«Un ristorante italiano che mi piace molto? Aromando a Milano»: la risposta un po’ a sorpresa - ci si aspetterebbe magari un gran nome d’alta cucina - viene al termine di una lunga chiacchierata con David Kinch, classe 1961, chef proprietario del Manresa di Los Gatos, California, tre stelle Michelin (il meglio lo potete ascoltare cliccando sul video qui sopra).
Lo abbiamo incontrato al Mirazur, all’indomani della prima di una serie di memorabili cene che Mauro Colagreco (qui il video che abbiamo realizzato con lui) ha organizzato per celebrare i suoi dieci anni nell’indirizzo di Mentone, numero sei al mondo e primo in Francia per il 50 Best.

David Kinch con Mauro Colagreco
I prossimi appuntamenti: 8 settembre
Andoni Luis Aduriz del
Mugaritz di San Sebastian; 21 settembre
Virgilio Martinez del
Central di Lima; 4 ottobre
Emmanuel Renaut del
Flocons de Sel di Megève; 5 ottobre
Sebastien Bras del
Bras di Laguiole; 19 ottobre
Jorge Vallejo del
Quintonil di Città del Messico; gran finale il 27 ottobre con
Massimo Bottura dell’
Osteria Francescana di Modena. Il costo per ogni cena è di 250 euro a persona, bevande escluse. Per prenotazioni: reservation@mirazur.fr)
Non sorprenda più di tanto, la risposta di Kinch su Aromando. Intanto, perché giunge dopo aver citato indirizzi più famosi, quelli di Bottura, Romito, Scabin… E poi perché è in linea col personaggio: lui, che ha girato il mondo e ovunque ha tratto ispirazione per il suo lavoro, ha un’assoluta priorità, la cultura del prodotto.

Kinch a Identità Milano 2013
Per lo chef californiano l’Italia è soprattutto questo: una straordinaria materia prima e un’inimitabile tradizione. Va bene anche la creatività, ci suggerisce: ma non bisogna mai perdere le radici, non bisogna mai mancare di rispetto al prodotto, perché sono queste caratteristiche che rendono unica la cucina del nostro Paese. Per questo ama un indirizzo come
Aromando: «Una delle cose delle quali sono geloso, e che mi danno ispirazione, è venire in luoghi come l’Italia, che vantano un’antica tradizione gastronomica, dove il cibo è quotidianità e fatto in un certo modo: delizioso. E questi piatti, questa tradizione raccontano la loro storia, anzi tante storie differenti che non sono legate alla personalità di un cuoco, ma di un luogo e di un Paese. Per me è fonte di grande ispirazione».
E ancora: «Praticamente tutto può essere “alta cucina”. Attraverso questo processo di rendere più raffinato un piatto, il cuoco toglie magari l’anima dello stesso, che è la tradizione che lo ha fatto diventare quello che è. Dunque lo chef deve decidere cosa sia più importante: mantenere la tradizione, l’anima, o cambiare. Per me c’è spazio per entrambe le cose, ma so cose preferirei mangiare…».