Non sarà l’ombelico del mondo. Eppure di buone ragioni per arrivare fino a Tricase ce n’è più d’una, tutte comprese nella loro magnifica fissità, estate e inverno. La Quercia Vallonea, per cominciare. Una venerabile signora di 850 anni che giganteggia solitaria nel cuore del Parco regionale della costa idruntina. Per cingerne il tronco ci vogliono almeno due paia di braccia capienti, forse tre. Lei stende le fronde su una superficie di almeno 700 metri quadri, apertura alare di materna, monumentale bellezza che fa ammattire botanici e spiriti romantici, sulla provinciale che collega Tricase a Tricase porto. Tricase porto, tappa di fascino altrimenti lillipuziano: un porticciolo per barche da diporto, gli scogli puntellati di salicornia e la processione a mare di Santo Nicola che il 13 agosto illumina l’orizzonte di fuochi d’artificio. Cinque minuti d’auto più in là, stesso versante adriatico, Marina Serra. Uno spettacolo abbacinante di grotte e cave (di tufo?) e acqua tersa dove le signore âgée si esercitano con l’acquagym di primo mattino e gli innamorati si rifugiano quando fa notte. Piscine naturali le chiamano da queste parti, come se la natura potesse contare rivali fra le architetture olimpioniche.

Antonio Guida sul palcoscenico di Identità Golose 2017 a Milano
E poi, o prima, Tricase. Patria di
Giuseppe Pisanelli, giurista e accademico garibaldino il cui bronzo se ne sta in grazia di dio nella piazza centrale della città che ne porta il nome. Un’atmosfera fra Messico e Salento, stessa piazza dove
Farmacia Balboa mesce drink d’autore, da quando
the queen Helen Mirren e il regista gentiluomo
Taylor Hackford ci hanno fatto casa. Lady
Mirren ha messo la sua fama a servizio di questo scampolo di terra minacciato dalla xylella, eletto a
buen retiro insieme al consorte. La stessa al centro della poetica del regista
Edoardo Winspeare, che a Depressa frazione di Tricase ci vive da quando era bambino. Depressa dice qualcosa di molto buono anche ai gastronauti. Qui è nato
Antonio Guida, lo chef del
Seta al Mandarin Oriental di Milano ovvero il più alto in grado fra i cuochi di origine pugliese (due stelle Michelin e 197 centimetri portati con perfetta disinvoltura). Terra fertile di suggestioni, insomma, anche se
Guida confessa di aver dovuto darsela a gambe per diventare se stesso.

Millefoglie di bombetta di Martina Franca al Cozze e Gin - Lemì bar (foto Daniele Met)
Uno e trino, resiste invece il cuoco
Ippazio Turco, alfiere della cucina d’autore alta, pop e persino a tre ruote. Ovvero un apecar che ogni tanto s’affaccia a Tricase porto, dove lo chef firma il suo cibo da strada, di scoglio e di mare. La seconda è una trattoria contemporanea, evoluzione della cucina popolare pansalentina, dove a dispetto dell’insegna –
Cozze e gin – le preparazioni a base di pesce se la giocano alla pari con le carni. Vedi la
Millefoglie di bombetta, dove gli ingredienti del celebre involtino di carne alla pugliese si servono stratificati. O il
Coniglio arrotolato con la paparina (piatto ultra tradizionale a Tricase e dintorni, si tratta di rosolaccio, il comune papavero, raccolto prima che germogli il fiore, saltato con aglio, olio, peperoncino e olive nere).

Gamberetti rosa puntarelle menta limone e opunzie, un piatto del Lemì (foto Daniele Met)
Ma è il
Lemì l’avamposto di resistenza gourmet, il corner dove lo chef si esprime senza scorciatoie ruffiane, con tratti peculiari e netti, riconoscibili. Il paniere di primizie autoctone, di terra e di mare, a questo indirizzo si raccontano con altri accenti, la frutta non è più un’appendice a fine pasto ma comprimaria in primi e secondi piatti. La cifra di stile, il marchio di fabbrica, è sempre il colore: grandi macchie di nuance allegre, brillanti, dal nero al giallo, dal rosa al violetto, dal verde tenue alle note più scure, in un melting pot di cromie che fanno la gioia di questa cucina. Vedi il
Gambero shocking, dove il rosa della tavolozza di base sfiora la fluorescenza grazie alla marinatura in acqua di mare e opunzie, servito con puntarelle, menta, guava e ancora opunzia. Il risultato è agre ma dolce, complesso e leggero, certamente estivo, di grande freschezza. Si fa apprezzare d’inverno e d’estate invece, il celebre
Spaghetti, spaghettini e spaghettoni, tre consistenze e altrettanti formati di spaghetti
Cavalieri, benedetto pastaio di Maglie, con terna di pesci di taglie decrescenti, cernia, scorfano e pettinesse.

La sommelier del Lemì, Margherita Scarnera (foto Daniele Met)
Cucina mediterranea senza ripensamenti che conquista ospiti meno ma anche più esperti, sfidando l’inverno salentino col suo letargo lungo e micidiale anche per la ristorazione.
Lemì
via Vittorio Emanuele II, 16, Tricase (Lecce)
tel. +39 347 5419108
prezzo medio 45 euro
ristorantelemi.it
Cozze e gin – Lemì bar
via Tempio, Tricase (Lecce)
tel. +39 347 5419108
prezzo medio 25 euro