08-04-2013

Cibo, arte, filosofia

Convergence, conferenza a Pollenzo, dimostra che i tre campi possono finalmente comunicare

La Scultura da fuoco dell'artista-designer Andre

La Scultura da fuoco dell'artista-designer Andrea Salvetti, opera commestibile che campeggiava all'esterno dell'Agenzia di Pollenzo (Cuneo) nella due giorni di Convergence, conferenza che ha riunito sotto lo stesso tetto docenti universitari, cuochi d'Italia e del mondo, giornalisti e artisti allo scopo di imbastire un dialogo inedito tra autorità di campi solo all'apparenza diversi 

Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia. Per esempio il cibo, viene da aggiungere al monito di Amleto dopo aver assistito alla due giorni di Convergence, summit tra filosofi, artisti e cuochi che ha animato alla fine di settimana scorsa l’Agenzia di Pollenzo, in provincia di Cuneo. 

Lo scopo era quello di tracciare il primo cerchio comune di tre discipline – filosofia, arte e cibo – consapevoli sì del fatto che «della relazione tra cibo e arte si è iniziato a parlare con Platone», ricorda bene Nicola Perullo, direttore scientifico della conferenza e docente di Estetica all’Università di Scienze gastronomiche. Ma anche che nei 2.500 anni successivi l’esperienza commestibile è quasi sempre stata cacciata dai filosofi ai margini del discorso, esclusa dai trivi e dai quadrivi, confinata a fisiologie del gusto più legate ai bassi istinti che non al puro pensiero. Qualcosa di cui godere o al limite sghignazzare, men che mai riflettere oltre l’arco della digestione.

Ma Pollenzo ha mostrato che i tempi sono maturi per mettere a sedere allo stesso tavolo dottissimi semiologi e cuochi illuminati, imprenditori del gusto e accademici d’estetica, performer e giornalisti: «Il fatto che abbiamo evidenziato anche solo che questa possibilità esiste», il bilancio di Perullo, «per me archivia come successo questa prima edizione». Cui speriamo seguirà un seconda architettura. Che non potrà prescindere dai mattoni posati che vediamo in breve.

Nicola Perullo, direttore scientifico di Convergence e docente di Estetica all'Università di scienze gastronomiche di Pollenzo

Nicola Perullo, direttore scientifico di Convergence e docente di Estetica all'Università di scienze gastronomiche di Pollenzo

Il cuoco Massimo Bottura ha insistito su concetti che a Identità conosciamo bene ma che giova ripetere: la cultura è il primo grimaldello per rompere-trasformare-ricreare l’identità della cucina italiana, per «innamorarsene di nuovo», per «rendere visibile l’invisibile poetico chiuso anche solo in una salsa al pesto». Il filosofo tedesco Harald Lemke ha invece spostato il tiro sulla responsabilità etica del nostro mangiare «perché la dieta occidentale ci costringe già a fare delle scelte, come quella di rinunciare alla carne». Con una chiosa che dovrebbe però costringere vegetariani e vegani a scendere dal piedistallo dell’indignazione a-critica: Se «2.500 anni di cultura occidentale non sono ancora riusciti a convincerci della bontà della scelta vegetariana», qualcosa vorrà pur dire.

«Si può gustare l’arte?», si è chiesto invece nel suo brillante excursus sul cibo nell’arte contemporanea Ryan Bromley, per il quale la strada è ancora lunga giacché nella nostra civiltà videocentrica «se la vista distingue subito una penna da una matita, il gusto ha bisogno di più tempo per separare un ananas da un’arancia». Quale arte per il cibo? Si è chiesto invece proprio Perullo, per cui prima di tutto urge sgomberare il campo dagli equivoci, magari muovendo da un decalogo di gioco che include regole quali «La cucina può essere arte solo se altrove c’è una cucina che non è arte», oppure «solo se si libera dalla gabbia della percezione visiva, accogliendo il cibo come qualcosa che non svanisce ma si trasforma e ci trasforma».

Daniel Patterson del ristorante Coi di San Francisco, autore di un intervento tra estetica, poetica e linguaggio

Daniel Patterson del ristorante Coi di San Francisco, autore di un intervento tra estetica, poetica e linguaggio

E ancora, l’approccio ermeneutico alla cucina di Robert Valgent, il mangiare come atto agricolo di Andrea Borghini, le escursioni nell'arte dell'immagine di Lavazza, la «poetica della vendita» del mercante di Eataly Oscar Farinetti, l’illuminante assimilazione della cucina al rito ortodosso del semiologo Paolo Fabbri («la cucina è la sintesi di tutte le arti: è luce, incenso, immagine, incanto»), la poetica e l’estetica del cuoco californiano Daniel Patterson, l’epica Cosmopolis Redux di Andrea Petrini, gli scatti scanzonati di Bob Noto e l’arringa di Davide Scabin, il più designer tra i cuochi artisti italiani.

Autorità di discipline storicamente disconesse (se non in conflitto) che, a pensarci bene, potrebbero rendere concreto il 23esimo e più importante dei punti del manifesto programmatico di Ferran Adrià: «La collaborazione tra esperti di campi diversi è essenziale per il progresso in cucina».


Zanattamente buono

Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo

Gabriele Zanatta

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Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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