Il food delivery è la sfida che tentiamo per ritornare a quella perduta normalità, fatta di ristoranti e di atmosfere che, in un touch sul telefono, inventiamo invece ogni volta a casa. Ma ci riusciamo davvero? È sulla curva di questo interrogativo che chef e ristoratori hanno inventato e sfidato l’ingegno: continuare a vivere loro, continuare a emozionare noi.
Essere accolti in un ristorante non solo a pranzo, vivere una oramai perduta convivialità, ascoltare ciò che lo chef sta raccontando nel suo nuovo menu, essere coccolati dall’intera sala…forse è questo ciò che manca davvero a tutti. E allora, eccoci di nuovo pronti in un touch a non cadere in questa malinconia e in quello stesso touch a ordinare un food delivery che per una volta è stato o sarà anche stellato.
Il panorama capitolino ha un piccolo ristorante che quasi timidamente si impone tra Piazza Navona e il Pantheon, un meraviglioso ristorante che con i suoi artigiani lavora instancabilmente alla riuscita della nostra piena soddisfazione, oggi soprattutto in delivery. La sua grande sfida è portare a casa quei particolari che si respirano seduti al ristorante, perché proprio questi non possono essere dimenticati: quelle sfumature di dettagli (che nel delivery diventano anche packaging) e la piena garanzia della qualità dei prodotti.
Questo è il fil rouge della comunicazione che ancora oggi crea
Retrobottega. «È complicato dare una forma a ciò che per noi è tutto fondato sulla condivisione», così
Alessandro Miocchi, chef e proprietario del ristorante insieme a
Giuseppe Lo Iudice, racconta il suo delivery che inizia come uno shock: la forte paura era quella di modulare l’offerta di
Retrodelivery basandosi soprattutto sull’esperienza all'interno del loro locale.
Il delivery di Retrobottega è stato un percorso che oggi ha raggiunto la sua evoluzione. Durante quest’anno di pandemia, il servizio ha assunto varie forme, ma tutto è partito da quella prima scelta: «Mandare in delivery i prodotti che usiamo al ristorante, non proporre quindi la consegna di questi già cucinati, ma solo i prodotti, in un gesto che è significato anche mano tesa e aiuto reciproco con i produttori. Abbiamo infatti creato - continua
Alessandro - una sorta di rete, una piattaforma e-commerce dove i loro prodotti erano scelti da noi e rivenduti ai nostri clienti», nell’invito costante di scegliere e seguire la strada dell’alta qualità di
Retrobottega.
Una prima fase, questa, dominata da una certa difficoltà soprattutto nell’interagire in questo modo con il cliente. E sebbene lo scoraggiamento fosse forte,
Alessandro e
Giuseppe continuano a usare l’ingegno e danno una svolta al loro servizio in consegna: «Un format partito da questa estate, ideato esclusivamente per il delivery,
Retropizza: al centro di tutto c’è la nostra tecnica e la ricerca delle materie prime al servizio del cliente. La nostra proposta vede infatti uno studio approfondito sull’impasto, cosa che ci permette di consegnare a casa una pizza capace di sostenere una rigenerazione casalinga, il condimento è chiaramente adeguato all’impasto. Tutto è accompagnato dalle istruzioni per la rigenerazione».
Quando chiami a casa
Retrobottega, ti arriva la consapevolezza che hai scelto proprio loro. Il packaging, tutto ecologico e sostenibile, si è sviluppato sulla scia di quello che accade all’interno del piccolo “laboratorio” di pasta, pane, focacce e grissini che si trova proprio di fianco al ristorante,
Retropasta: pasta trafilata o ripiena preparata dagli chef da prendere, portare via (cruda o cotta) o mangiare lì, focacce, sughi e vino: «Il packaging si è modulato sulla base di quello che già usavamo per la pasta e i gli altri prodotti».
E adesso? In prossimità della Pasqua, cosa possiamo aspettarci da
Retrobottega? Qui la voce dello chef un po’ si rompe: «Non so rispondere, sono stanco, ogni volta un cambio di marcia, un blocco, al momento non lo so». Quanto è comprensibile! Quello che possiamo dire, certi e consapevoli di ogni parola, è che l’impegno di
Retrobottega resta quello di mettere al centro della propria attenzione sempre e comunque il cliente, e questo lo dimostra anche il metodo di consegna: «All’inizio ci siamo affidati a terzi, ma poi abbiamo capito quanto fosse importante per il cliente vedere, sebbene sull’uscio della porta, uno di noi». Affidarsi allo staff per le consegne è stato ed è tuttora un po’ come una carezza in più che
Retrobottega fa al suo cliente, un gesto che dietro la mascherina sussurra:
noi ci siamo, la sala c’è. Ancora. E ci manchi.