03-12-2015
Il pane fragrante realizzato dai detenuti del carcere di Alessandria all'interno del progetto curato dalla cooperativa sociale Pausa Cafè di Marco Ferrero. Un'eccellenza certificata anche da Carlo Cracco e Andrea Ribaldone
Il pane è migliore, organoletticamente parlando, se è anche buono dal punto di vista etico e sociale. Il pane buono e persino più buono è stato servito durante i sei mesi d’Identità Expo e viene dritto dritto dai cosiddetti cattivi, quelli che “vanno messi in carcere e buttiamo via la chiave”. Un’opinione legittima quanto sciocca, ma la nostra dissente anche solo su un punto: perlomeno non chiudete loro la serratura della porta che conduce al forno. Perché sanno ricavarvi fragranti delizie.
Questa storia ha inizio nel 2010 e a raccontarcela è Marco Ferrero, presidente della cooperativa Pausa Cafè. Che c’entrino arabica e robusta ve lo sintetizziamo però subito noi, facendo un passo indietro. Anno 2004, Ferrero si trova in Guatemala a seguire progetti di cooperazione. Ha un’idea, per la quale crea Pausa Cafè: crea in link diretto coi piccoli produttori guatemaltechi (il loro raccolto è garantito Slow Food) per un progetto allora pioneristico in Italia, la prima iniziativa di lavoro in carcere di questo tipo, una torrefazione nella casa circondariale di Torino; subito arrivano qualità e successo, tanto che oggi quei chicchi tostati sono commercializzati da Eataly, Vergnano e Coop in Italia, ma poi anche negli Stati Uniti e in Giappone.
Ribaldone, con il suo sous chef Domenico Schingaro, insieme a Ferrero e i detenuti che partecipano al progetto di panificazione curato da Pausa Cafè
Per questo a Identità Expo abbiamo scelto il pane alessandrino, che giungeva da una delle due prigioni di Alessandria, quella di San Michele. Un’attività iniziata, appunto, nel 2010, anche se per vedere sfornare le prime pagnotte si è dovuto attendere altri due anni, perché l’arte della panificazione è delicata e complessa, e chi vi si dedica – attualmente 14 persone, delle quali 10 detenute – ha avuto bisogno di tempo per imparare.
La lezione è servita. Oggi i “cattivi” di Pausa Cafè sfornano settimanalmente 3.500 chili di ottimo pane, ma a volte la produzione, in periodi topici come durante Expo, ha toccato i 2.500 chili giornalieri. Due tipologie, entrambe artigianali: un “pane quotidiano”, bianco, e uno di segale. «E sempre all’insegna dell’eccellenza – spiega Ferrero – Lievito madre, forno a legna (acquistato a Barcellona, superficie di cottura di 20 mq, una delle più grandi in Italia, ndr), farine biologiche, lievitazione lenta di 18 ore. Così possiamo fornire un prodotto con una piacevole acidità e un aroma unico».
Una fase della lavorazione
Perché, Andrea? «Semplice: perché il pane è importante. Molto spesso nell’alta ristorazione vengono proposti panetti home made, approssimativi, troppo grassi, aromatizzati in mille modi diversi… Vanno bene magari come snack iniziale, ma hanno un problema di fondo: non sanno di buon pane!». Meglio comprarlo piuttosto dai fornitori giusti.
Gli chef intelligenti – annoveriamo Ribaldone tra questi – scelgono quindi pani come dio comanda. «A I Due Buoi ne proponiamo tre tipi. Il primo lo realizza il nostro pasticcere e panificatore Carlo Scanferla: multicereale, con lievito madre. Poi un secondo è invece di un maestro, Eugenio Pol: integrale, speziato, sfizioso…». Ma l’archetipico, bianco e profumato, è quello realizzato dai ragazzi del carcere San Michele.
Pagnotte calde al carcere di Alessandria
Il bello che nasce dal brutto: non è solo una questione di (buon) gusto, qui viene in mente De André.
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
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classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera