18-11-2024

L'Italia del gusto vista dai "tedeschi": arriva Falstaff, vuole cambiare il modo di comunicare cibo e vino

È la rivista leader nei Paesi di lingua tedesca, ora sbarca nella Penisola: a dirigerla, i sudtirolesi Simon Staffler e Othmar Kiem, che puntano a creare una community e a usare un linguaggio diretto, che parli a tutti e non solo agli esperti

Un estratto della prima copertina di Falstaff Ital

Un estratto della prima copertina di Falstaff Italia

Si è svolta oggi la presentazione di Falstaff Italia presso il Padiglione Visconti, Laboratori della Scala Ansaldo a Milano. Il noto brand editoriale austriaco, già presente anche in Germania e Svizzera, fa così il suo ingresso nel nostro Paese con l'ambizione di cambiare la comunicazione nel settore gourmet, travel e lifestyle. L'evento meneghino - culminato in un pranzo a cura di Chicco Cerea, Massimiliano Alajmo, Massimo Bottura, Enrico Bartolini e del maestro pasticcere Gabriele Vannucci - ha segnato l'inizio di un percorso dedicato a tutti gli amanti del piacere in tutte le sue forme. Noi abbiamo fatto due chiacchiere con uno dei direttori di Falstaff ItaliaSimon Staffler.

La cerimonia di presentazione a Milano. Foto: ©HERB media

La cerimonia di presentazione a Milano. Foto: ©HERB media

In un mondo dell’editoria italiana sempre in grande affanno, apre una nuova rivista. In un mondo dell’alta enogastronomia che in molti raccontano in forte crisi, apre una rivista proprio di alta enogastronomia. Poi mettiamoci pure che tale iniziativa cala dal Nord, e non intendiamo Sondrio o Pordenone ma proprio il Nord-Nord: Falstaff Italia è il fratellino neonato di quel Falstaff che, fondato a Vienna nel 1980, è diventato nel tempo la più grande testata gourmet nei Paesi di lingua tedesca. Ecco: uniamo insieme tutti questi fattori e diventa dunque interessante capire cosa si celi dietro a questa nuova avventura.

Per farlo, abbiamo incontrato Simon Staffler, che di Falstaff Italia è direttore insieme a Othmar Kiem. A vederlo, sembrerebbe il classico ragazzone tedesco come te l’aspetteresti: imponente, lunga barba rossiccia, carnagione chiara e reattiva. È pure gioviale, spontaneo, due tratti che lo farebbero prediligere anche come compagno di bisboccia. E che lo collocano geograficamente – almeno nel nostro pregiudizio mediterraneo – non negli algidi Länder della Germania Settentrionale: e infatti Simon, come Othmar, è sudtirolese, di Lana (Bolzano) in particolare, dove è proprietario dal 1997 – sempre con Othmar - dell'azienda Wineline, che organizza viaggi enogastronomici in Italia sotto il marchio Wineline Tours, poi masterclass, eventi e già è fornitrice di articoli sul Belpaese per Falstaff in Germania, Austria e Svizzera.

 

Othmar Kiem, Wolfgang M. Rosam e Simon Staffler, ossia i due direttori e, al centro, l'editore di Falstaff. Foto: ©HERB media

Othmar Kiem, Wolfgang M. RosamSimon Staffler, ossia i due direttori e, al centro, l'editore di Falstaff. Foto: ©HERB media

PERCHÉ FALSTAFF ARRIVA IN ITALIA?
«Siamo la rivista di riferimento nell’Europa di lingua tedesca per il vino, la gastronomia, i viaggi e il lifestyle. Qui in Italia, come mi dici, il mercato dell’editoria è in crisi, ma noi altrove viaggiamo a gonfie vele da anni, per questo abbiamo deciso di allargarci. Poi c’è anche un secondo motivo: fare giornalismo enogastronomico è la nostra passione, oltre che una professione. E pensiamo ci sia spazio editoriale per un’iniziativa di questo genere: Falstaff non solo è un gruppo editoriale importante, che ha le spalle larghe, ma propone da sempre un approccio diverso alla comunicazione. Penso al mondo del vino: riteniamo venga raccontato male, o comunque in modo arrugginito, vecchio. Vogliamo portare pure in Italia una fruizione diversa».

 

COME VORRETE ESSERE DIFFERENTI?
«In Germania, Austria e Svizzera siamo il magazine di riferimento non solo per il vino, il cibo e il buon gusto, ma anche per turismo, lifestyle, moda, potrei dire tutte le cose belle. Questo è avvenuto perché Falstaff da tempo è uscito dalla solita nicchia di fricchettoni del vino e del cibo, autoreferenziale, dove comunichiamo solo tra di noi: giornalisti, chef, fornitori. Noi siamo invece business to client, ossia non ci sentiamo una rivista di settore: non ci legge solo l’esperto, parliamo un linguaggio comprensibile, riusciamo a coinvolgere le persone e a interagire con loro direttamente attraverso i vari canali: la rivista cartacea (in italiano sono previste quattro uscite all’anno), il sito, i social media, le newsletter e persino un “club gourmet” che organizza eventi. Falstaff non è solo un magazine, è un piccolo mondo, una community. Vogliamo costruirla anche in Italia».

 

La copertina del primo numero italiano di Falstaff, protagoniste proprio le nonne

La copertina del primo numero italiano di Falstaff, protagoniste proprio le nonne

COME COSTRUIRETE UNA VOSTRA COMMUNITY?
«Dove siamo già presenti da anni, risultiamo ormai autorevoli, credibili. Se organizziamo un evento, i buongustai accorrono perché si riconoscono nel nostro marchio, “lo fa Falstaff, quindi voglio andarci”, il nostro brand è una garanzia. Qui in Italia dobbiamo cominciare da zero o quasi, sappiamo che ognuno di noi è bombardato di informazioni anche enogastronomiche, tutto il giorno. Per mettere radici, punteremo quindi su una comunicazione diversa da quella classica, quella che è stata proposta fino ad oggi. Non mi metto a scrivere che un vino ha sentori di frutti rossi; semmai, andrò – anzi, sono andato – al Merano Wine Festival per chiedere ai partecipanti quanto e cosa han bevuto la sera prima. Funziona, perché  l'approccio risulta immediato e interattivo, raggiunge anche una persona che del vino non capisce niente. E poi ci portiamo dietro quel patrimonio di credibilità che Falstaff si è conquistato nel tempo: saremo sempre obiettivi e indipendenti. Puro rigore teutonico! (ride, ndr)».

 

LE NONNE E IL MONDO TEDESCO - (Osservazione di chi scrive: in Italia, croce e delizia di ogni buongustaio sono sempre le nonne, o per meglio dire il riferimento continuo alle nonne, quasi un mantra. Le nonne sono le depositarie del nostro straordinario patrimonio gastronomico, le nonne sono anche il limite a ogni innovazione, a qualsiasi sviluppo. E nei Paesi di lingua tedesca?)
«Tale modello “all’italiana” esiste nell’arco alpino, dove c'è grande cultura della terra e della materia prima: Svizzera, Tirolo, Baviera. O anche a Vienna, ma proveniente dalla Boemia, perché alla corte degli Asburgo in cucina c’erano donne boeme. Altrove è diverso, manca questa forte cultura gastronomica, il cibo è sempre stato visto solo come nutrimento, c’è dunque più spazio per le novità. Questa cosa delle nonne è comunque affascinantissima, ne parliamo sul primo numero di Falstaff: “Nonna hype”».

 

Simon Staffler e Othmar Kiem

Simon Staffler e Othmar Kiem

COSA NON FUNZIONA NELLA RISTORAZIONE ITALIANA?
«Dico una cosa su tutte, magari banale: il servizio di sala. Noi italiani siamo empatici, sappiamo fare accoglienza. Ma non è possibile che chi lavora nella ristorazione o nel turismo - poi in un Paese che dal turismo è invaso – sappia solo la lingua italiana. Almeno l’inglese è necessario! Un buongustaio tedesco o austriaco è frenato dall’idea che, venendo in Italia, poi ha difficoltà a comunicare col cameriere».

 

IL FINE DINING È DAVVERO IN CRISI? - (Se ne parla tanto, anzi troppo e a sproposito, in Italia: il fine dining è in crisi, torniamo alla trattoria. Cosa accade nell’Europa tedesca e cosa ne pensa Falstaff?)
«In Germania ci sono difficoltà perché dall’inizio di quest’anno l'Iva – Mehrwertsteuer in tedesco - nella ristorazione è tornata al 19%, dopo essere stata per quasi tre anni al 7% come incentivo durante le crisi pandemica ed energetica. Così, anche a causa dei rincari della materia prima, andare al ristorante è diventato molto più costoso. Poi c’è una crescente scarsità di personale. Per il resto, la penso come Alain Ducasse: l’alta cucina non è destinata a scomparire, ci sarà sempre. Quanto alla contrapposizione tra alta cucina e trattoria, sono come Homer Simpson: c’è un episodio in cui è seduto in aereo, arriva la hostess e gli chiede: “Signor Simpson, preferisce una bistecca o due bistecche?”. E lui risponde: “Posso avere entrambe?”. Per me è lo stesso, nella scelta tra fine dining e trattoria».

 

Premio alla carriera per Vittorio Moretti. Foto: ©HERB media

Premio alla carriera per Vittorio Moretti. Foto: ©HERB media

DUE RISTORANTI ITALIANI CHE FALSTAFF ADORA?
«Non posso non citare il Piazza Duomo ad Alba: Enrico Crippa è un mostro, ti alzi dal tavolo, hai mangiato non so quante portate e ti senti leggero. Poi, il servizio è competentissimo. Inoltre, ti dico un’insegna di tutt’altro tipo, dove sono stato la scorsa settimana: l’Enoteca della Valpolicella a Fumane (Verona). Di martedì era piena zeppa, si beve ovviamente benissimo, ha una carta vini pazzesca, poi ho mangiato in maniera favolosa. Il mio menu: insalata tiepida da autunno, crema di patate col tartufo, poi due tipi di pasta e una straordinaria faraona ripiena, il tutto innaffiato con un Amarone di Speri del 1990. Una vera osteria!».


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

Carlo Passera

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Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

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