22-03-2016

Pinchiorri: missione Dubai

Anteprima di The Artisan, la nuova insegna negli Emirati Arabi. Sotto il segno della condivisione

La squadra di The Artisan, il nuovo ristorante ape

La squadra di The Artisan, il nuovo ristorante aperto dall'Enoteca Pinchiorri di Firenze al primo piano del Burj Daman, neonato complesso di 3 torri nel quartiere DIFC di Dubai, Emirati Arabi. L'insegna, di apertura imminente, attualmente è in regime di soft opening. Prenotazioni: +971.04.3388133 e info@theartisan.ae. Nella foto di gruppo della brigata di sala, con la chef dell'Enoteca Annie Féolde, si riconoscono il proprietario libanese Firas Fawaz (a sinistra della Signora) e l'altissimo maître campano Costanzo Scala (a destra)

E Pinchiorri si guadagnò un nuovo palcoscenico. Il sipario si è aperto nel quartiere DIFC, il centro finanziario internazionale di Dubai, a neanche 2 chilometri dalla vetta glittering del Burj Khalifa. In ordine di tempo, è il quarto ristorante dell’Enoteca, dopo la casa madre di Firenze (il cui ingresso Giorgio Pinchiorri varcò per la prima volta nel 1972) e le insegne giapponesi di Tokyo (1992, ora chiusa) e Nagoya (2008).

Sono ancora giorni di soft opening per il ristorante emiratino, disegnato al primo piano della food court del Burj Daman, un complesso di 3 torri e 14 livelli tra hotel di lusso, appartamenti e uffici ancora da popolare. Come tanti grattacieli della rovente metropoli, la struttura è stata eretta in tempi record: i lavori sono terminati poco meno di un anno fa, la qual cosa vi costringerà a riferire ai tassisti ignari l’indirizzo "Al Sa'ada street" (ma mostrategli anche la foto dei grattacieli precedentemente screenshottata, sennò si fa notte). Dentro, 90 coperti puliti tra luci soffuse, divisi da lampadari decorati a mano, sculture in vetro di Murano, tavoli in marmo di Carrara e la proverbiale cura per il minimo dettaglio.

PASTA PER DUE. Agnolotti stufati con zucca mantovana, mandorle burro e salvia. Il piatto è piazzato al centro del tavolo, per essere condiviso

PASTA PER DUE. Agnolotti stufati con zucca mantovana, mandorle burro e salvia. Il piatto è piazzato al centro del tavolo, per essere condiviso

La proprietà di The Artisan è dei fratelli e imprenditori libanesi Firas e Hassan Fawaz. La carta concessa a Giorgio e Annie Féolde («La Signora», la chiamano proprio così, in italiano) è ovviamente bianca. Meno scontato, invece, il format da mettere in pratica: «Non faremo fine dining nel senso che conosciamo», spiegano a più riprese i ragazzi di sala e cucina, metà italiani e metà no, «perché l’alta cucina a Dubai non tira». Verissimo, per due motivi: la guida Michelin non è ancora scesa ad assegnare stelle, la qual cosa rende sì più liberi ma obiettivamente non fa alzare livello medio e ambizioni come altrove nel mondo. Secondo: per troppo a lungo, la scena della ristorazione cittadina è stata scritta da chef in parabola discendente, attratti dai petrodollari utili ad aggiustare conti traballanti altrove, con esiti spesso discutibili (e chiusure repentine).

Ma con l’Expo alle porte (calcio d’inizio, 20 ottobre 2020) e i riflettori del mondo sempre più orientati al Golfo Persico, non c’è più spazio per bluffare, e lo sa bene tanta Italia scesa in campo relativamente da poco per fare qualità e scavalcare la dannata equazione cucina tricolore=pizza (qui ancora imperante): i Pinchiorri sono in buona compagnia con Heinz Beck al Waldorf Astoria, Enrico Bartolini al Roberto’s, le corazzate di Armani e Bice, Alfredo Russo al Vivaldi, il bravo e silenzioso Alfonso Crescenzo allo Splendido del Ritz Carlton, Marco Torasso nelle due torri Grovesnor House, per non dire del faccione dell’anglo-italiano Giorgio Locatelli che svetta dentro all’Atlantis accanto a quelli di Gordon Ramsay e Nobu Matsuhisa.

Foto di gruppo, questa volta della brigata di cucina. In piedi si riconosce l'executive chef Luca Tresoldi (al centro, abbracciato ai proprietari libanesi Firas e Hassan Fawaz). Accosciato in casacca bianca, Riccardo Monco, primo chef a Firenze e co-responsabile della linea di cucina di Dubai ("Con Luca siamo sempre su Skype", spiega)

Foto di gruppo, questa volta della brigata di cucina. In piedi si riconosce l'executive chef Luca Tresoldi (al centro, abbracciato ai proprietari libanesi Firas e Hassan Fawaz). Accosciato in casacca bianca, Riccardo Monco, primo chef a Firenze e co-responsabile della linea di cucina di Dubai ("Con Luca siamo sempre su Skype", spiega)

Ma qual è il modello di ristorazione scelto dall’Enoteca a Dubai? Lo sharing, la condivisione dei piatti tra i commensali, «una mossa», ci racconta l’executive chef Riccardo Monco, «con cui proviamo a scendere di due gradini dal nostro modello, per misurarci con formule nuove», che poi tanto nuove non sono, «pensate alla centralità del concetto nella tradizione delle famiglie italiane», spiega il ragazzo. Certo è curioso vedere il suo braccio armato in terra araba Luca Tresoldi fare uscire nello stesso intervallo primi piatti come Agnolotti stufati con zucca mantovana, mandorle burro e salvia e Spaghetti alla chitarra con frutti di mare, posizionati entrambi al centro della tavola per essere avvoltolati da forchette diverse (e lo stesso accadrebbe con le Penne all'arrabbiata o con il Risotto con porcini e tartufo nero). È la democratizzazione dei Pinchiorri che, vista l'informalità, potrebbero persino virare verso più turni per servizio (ma qui sarà dura ottenere il benestare della Signora).

Va da sé che la qualità delle materie prime non scenderà alcun gradino: è rigorosa e senza concessioni. Tutti gli ingredienti vengono dall’Italia e questa è già una notizia felice in un'isola che pratica largamente esercizi fonetici di Italian sounding. All'Artisan niente pesce oceanico; solo Mediterraneo a dar forma da subito a starter come Carpaccio di tonno marinato con capperi, pepe rosso e aceto balsamico o Calamari fritti con lime e maionese chili (da compartire, naturalmente). Con ingredienti-perla come Burrata d’Andria, bovina fassona (la carne ha ottenuto, da pochissimo, la certificazione halal, ci informa Riccardo Uleri di Longino e Cardenal) o l’Aceto Balsamico di Modena 35 anni di Malpighi, accaparrato in esclusiva.

Dal piano terra del complesso che ospita The Artisan si intravede la vetta luminosa del Burj Khalifa, 828 metri d'altezza, simbolo della città che ospiterà Expo 2020

Dal piano terra del complesso che ospita The Artisan si intravede la vetta luminosa del Burj Khalifa, 828 metri d'altezza, simbolo della città che ospiterà Expo 2020

E il vino, l’orgoglio della casa? Intanto, la legge emiratina non consente il display di bottiglie alle pareti: l'alcol c’è ma non si deve vedere. Nemmeno dietro al bancone dei cocktail appena dopo l’ingresso: al massimo è possibile poggiarci sopra due mini-barrique (da cui usciranno presto cocktail invecchiati wine-based). Interessante è il fatto che la carta curata dal sommelier turco Alper Billik e dal maître napoletano Costanzo Scala si apra con una piccola e preziosa selezione “from the cellar of mister Giorgio Pinchiorri”: Sassicaia 2015, Ornellaia L’Infinito 2011, Masseto 2011. Ma anche Cheval Blanc e Château Latour, entrambe 2005. Dopo una piccola scelta al bicchiere e gli champagne, parte la lista vera e propria, coi vini italiani e francesi divisi per genere e regione. In un paese in cui un Gavi da supermercato può costare 140 euro, colpiscono i ricarichi tutto sommato contenuti.


Zanattamente buono

Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo

a cura di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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