Fabrizio Marino
Animelle e spugnole in timballo di pasta, salsa di foie grasdi Yannick Alléno
Primo piano Su Identità Digitali, sette piccole rivoluzioni e un unico comune denominatore: la pasta
Cioccolato bianco, salsa olandese, caviale e oro. E' l'Uovo Fabergè come lo immagina Igor Grishechkin, chef del ristorante Kokoko di San Pietroburgo in Russia, indirizzo Voznesensky prospect 6, telefono +7.812.4182060
Esaurita la panoramica dei migliori indirizzi di San Pietroburgo, cerchiamo di capire come e cosa cucina il cuoco più interessante in città. Si chiama Igor Grishechkin, ha 35 anni e viene da Smolensk, una sonnolenta cittadina 750 chilometri più a sud, solcata dal fiume Dnepr, al confine con la Bielorussia. Come tanti ventenni assaliti dal sacro fuoco della cucina, prende presto la via di Mosca. Nella capitale, impara dalle due linee di cucina imperanti, allora e oggi: l’italiano Casta Diva e il francese Ragout, il primo gastrobistrot della capitale. Quattro anni fa la svolta a San Pietroburgo, dove passa subito al timone dell’elegante Kokoko, appendice del W hotel sulla Voznesensky, un’intersezione tranquilla della Prospettiva Nevsky, la celebre via che taglia in due il centro di San Pietroburgo (quella in cui Franco Battiato per caso vi incontrò Igor Stravinskij). Non è facile concepire una cucina creativa o “fine dining” in un paese precipitato per 70 anni nel letargo gastronomico. Specie tra le generazioni più in là, c’è diffidenza verso ingredienti a lungo estranei e l’abitudine di mangiare fuori non ha ancora attecchito: è ancora un’occasione speciale, si va a cena con la frequenza con cui si va a teatro o a un concerto. Non più di una volta al mese. Tuttalpiù si esce a bere.
Igor Grishechkin, 35 anni, da Murmansk
Se il registro tecnico riproduce l’eco dell’Europa più recente – e non potrebbe essere altrimenti -, il contenuto è russo al 100%. Il ragazzo tira tardi infatti a studiare le tradizioni zariste, quelle commestibili della pre-rivoluzione ma anche altri simboli che ne hanno cesellato l’identità culturale. L’Uovo Fabergè di cioccolato bianco, caviale e oro riprende il celebre gioiello pasquale che Alessandro III regalava ogni anno alla regina. La Kasha isz topora l’antica leggenda della Zuppa di pietra, in cui un uomo armato d’ascia (che qui è di burro e nero di seppia che poi si scioglie nella ciotola) cucina porridge volante; il pane di segale la sanguinosissima battaglia di Borodino del 1812; il dolce al gelato di cera un inno alle api, l’insetto più venerato da San Pietroburgo a Valdivostok.
Interessante è anche la piccola carta dei vini, curata dalla sommelière di Moroshka for Puskin Yulia Khaybullina: al di là del debito alla Vecchia Europa (champagne e barolo in primis), c’è una pagina che racconta le grandi potenzialità vitivinicole dell’area attorno a Sebastopoli, nella controversa Crimea. «Il suolo calcareo è lo stesso della Borgogna», spiega. Peccato che poi qui piantino vitigni internazionali come riesling, chardonnay e persino barbera, e poche uve locali come il Sibirkovy, Sary Pandas o Krasnostop, che meriterebbero esplorazioni più profonde. Esattamente come lo sterminato territorio del paese, un bacino di climi e suoli così vasti che fatichiamo a immaginarne le possibilità. Potenzialmente, il chilometro zero più lungo del mondo. Leggi anche San Pietroburgo alla riscossa I racconti (golosi) di San Pietroburgo Potenziale Russia: il padiglione dell'Expo La nuova cucina russa/1 La nuova cucina russa/2 La nuova cucina russa/3
classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. instagram @gabrielezanatt
Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo