Trama e ordito. Perché tanto in sartoria quanto in pasticceria bisogna tessere i corretti intrecci. Lo sa molto bene Massimo Pica, pastry chef con un’illuminata visione imprenditoriale. Nato nella salernitana Nocera Inferiore nel 1985 e dal 2006 adottato da Milano: patron dell’eponima pasticceria in via Ozanam 7 (tel. +39 02 36795568, picamilano.it) e deus ex machina della Pica Pastry School, che da un paio d’anni ha messo solide e feconde radici in via Fortezza.
«Volevo legare, attraverso un ripieno, due grandi capisaldi della pasticceria: la frolla e la pasta per croissant. Così sono nate la
Picatine. Una nuova memoria. Costruita prendendo il meglio della tradizione e rifondendo tutto in qualcosa di inedito», spiega
Massimo. Che unisce una base-contenitore di frolla, messa a punto con le farine macinate a pietra di
Molino Quaglia Petra 5 e Petra 9, e un impasto francese, realizzato con la farina per sfoglia e la
Panettone. Al centro: una farcia. Una crema pasticcera, un ripieno di mele e nocciole - quello che lui chiama
Scoiattolo - oppure bâtons di cioccolato
Valrhona, arancia e mandorla, e persino un cake al cioccolato
Guanaja. Per creare una
liaison addirittura fra tre prodotti diversi. «E sempre senza complicare il lavoro del pasticcere. Anzi, semplificandolo. Perché frolle, sfoglie e cake sono sempre presenti in un ciclo di lavorazione», commenta
Pica. Nel segno dell’assoluta razionalizzazione e della massima replicabilità della pasticceria.

Le Picatine di Massimo Pica. Foto Thorsten Stobbe
Picatine che tanto somigliano a quel tessuto “trapuntato” detto piqué. Crostatine con una marcia in più. Anche perché non sono solo dolci. Il pasticcere, infatti, le presenta pure in versione salata, con pomodorini confit, ricotta, zucchine spadellate, lime e menta. «Ma ci puoi mettere quello che vuoi. Per una valida alternativa al solito panino e per incentivare le buone e sane abitudini alimentari quotidiane». E il merito va pure a una frolla a base di
Petra 5 e
Bonsemì, benefico concentrato di farine e semi di girasole, sesamo, lino e miglio. «Certo, la scelta di farine non raffinate è fondamentale per un salutare apporto nutrizionale», puntualizza
Pica. Che dà forme tonde, quadrate ed ellittiche alle sue creature, grazie alle fascette microforate di
Pavoni. A garanzia di una cottura uniforme e di una forma perfetta. Gusto ed estetica, insomma. Mentre già pensa a una novella versione, con ripieno di pastiera napoletana.
Del resto,
Massimo è campano. Diventato pasticcere per passione. E anche un po’ per necessità. «Sono figlio di agricoltori. I miei lavoravano nei campi. Così, quando tornavo da scuola, per non aprire la scatoletta di tonno, ho imparato a cucinare», racconta lo chef pâtissier. Che, dopo l’alberghiero a Capaccio, giunge per caso a Milano, al seguito dello chef
Giorgio Nardelli. E vi rimane. Avviando una prima attività nel 2006, aprendo la pasticceria di via Ozanam nel 2013 e in seguito un laboratorio in via Fortezza. «Inizialmente, abbiamo destinato una parte del lab ai corsi di pasticceria. Poi ci siamo allargati al piano superiore», racconta
Anna Plati, fedele braccio destro di
Massimo. Che ora ha a disposizione un ambiente totale di 400 metri quadrati. Di cui fa parte l’estesa aula-arena della
Pica Pastry School. Corredata di tribuna, per meglio seguire i corsi. «Me l’ha costruita su misura un falegname di Bergamo», svela il pasticcere. Fiero d’aver costruito una scuola super attrezzata.

Un panettone di Massimo Pica. Tutte le seguenti foto sono di Ioris Premoli
Non manca nulla. Neppure la luce naturale. Per meglio favorire la concentrazione. Per non parlare degli ampi piani di lavoro in acciaio (ciascuno dotato di presa elettrica) e dell’infilata di frigoriferi, abbattitori, impastatrici e forni. Incluso quello griffato
Moretti Forni, ideale per pane e pizza. «Qui possiamo andare dal gelato al cioccolato, passando per impasti di ogni tipo». precisa
Massimo. Che ha stilato un calendario a elevato tasso di formazione. Per viaggiare dalla viennoiserie alla pasticceria moderna, dalle crostate alle torte da cerimonia, dai finger food ai dessert al piatto. Coinvolgendo pastry guest del calibro di
Stefano Laghi,
Fabrizio Fiorani e
Loretta Fanella. Non trascurando corsi a quattro mani, in tandem con
Marco Canevari. E se
Tommaso Cannata (della
Sicilian Bakery che porta il suo cognome) ha dato il via al format con una lezione, l’8 luglio è toccato a
Giuseppe Rizzo del
Ristorante dell’Angolo di Vittuone; il 3 ottobre sarà la volta dello stesso
Massimo Pica; e il 18 novembre a
Marco Pedron, head pastry chef di
Carlo Cracco.

Croissant scoiattolo, con mele e nocciole
Una scuola-laboratorio che vanta spazio in abbondanza. Anche perché qui vengono sfornate 30mila brioche e al mese. Destinate allo store di proprietà, ma non solo. «Riforniamo
Eataly Smeraldo e anche il
Flagship Store Lavazza di piazza San Fedele», rivela
Massimo. Orgoglioso di preparare impasti alla francese e all’italiana, croissant bicolori al cioccolato e impasti integrali con
Petra 9. Per poi riempirli live di crema, confetture e chantilly. A cui si aggiunge un grande lievitato quale il panettone. «Amo proporlo anche fuori stagione, con un cioccolato cremoso e avvolgente come il
Dulcey». Anche se il suo
must resta quello con marroni,
Guanaja e chocolate pearls.
Ma poi l’ardita e rigorosa tessitura torna a esprimersi. In torte dall’allure contemporanea: geometriche, sofisticate, stratificate, cromatiche. Vestite di seriche e sfavillanti glasse a specchio - vedi la
Torta Mojito e la
Summer -, oppure di opache e ruvide texture che paiono velluti. Come accade per la
Trilogy, con un biscotto al cacao gluten free, mousse all’extra bitter, bavarese all’
Ivoire e mousse dalle nuance tostate al
Biskélia. E come accade pure per la torta
Kids, game di streusel, croccante alle nocciole, cremoso al
Gianduja Noisette Noir e mousse al
Gianduja Noisette Lait. «Il bello? È che si riesce a tradurle in monoporzioni, mignon e bicchierini», spiega
Pica. Che adora la pralineria. «Mi posso sbizzarrire cambiando forme, camicie e ripieni. Morbidi o croccanti, liquidi o liquorosi. E poi posso giocare con colori e decori». E
Massimo con l’aerografo ci sa decisamente fare.