferretti, Luca Caruso
Sebbene
Hegel ricorra alla metafora del pane e del vino con altri scopi, essa può nondimeno essere utilizzata per spiegare il ruolo che l’etica del cibo (
food ethics) svolge nel dibattito contemporaneo. L’etica del cibo si occupa delle questioni morali relative al cibo che produciamo, cuciniamo e mangiamo. In questo senso, ci porta contemporaneamente
aldilà di e
dentro l’esperienza sensoriale del cibo stesso: se questo scompare una volta che l’abbiamo ingerito, non così le scelte alimentari che facciamo.
Quali domande dobbiamo porci, dunque, quando ci occupiamo della nostra nutrizione? Esiste un modo “moralmente giusto” di mangiare? Mangiare bene è un diritto o un dovere? Può il cibo essere un veicolo di miglioramento della giustizia sociale? È “etico” mangiare gli animali? O c’è un modo etico di mangiarli? Quanto può estendersi la libertà umana, a scapito delle altre specie e dell’ecosistema?
Tutte queste domande sono affrontate dai filosofi e, ancor più, dagli chefs nella loro attività quotidiana. L’esperienza di
Care’s, il progetto di cucina etica creato da
Norbert Niederkofler e
Paolo Ferretti, costituisce un punto di vista privilegiato per analizzare tali questioni: nato come un punto di incontro e condivisione per cuochi, il progetto
Care’s ha una
mission dichiaratamente etica: nelle parole degli organizzatori, quello di cui abbiamo bisogno per avere un approccio etico al cibo è “un po’ più di cura”, come sottolineato nell’edizione estiva della kermesse, tenutasi a Salina dal 21 al 25 giugno.
Ed è proprio questo aspetto che cercherò di analizzare nella mia ricerca, finanziata dal Care’s Social Responsibility Award di Pasticceria Marchesi 1824. Da un lato, mi concentrerò sul rapporto fra food ethics e care ethics, prendendo proprio l’esperienza di Care’s come caso studio per una “food ethics of care”. La care ethics è una teoria morale secondo cui l’idea di cura (e non la virtù, né l’implacabile dovere morale kantiano) è al centro delle relazioni umane. Questa teoria è recentemente stata applicata allo studio dello status morale degli animali, e ha perciò delle evidenti implicazioni relative all’etica del cibo che cercherò di approfondire. In altre parole: è possibile prendersi cura di noi stessi, dell’ambente e degli animali attraverso il cibo? E se sì, come?

Foto di gruppo alla prima edizione estiva di Care's, a Salina
Un secondo aspetto, collegato al primo, riguarda il rapporto fra
food ethics e
food aesthetics. Sembra, cioè, che l’approccio etico al cibo abbia delle implicazioni di natura estetica, relative non solo al gusto, ma anche alla nostra percezione visiva del cibo. Nelle giornate trascorse a Salina è emerso chiaramente un dato: l’utilizzo di prodotti stagionali e spesso sconosciuti costituisce uno stimolo, e non già un limite, alla creatività degli chefs, con conseguente introduzioni di nuovi gusti “etici”.
Inoltre, la popolarità mediatica di cui gli chefs godono attualmente può svolgere un ruolo fondamentale di sensibilizzazione sociale al cibo etico e promuovere la diffusione di ricette sane e sostenibili, ma non per questo meno gustose. Per approfondire questo tema trascorrerò un periodo di stage con Norbert Niederkofler, per osservare sul campo come l’utilizzo di ingredienti etici implichi una vera e propria “rivoluzione del gusto” che siamo tutti pronti a iniziare.