«In cinque anni ogni ristorante negli Stati Uniti adotterà lo stesso sistema». La frase è stata pronunciata poco più di un anno fa da Daniel Patterson nell'inaugurare il suo quarto ristorante nella Bay Area, Aster, in partnership con l'ex sous chef di Coi, Brett Cooper. Patterson non stava parlando di cucina, ma di soldi. Di abolire la mancia.
È una storia che racconteremo partendo da lontano.
La mancia innanzitutto per gli avventori stranieri è un equivoco che incomincia dal nome e finisce nella pratica comune. Al di là del capire che “si dà”, è un aspetto del sociale che ci vuole un certo tempo per interiorizzare appieno. Non è un premio, è un senso di colpa laico e collettivo per cercare di riparare al fatto che chi ti sta servendo una cena da centinaia di dollari con standard impeccabili venga pagato 6.5 dollari lordi all'ora. Le mance inoltre – salvo in posti orribili – si suddividono fra il personale tutto, di sala e di cucina. Non crea insomma uno speciale vincolo di riconoscenza fra chi la dà e chi la riceve.
Fatta questa premessa, possiamo passare al novembre del 2013.

Brett Cooper di Aster, primo ristorante di San Francisco a eliminare la mancia
Le elezioni di quell'anno hanno portato il senso di colpa a un altro livello e quasi ovunque sulle due coste si è votato per un aumento del salario minimo proporzionato al costo della vita. Che è passato da una media di 8.5 dollari lordi a 15.50 dollari netti, entro il 2018. Si è insomma deciso che era decente consentire a chi lavora in una città il potersela permettere e si è passati da un modello di business che pagava poco il personale incolpando clienti avari a uno che deve alzare i prezzi incolpando personale costoso. Non la faremo troppo lunga con gli aspetti sociali della vicenda, sono stati mesi orribili in cui tutti i prezzi sono saliti del 20% e tutti i ristoranti hanno perso il 20% dei clienti e tutti si lamentavano con le cameriere.
Poi, appunto,
Daniel Patterson è atterrato a Berkeley, ha inaugurato due ristoranti e un
venture capital fund con cui ne co-finanzierà tantissimi altri e in una pausa fra un evento e l'altro ha detto «aboliamo le mance». Il verbo si è fatto carne tanto alla svelta che centosettantuno ristoranti sparpagliati per tutti gli Stati Uniti hanno già abolito la mancia – una sessantina da queste parti, altrettanti fra Seattle e Portland, e poi, soprattutto, da dicembre, quattro a Manhattan. Assieme a tutti quelli di
Tom Colicchio a partire dal 2016.
Lo schema è semplice: si paga uno stipendio fisso al personale, si alzano i prezzi del 20%, si disincentiva la mancia. Tutti guadagnano di più, i clienti spendono uguale, è l'eden della ristorazione prima del frutto proibito e dell'olio al tartufo. Almeno questo è il come la vendono i proprietari, in estasi. La realtà è più articolata e complessa, ma è prematuro fare qualsiasi considerazione altra. L'esperimento funziona in modi differenti in luoghi differenti con modalità differenti, non un affare per il personale in aree di boom economico, l'esatto contrario in aree economicamente depresse. Si vedrà.
Il dato straordinario di questa per ora mini-rivoluzione riguarda la qualità della vita degli
chef de partie.
In un'area da 40 ristoranti ogni diecimila persone – così la Bay Area, che guida questa classifica negli Stati Uniti – lo
chef de partie è una figura quasi Dickensiana: le qualifiche richieste in una piazza tanto competitiva lo rendono più precario perfino di chi sparecchia la tavola. Turni di 14 ore, preparazione e batteria, debiti di studio che pure per i soli due anni di una scuola di cucina possono arrivare a centomila dollari. Passare da 6.5 dollari all'ora – senza mance perché mai inquadrati come personale – al libro paga, è una svolta epocale per una figura professionale che non è forse il motore creativo del rinascimento della cucina nordamericana, ma ne è certo una struttura portante.