Platea di addetti ai lavori, tra chefs, giornalisti, appassionati di cucina e di gastronomia provenienti dalla Francia e da molte nazioni, europee e non. Un grande 50 Best Talks, con discorsi e presenze altolocate nel mondo della gastronomia e della cucina.
Inizia a parlare Mauro Colagreco, lo chef Italo/franco/argentino. E parla della sua volontà, nella sua cucina, di mettere insieme più origini, più tradizioni, più provenienze. Un discorso fortemente politico in un momento in cui genti diverse si mescolano in Europa, trovano difficile asilo, incontrano mille problemi. La mescolanza delle origini crea invece, come dice Colagreco, nuove ispirazioni, dà vita a nuove esperienze, che diventano piatti e quindi cucina. Grande applauso per Mauro da parte della sala gremita.

I protagonisti del dibattito sull'evoluzione dell'identità della gastronomia francese. Da sinistra Mauro Colagreco, Bertrand Grebaut, Romain Meder, Alain Passard e Yannick Alleno. Moderatore Eric Brunet
Tocca poi a un dibattito tra giganti. Tutti francesi. D’altronde non solo siamo a Parigi, ma con i 50 best siamo in Francia per la prima volta nella storia della lista gastronomica più famosa del mondo. E ci siamo, anche qui, grazie anche a
Mauro Colagreco che, dopo aver da poco guadagnato la terza stella
Michelin per il suo ristorante
Mirazur, sbaraglia tutti i contendenti e conquista l’ambito riconoscimento di primo ristorante al mondo.
Insieme a Mauro, salgono sul palco talenti del calibro di Yannick Alléno di Pavillion Ledoyen, Bertrand Grebaut di Septime, Romain Meder di Alain Ducasse Plaza Athenee e Alain Passard di Arpege. Si siedono, e iniziano a rispondere alle domande e alle provocazioni di Eric Brunet, giornalista radiofonico e televisivo di primaria importanza in Francia.

Dan Barber, Manu Buffara e Mauro Colagreco in conferenza
Passano i minuti, e sento un brusio attorno a me. La gente, sottovoce, sta commentando quel che avviene sul palco. Ma il commento non riguarda ciò che c’è, ciò che si vede, ciò che si dice. Il commento riguarda altro. E decido di farmene interprete. Alzo timidamente la mano e metto sul tavolo la questione: «Ma perché parlate tanto di inclusione, mescolanza dei generi e delle provenienze, interazione tra culture... e poi sul palco non c’è nemmeno una donna?”.
Silenzio di tomba sul palcoscenico. Applausi, fischi e apprezzamento in sala. Una specie di temporale di commenti, lampi e tuoni di approvazione o dissenso, soprattutto nei confronti di Alléno, che l'indomani si scuserà con tanto di comunicato per avere ricondotto la donna alla maternità. La domanda era particolarmente delicata e dirimente. Perché? Innanzitutto perché siamo in Francia, dove le cuoche donne stellate si contano sulle dita di una mano.

Due deliziose proposte di Guillaume Sanchez, chef di NeSo a Parigi
E poco rappresentano
Anne Sophie Pic (non dimentichiamo, erede di grandi chef maschi, il padre e il nonno) edunica donna a tre stelle di Francia in Francia, ed
Helene Darroze, pur brave portabandiera di un terreno minato per le donne specie d’oltralpe: le piastrelle della cucina. Poco rappresentano nel Pantheon delle stelle gastronomiche francesi, di pressoché totale appannaggio del maschio gallico.
E, sebbene un po’ meglio, si trovano a operare allo stesso modo e nello stesso mondo le donne in Spagna, dove Elena Arzak Espina e Carme Ruscalleda (a ristorante ormai chiuso...) guidano l’esiguità truppa femminile dell’alta cucina che deve contendere il ruolo a infinitamente più numerosi colleghi maschi. Per non parlare del Giappone... nella terra di straordinari tagliatori, friggitori, pastai e cucinieri, conoscete una cuoca giapponese famosa, anyone? No. Non ce n’è.

Una superba interpretazione del Tropézienne glacée da parte del pasticciere Yann Couvreur
Lascio per ultimo il nostro paese. Lascio in fondo le cuoche italiane. E qui un minimo si sta migliorando. Un tempo l’unica grande cuoca italiana era
Nadia Santini. L’unica che ancor oggi ci sollevi lo spirito con le sue meravigliose pietanze (e con la sua famiglia). L’altra, una..., c’era. Ma era venuta dalla Francia per allietare la tavola di chi straordinari vini mesceva in quel di Firenze. E siccome in Italia la apprezzavano, ci restò, a conquistare quelle tre stelle
Michelin di cui
Annie Féolde ancora si prende cura, con
Riccardo Monco ai fornelli dell’
Enoteca Pinchiorri.
Basta. Era veramente poco. Ma era anche un’epoca poco mediatica per i cuochi, figuratevi per le cuoche. Oggi finalmente in Italia abbiamo la fortuna di veder crescere nuove di donne al comando in cucina, anche se ancora troppo poche. Però è un sollievo poter contare su Valeria Piccini, Antonia Klugmann, Marianna Vitale, Cristina Bowerman, Martina Caruso, Caterina Ceraudo, Aurora Mazzucchelli e Gaia Giordano, per esempio. E a queste aggiungiamo le centinaia e centinaia di cuoche che lavorano dietro le quinte, o nei ristoranti di famiglia, come hanno sempre fatto le donne nelle famiglie italiane.

Hélène Pierini, brand director dei 50 Best, e Alain Ducasse, star chef a lungo molto critico verso la classifica inventata quasi vent'anni fa a Londra
Sono ancora troppo poche quelle che emergono. Ma forse questo è il punto: per farle emergere bisogna dar loro attenzione, anche mediatica. Bisogna considerare l’ipotesi che siano veramente brave come sono, che meritino la prima linea, che meritino il posto. Ma questo, direte voi, è il problema della condizione femminile in generale, in Italia e nel mondo.
Vero. Molto vero. Ma se non vogliamo donare alle donne lo scettro del comando, almeno il mestolo vogliamo riconoscerglielo? Forza donne... “Lotta dura per la verdura “, come diceva un motto anarchico degli anni Ottanta. Prendete il posto che vi spetta. Anche in cucina.