16-03-2018
Daniel Young con alle spalle il golfo di Napoli e il Vesuvio, in una foto di Luciano Furia. Il giornalista americano ha pubblicato nel 2016 "Where to eat pizza" per Phaidon, una specie di atlante delle pizze più buone del pianeta. Delle 20 migliori pizzerie al mondo, 10 erano italiane, di cui 7 nei primi 10 posti
Come la maggioranza dei nostri lettori saprà molto bene, il dibattito “social” degli appassionati di gastronomia (e non solo...), nell’ultima settimana, è stato quasi monopolizzato dalla polemica sulla Margherita servita nel nuovo bistrot di Carlo Cracco. Da molti commentatori online considerata un tradimento della “vera” pizza. Quando poi un grande interprete della pizza napoletana come Gino Sorbillo ha deciso di esporsi per difendere il cuoco veneto, affermando di averla assaggiata e di averla trovata molto buona, e rivendicando soprattutto la libertà di interpretazione della pizza da parte di uno chef come Cracco, i puristi dell’ortodossia napoletana sono insorti.
Su queste pagine ne ha scritto Carlo Passera, raccontando le sue impressioni dopo averla assaggiata e le sue valutazioni sul dibattito avvampato in questi giorni. Per ascoltare un punto di vista diverso, meno direttamente coinvolto, abbiamo pensato di fare qualche domanda a uno dei più raffinati conoscitori della pizza: Daniel Young, americano ma da qualche tempo di stanza a Londra, che ad aprile 2016 ha pubblicato per Phaidon una specie di atlante mondiale del disco lievitato, “Where to eat pizza”, guida delle migliori pizzerie in 1.705 segnalazioni.
Young non è solo un profondo conoscitore della materia, è soprattutto un vero amante della pizza, che quindi ha seguito la vicenda con viva curiosità, anche se dall'estero. Per questo, come prima cosa, ha voluto fare qualche precisazione, mettendo un po’ le mani avanti: «Ci tengo a sottolineare che non so con quale spirito Carlo Cracco abbia immaginato questa pizza, e soprattutto che non l’ho assaggiata. Non sono solito giudicare un piatto da una foto, soprattutto quando quella foto non è particolarmente benevola, come è successo per questa Margherita. La prima immagine che poi è diventata virale non le rendeva giustizia, in seguito ne ho viste altre decisamente migliori».
La Margherita di Cracco (foto Tanio Liotta)
Nell'esplorazione del "movimento pizza" in Italia compiuta per il tuo libro, hai sicuramente avuto modo di conoscere il dibattito, non nuovo, tra chi è fedele all’ortodossia napoletana e chi invece interpreta la pizza con creatività. Che fotografia faresti della situazione nel nostro paese a riguardo? Partirei da una considerazione: io sono nato e cresciuto a New York, e in quella città la pizza che viene fatta dagli immigrati napoletani è molto diversa dalla classica pizza napoletana. Ma anche viaggiando attraverso l'Italia, nella maggior parte dei posti si mangia una pizza più sottile, più croccante, più asciutta di quella napoletana. Il paradosso è che sicuramente i napoletani si sono inventati questa ricetta, che poi però è diventata il cibo più popolare in tutto il mondo. Attraverso questa diaspora, la ricetta è stata assimilata e modificata. In questo momento in tutto il mondo si sta riscoprendo la vera pizza napoletana: a New York, in Giappone, e anche in Italia. E’ una specie di Rinascimento. Ma questo non significa che altri non possano prendere ispirazione dalla pizza napoletana per proporne una versione originale, io non credo che sia un insulto alla tradizione.
Daniel Young con Gino Sorbillo (foto Luciano Furia)
I difensori dell'ortodossia napoletana si erano già scagliati qualche anno fa contro la cosiddetta “pizza gourmet”... E’ vero: allora si parlava di un movimento, in qualche modo contrapposto alla pizza tradizionale. In realtà si trattava semplicemente del lavoro che alcuni panificatori hanno dedicato all'arte della pizza, perfezionando impasti, lievitazione, cottura. Molti napoletani l’hanno vissuto come un rifiuto della loro tradizione, io penso che fosse l'opposto: questa ricerca ha dimostrato come la pizza fosse qualcosa di molto importante, di molto serio. Non solo non era un oltraggio alla tradizione, era una dimostrazione di grande rispetto, che si è espresso nel desiderio di utilizzare le farine migliori, recuperando i grani antichi, di sperimentare con il lievito madre, di dedicare il proprio lavoro all'evoluzione della pizza. Poi certamente ci sono alcuni che commettono dei gravi errori, ma molti altri ottengono risultati meravigliosi. Pensiamo a un pizzaiolo come Franco Pepe: parte dalla tradizione napoletana, ma volendo anche metterci se stesso e le proprie idee. Se togli a un pizzaiolo la libertà di esprimere il proprio pensiero originale, stai facendo male alla pizza.
Un'affissione nel centro di Caiazzo (Caserta), con protagonisti Daniel Young e Franco Pepe. Il pizzaiolo di Pepe in Grani è stato indicato da Young come il migliore del mondo
Tutte le notizie sul piatto italiano più copiato e mangiato nel pianeta
a cura di
Giornalista milanese. A 8 anni gli hanno regalato un disco di Springsteen e non si è più ripreso. Musica e gastronomia sono le sue passioni. Fa parte della redazione di Identità Golose dal 2014, dal 1997 è voce di Radio Popolare Instagram: @NiccoloVecchia