28-08-2018
Il tendone da circo di MAD, simposio di due giorni concluso ieri a Copenhagen
Si è chiusa ieri pomeriggio a Copenhagen la sesta edizione di MAD. È un simposio di due giorni, concepito da una compagnia non profit messa in piedi nel 2011 da Rene Redzepi, chef del Noma. Al suo fianco c’è Melina Shannon-Dipietro, executive director italo-americana di un evento che punta a costruire una rete globale di persone che lavorano per migliorare l’industria del cibo. Sono animati, spiega la headline del movimento, da «coscienza sociale, senso di curiosità e appetito per il cambiamento». Insieme, «si battono per concepire un mondo migliore, più sano, sostenibile e delizioso per cuochi e commensali». In questo momento MAD è l’evento più illuminato sui radar globali. Abbiamo cercato di capirne i motivi, esprimendoli attraverso una serie di appunti.
- Da sempre priva di sponsor, MAD si sostiene attraverso donazioni private e il biglietto che pagano i partecipanti a ciascuna edizione, 3.500 corone danesi (470 euro circa). Quest’anno sono accorsi 600 partecipanti da 58 nazioni, selezionati tra decine di migliaia di richieste. Il numero ridotto dei presenti consente di concentrare il focus sui contenuti, con poche dispersioni.
Il barcone che conduceva, in 10 minuti di tratta, al sito di MAD
A sinistra, Dan Giusti, ex sous chef del Noma: missione cibo per gli studenti delle scuole
I fish taco del pranzo, a cura di Rocio Sanchez
Khao Yum per colazione (foto themadfeed/Instagram)
- Naturalmente, sono i contenuti e i protagonisti degli interventi a definire la cifra complessiva di un evento. Nelle due giornate, si sono alternati sul palco cuochi, docenti universitari, filosofi, psicologi, direttori d’orchestra, chirurghi, motivational coach, giornalisti, cantanti, visual artist, produttori di Hollywood, maestri di meditazione, food manager e giornalisti a larga prevalenza statunitense e danese (riflesso della provenienza dei due curatori di MAD). C’è stata una sola vera lezione di cucina, a cura di Jay Fai, regina 72enne dello street-food di Bangkok («Il segreto della mia omelette di granchio? Mettere più granchio che uovo»). Una conferma di un messaggio sempre più chiaro e forte nel nostro mondo: «La cucina è ben più che la somma delle sue ricette», per dirla con Massimo Bottura, cuoco sintonizzato da tempo sulla stessa onda della responsabilità civile e sociale. Oppure: «Se hai un megafono di così grandi dimensioni», ha gridato a Mad il filosofo Vincent Hendricks, «devi servire ben più di un'esperienza di cibo.
CURATORI. Melina Shannon-Dipietro e, defilato, Rene Redzepi
(Foto instagram/starvefood)
- Le storie che abbiamo apprezzato di più sono quelle di riscatto di due ragazzi di origini africane, continente su cui grava un colpevole silenzio del fine dining: l’artista di origini ghanesi Jeanette Ehlers e il direttore della tracciabilità del caffè di Starbucks Arthur Karuletwa, scampato al genocidio in Rwanda. Due biografie molto intense su identità perdute e ritrovate attraverso il cibo. Si è parlato anche di climate change, di come testosterone e ossitocina incidono sull'agire di uomini e donne, dell’importanza di combattere l’ansia e trasmettere la leadership, di progetti che diano finalmente dignità al cibo delle scuole (il grande Dan Giusti con Brigaid). Issue cruciali e di spessore alternate a interventi di necessario alleggerimento ed entertainment.
Tende chiuse a fine evento
Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo
a cura di
classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. instagram @gabrielezanatt