18-06-2021

Nel nome di Domenico Clerico, guardando al futuro del Barolo

L'enologo della nota cantina delle Langhe, Oscar Arrivabene: «Il suo insegnamento? Non dare mai nulla per scontato»

La titolare Giuliana Viberti con l'enologo Osc

La titolare Giuliana Viberti con l'enologo Oscar Arrivabene nelle vigne della Domenico Clerico di Monforte

Sono ormai 4 anni che Domenico Clerico non c’è più, ma la sua eredità e il suo spirito entusiasta continuano a vivere nella cantina di Monforte.

E lo sa bene Oscar Arrivabene, enologo e direttore dell’azienda che è ora passata in mano alla moglie di Domenico, Giuliana Viberti. «Vogliamo mantenere la stessa mentalità di Domenico – racconta Arrivabene – Le nostre porte sono sempre aperte».

Domenico Clerico è scomparso 4 anni fa

Domenico Clerico è scomparso 4 anni fa

La filosofia è quella di rappresentare non il Barolo in generale, ma il Comune di Monforte nello specifico, essere i portabandiera di un territorio. A partire anche dai vini più semplici, come il Dolcetto: «In realtà – spiega l’enologo – per questo vino, che è un Langhe Doc, utilizziamo alcuni filari che rientrano già nella Docg Dogliani. È sicuramente un vino di ingresso: mi rendo conto che, anche quando mi incontro semplicemente con gli amici per trascorrere una serata, e magari arrivo per primo, il Dolcetto è il bicchiere d’entrata, che oltretutto riporta l’oste al centro dell’attenzione. Perché è l’oste che te lo consiglia, che ti invita ad assaggiarlo. Per quanto riguarda la produzione del nostro Dolcetto, cerchiamo di farlo nella maniera più semplice possibile, con le vecchie ricette degli anni Ottanta. Vogliamo che sia molto aromatico, ma che non abbia tannicità importanti e non vogliamo nemmeno una surmaturazione».

La cantina a Monforte

La cantina a Monforte

Un vino per certi versi essenziale, ma che ha il grande vantaggio di essere un bel modo di “entrare” nelle Langhe, con un bicchiere schietto e spensierato.

Un passo in avanti: ecco il Langhe Nebbiolo Capisme. «Deve essere un vino rappresentativo del territorio e approcciabile – sottolinea Arrivabene – Nasce nel 2009 da una vigna giovane. L’intenzione di Domenico era quella di fare il miglior Langhe Nebbiolo possibile, non di fare un altro Barolo, che già ne aveva tanti. Per questo ha voluto delle rese di 70 quintali ettari, senza eccessive concentrazioni, con l’intenzione di mantenere viva la parte fruttata. Vinificazione e affinamento sono in acciaio. Per Domenico Clerico, che era considerato un “modernista”, si trattava di un cambio di passo».

Il Capisme è un Nebbiolo di grande personalità

Il Capisme è un Nebbiolo di grande personalità

C’è un particolare aneddoto anche sul nome: «Si chiama Capisme, che in piemontese significa “capiscimi”, per due motivi. In primo luogo voleva far capire cos’è la varietà Nebbiolo nella sua purezza e nella sua essenza. Ma era anche un modo, per Domenico, di farsi capire, dopo che la malattia gli aveva provocato alcuni problemi proprio di comunicazione».

E così voleva farsi capire non con le parole, ma con il vino: Capisme, appunto. Il risultato rispecchia la volontà di Domenico Clerico: l’immediatezza, ma anche l’eleganza del Nebbiolo escono subito, senza fronzoli, con una bevibilità assoluta e con l’assaggio che spinge subito a versarsene un altro bicchiere.

Un'altra bella immagine di Oscar Arrivabene e Giuliana Viberti, questa volta in cantina

Un'altra bella immagine di Oscar Arrivabene e Giuliana Viberti, questa volta in cantina

Discorso diverso per il Barolo. «Domenico Clerico era un uomo che sapeva prevedere i tempi. E che sapeva osservare molto bene. Per la vigna di Bussia, infatti, scelse di acquistare la vigna sotto quella di Aldo Conterno. Sulla Ginestra non c’era nessuno, dove aveva comprato, ma lui era sicuro che nel tempo avrebbe avuto ragione. Tutte le vigne, ora, hanno un’età media tra i 40 e i 50 anni».

E poi ci fu il passaggio epocale. «Domenico, come detto, era considerato un “modernista” – ricorda Arrivabene – per il suo uso delle barriques. Ma nel 2014 aveva deciso che bisognava tornare a cercare l’eleganza, e ci fu la sterzata, con la diminuzione progressiva del legno». Un’indicazione che lasciò in eredità, perché purtroppo Domenico Clerico si spense nell’estate di quello stesso anno.

Le vigne dell'azienda

Le vigne dell'azienda

«Il Barolo – spiega l’enologo – attualmente fa una piccola parte di affinamento in barriques per poi passare in legno grande. Vogliamo fare un vino che sia buono ora e anche in futuro». Il risultato è sicuramente di un Barolo 2017 molto piacevole, con una buona complessità olfattiva ma senza troppe “componenti esterne” a precludere l’unicità del Nebbiolo. L’equilibrio in bocca è notevole, ma con una buona verticalità.

Andando invece al Barolo Cru Ciabot Mentin, dalla vigna Ginestra, in questo caso la ricerca è di un vino che abbia le carte in regola di un lungo affinamento. Anche in questo caso c’è un passo indietro rispetto al passato: 8 mesi in barriques e poi botte grande per il resto dell’affinamento.

Il Ciabot Mentin, uno dei Cru di Barolo della cantina Domenico Clerico

Il Ciabot Mentin, uno dei Cru di Barolo della cantina Domenico Clerico

La differenza maggiore, per questo Barolo, sempre annata 2017, la fa il terreno: stiamo parlando di un vino che ha sicuramente una maggiore struttura, senza essere pesante, e con un naso al momento meno d’impatto, ma comunque molto complesso. Il futuro riserverà sicuramente belle sorprese, in un’annata che comunque non era stata particolarmente facile.

«Il principale insegnamento che ci ha lasciato Domenico Clerico è quello di non dare mai nulla per scontato – conclude Arrivabene – perché quello che hai fatto prima non è sempre giusto. E mi disse: “Abbiamo esagerato con le barriques. Se si sbaglia, si chiede scusa e si può tornare indietro”». Un insegnamento, non solo per chi sta portando avanti ora la sua azienda, ma che dovrebbe essere esteso anche a molti altri produttori. Un passo indietro è possibile.


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

a cura di

Raffaele Foglia

giornalista de La Provincia di Como, sommelier e appassionato di birra artigianale. Crede che ogni bicchiere di vino possa contenere una storia da raccontare. Fa parte della redazione vino di Identità Golose

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