Tre generazioni di cuoche si sono succedute nella mia famiglia, io sono l’ultima, e certe volte mi chiedo se è un caso che io sia diventata madre di due bambine. Di certo c’è che nella nostra cucina il matriarcato è la regola da sempre, così come le femmine in famiglia sono una maggioranza soverchia alla quale gli uomini devono adattarsi, non foss’altro che per questione numerica.
Da nonna Rosa, con la quale è cominciata l’avventura de Al Fornello da Ricci, a mia zia Maria che insieme a mia madre Dora hanno raccolto la sua eredità, fino a me. Sono cresciuta fra l’una e l’altra, in mezzo alle pentole e al loro gran daffare, attaccata alle gonne e ai grembiuli di queste donne laboriose, allegre, creative, che chissà come riuscivano a spadellare dalla mattina alla sera con noi bambini fra i piedi. E’ da quel tempo remoto che ha preso forma dentro di me l’associazione fra cibo e sentimento, nutrimento e coccole. Forse, ancora adesso, non conosco un altro modo per rendere felice chi mi sta accanto.

Antonella Ricci e il marito Vinod Sookar, mauriziano
E’ per questo che quando per me è arrivato il tempo di scegliere, dopo gli studi in Economia e anni di incursioni semi-clandestine in cucina, ho deciso: voglio fare la cuoca, ho detto a mio padre
Angelo. Non ha avuto esitazioni nell’assecondarmi, è stato lui ad insegnarci che nella vita avremmo dovuto fare esattamente quello che volevamo fare. E non è stata una scelta indolore. A mie spese sapevo già che la cucina è un mestiere che ti riempie la vita così come te la ruba, perchè lavorare 20 ore al giorno significa vivere in un tempo sospeso dove smetti di essere moglie, madre, figlia, amica. La prepotenza del mio desiderio ha avuto la meglio sulla vertigine spaventosa del sacrificio e delle rinunce, e ho scelto.
E’ stato così che ho partecipato a un master da
Paul Bocuse. Sempre in Francia, nel due stelle Michelin di
Gilles Tournadre a Rouen, ho trascorso due mesi nel corso dei quali ho capito che in cucina l’improvvisazione non esiste. E’ stata una scuola ferrea. Al mattino lo chef controllava innanzitutto se eri pulito, in ordine. Non so cosa avvenga nelle caserme ma, insomma, immagino che la disciplina militare risponda a codici che somigliano a quelli che regolano il nostro mondo. Non devi avere solo
physique du role ma tempra, e un caratteraccio aiuta. Perchè dietro a un piatto servito in tavola c’è un meccanismo a orologeria in cui tutto deve marciare a ritmi serrati, timer, fuoco, sincronia nella cottura delle pietanze. Tutto deve arrivare pulito, immacolato, sano, un solo errore, una distrazione può trasformare un boccone di salute in un pericolo, un’insidia.
Con queste consapevolezze sono arrivata a occupare il posto che era stato delle donne di casa prima di me. Con una differenza, di sostanza: mia nonna cucinava e stava zitta. Io sono nata dopo di lei, in una generazione per la quale il resto del mondo è vicino e gli spazi per le cuoche sono assai meno angusti di un tempo, anche se la proporzione fra uomini e donne al comando delle brigate la dice lunga a favore di chi penda la bilancia.

Al Fornello da Ricci, Ceglie Messapica (Brindisi), contrada Montevicoli. Telefono +39.0831.377104
Io sono stata fortunata, anche in questo. Ricordo come fosse ieri il pomeriggio di 17 anni fa quando, appena finito di lavorare, ero sul letto accanto a mia madre soddisfatta del lavoro sì, ma immalinconita dalla consapevolezza che difficilmente un uomo avrebbe accettato di vivere accanto a una cuoca. Arrivò una telefonata di
Sandro Morari che mi invitava a partecipare ad una festa organizzata da
Igles Corelli a Mauritius. Sono volata all’altro capo del mondo per buttarmi il dolore alle spalle e una volta arrivata a destinazione sono stata affiancata ad un giovane cuoco del posto, tale
Vinod Sookar.
Ho capito subito che era un professionista straordinario, e dopo un paio di ricette a quattro mani eravamo cotti tutt’e due. Su una pentola bollente di curry di pesce ci siamo dati il primo bacio, e qualche mese dopo è venuto a Ceglie annunciando alla mia famiglia che voleva sposarmi. Mio padre, che lo adorava, gli rispose: “Ma ti rendi conto? Sei sicuro? Quella è matta”. Da allora non ci siamo mai più separati, la nostra è la cucina di due cuochi a cui piace innanzitutto mangiare, con creatività e idee differenti, ma con una certezza di fondo che è la stessa: un piatto buono è innanzitutto nutriente, materno, salutare.
Come nel racconto di
Roberta Corradin, “Gli angeli nella zuppa”, quando parla del piatto che
Nadia Santini preparò per lei febbricitante, “mi sentii subito meglio”, racconta l’autrice, miracolosamente. Ecco, la cuoca che voglio diventare ha sempre in serbo un ingrediente segreto, dal potere medicamentoso.
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