09-10-2019
Foto di gruppo dei produttori del WineLab del Valtellina Wine Festival, evento tenutosi il 20 e 21 settembre scorsi a Chiavenna (Sondrio) e dintorni
I grandi si incontrano e si scambiano energie, stimoli per il futuro: non si temono. Una certezza che vale anche per i vini. E che è diventata il perno del Valtellina Wine Festival, ideato e curato da Giacomo Mojoli.
Due giorni intensi a Chiavenna, che spalancano la porta sulla bellezza di ciò che viene versato nel calice e che offre il contesto naturale e architettonico: il vino li pone in sintonia più che mai, presentandosi come piacere da riscoprire nella semplicità profonda. Lo racconta bene il “Grand Tour dei vini d’Italia”, il WineLab ospitato a Palazzo Vertemate Franchi a Piuro. Così possono sfilare i vini della Valtellina, calamita anche per scoprire il fascino del territorio, ma accogliendo esperienze e gusto di tutt’Italia.
Aldo Rainoldi, presidente del Consorzio, ha messo a fuoco nel dare il benvenuto questi concetti. E quando sono apparsi due etichette “insolite”, ecco la spiegazione fornita da Mojoli: «Sì, la novità di quest’anno è l’ingresso di due vini metodo classico, proprio perché sempre più la manifestazione ha come scopo non solo valorizzare i vini valtellinesi, bensì generare un confronto e un messaggio di comunità. Questa è la sfida su cui cerchiamo di ragionare con il festival». Si respira ovunque, dal centro che si anima con le enoteche desiderose di svelarsi e molti giovani alla scoperta di questo mondo, fin qui dentro in un palazzo così ricco di passato e arte.
La parola ai vini, dunque, e al piacere di gustarli con una leggerezza intelligente, attraverso le danze condotte prima di tutto da TrentoDoc e Franciacorta. Nel secondo caso, Monte Rossa ha giocato la carta di un’ambiziosa ricerca, Cabochon Brut Fuoriserie N. 021, frutto di una selezione ancora più accurata dei cru. Dal vigneto alla cantina: si è fatto ricorso a un differente metodo di vinificazione, introducendo le barrique per la prima fermentazione, fusti di rovere da 250 litri. La carezza di seta sboccia agli occhi e prosegue poi nel palato.
Ma entrando poi nella folla dei rossi, non esistono volti anonimi. Intenso il match tra donne e Merlot. Il Mossone legato anche nel nome, anzi nel soprannome, a Stefano Antonucci (ci rammenta la nipote Elena) dell’azienda marchigiana Santa Barbara che sprigiona la vivacità morbida della sua terra, con sentori di frutta rossa catturati e rilasciati pure dal gusto. E il Vino del 15 de La Costa, offerto da Claudia Crippa che esprime l’annata precedente in una terra del Nord, non meno generosa di sensazioni.
Giacomo Mojoli (a destra) con Aldo Rainoldi, presidente del consorzio
Ecco in ordine di degustazioni le 12 etichette a Piuro.
Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo
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responsabile de l'Informazioneonline e giornalista di Frontiera - inserto de La Provincia, scrittrice e blogger, si occupa di economia, natura e umanità: ama i sapori che fanno gustare la terra e le sue storie, nonché – da grande appassionata della Scozia – il mondo del whisky