Non di sole mele vivono le Dolomiti. A Cortina d’Ampezzo crescono anche le albicocche selvatiche. In piena estate. Verso metà luglio, ma talvolta anche a metà agosto. «Hanno una maturazione lunga e lenta. Così riescono a esprimersi al meglio. Se ne stanno aggrappate ai muri delle abitazioni. Per trovare riparo dal freddo e dalle brezze alpine», racconta Massimo Alverà sul palco di Identità Milano.
Dove elegge l’albicocca a ingrediente fondamentale della sua memoria. E del suo dessert: Quel che c’era. «È un ricordo d’infanzia. Fa parte del nostro vissuto. Perché nella mia pasticceria vendiamo anche ricordi, pensieri e nostalgie», precisa Massimo, patron dell’elegante boutique che nel cuore di Cortina porta il cognome di famiglia.
Così
Massimo prende a prestito un tassello di memoria per tradurlo in un dolce di nuova generazione. «Quando eravamo bambini coglievamo e mangiavamo le albicocche, tirandocele persino addosso», rammenta il pasticcere. Che trasforma il piccolo frutto
wild in una cremosa purea dalla texture setosa, preparata senza latte e senza uova. Per mantenerne integra la naturalezza.

Alverà sul palco con la presentatrice della sezione Pasticceria italiana contemporeanea, Cristina Viggè
A contaminarla c’è però il gusto goloso e contemporaneo del caramello, amatissimo da
Massimo. Qui incarnato nel seducente cioccolato
Caramélia di
Valrhona. A far da complice? Una mousse alla ricotta. «Vaccina e a chilometro cortissimo. Perché giunge dalle nostre stalle. Un prodotto fresco e di breve durata. Da piccoli, le mamme ce la servivano nella tazza del caffelatte, con un poco di zucchero». Una merenda povera, fatta con quel che c’era.
Dunque: cremoso dalle nuance di caramello, ricotta a foggia di sfera - spruzzata di burro di cacao color arancio, a evocare l’albicocca - e una frolla a forma di mezzaluna. Messa a punto con la farina
Hazelgrain, nata da una collaborazione fra l’estense
Molino Quaglia e la maison torinese
Pariani: una farina di nocciole parzialmente disoleata, unita a una variante di
Petra 5. Per un giusto equilibrio fra delicatezza e vigore, sapidità e dolcezza.
«Ci aggiungo il burro. Quello di malga. Dall’accentuata mineralità. Capace di mutare sapore col cambiar dell’erba brucata dalle mucche al pascolo», svela
Alverà. Che tiene molto alla filiera casearia. «Rappresenta il nostro tesoro. Per noi l’animale è il tramite fra la terra e l’uomo. E dobbiamo essere capaci di sfruttare al meglio questa opportunità. In montagna, la necessità ci ha insegnato ad aguzzare l’ingegno. Da qui la stagionatura del formaggio, la conservazione della carne sotto sale e delle uova stratificate nei tini, sotto la calce. In modo da creare una sorta di sottovuoto naturale».
Un po’ di nostalgia. Sentimento che dà persino il nome a un cult del pastry chef: la
Linzer Nostalgia, dedicata a una delle sue prime opere, ma riletta alla luce della maturità. Una nuova memoria, che non dimentica il suo spirito asburgico ma che si nutre di italianità. Grazie alla farina
Hazelgrain, alla confettura di mirtilli rossi e al burro liquido aromatizzato alla cannella e chiodi di garofano.
Massimo, pronto persino a donare alla sua città una neonata tradizione, in vista dei Campionati Mondiali di Sci Alpino del 2021. Come? Con il
Dolce Cortina, un lievitato profumato al sambuco. «Che qui cresce ovunque e che in estate si beve, sotto forma di sciroppo», commenta
Alverà. La cui boutique ampezzana sintetizza perfettamente passato e futuro. Fra soffitti in larice, ereditati da vecchie case locali, e linee minimalissime, che dialogano con le Tofane. Sempre lì, a incorniciare l’orizzonte.