È interessante leggere quei segnali di una globalizzazione che opera in maniera virtuosa; contaminazioni che convivono così bene nella nostra cultura gastronomica da naturalizzarsi, stimolando visioni inedite che aprono una strada verso il futuro.
Ne abbiamo ricevuto un assaggio qualche mattina fa negli spazi de L’Orto di Mimì, azienda agricola biologica in provincia di Brescia, a Castel Mella, ideata dallo chef Antonio D’Angelo di Nobu Milano, portata avanti quotidianamente dalle cure di Andrea Tessardelli, agricoltore, e dai suoi collaboratori: un ambiente incontaminato che ospita un’abbondanza di specie vegetali e animali, vocato a una sperimentazione continua che mira a ricercare un equilibrio tra il lavoro dell’uomo, le sfide imposte dal cambiamento climatico e dall’inquinamento, ma soprattutto l’ambizione di garantire un raccolto quanto più sano possibile e, naturalmente, gustoso.

Andrea Tessardelli, agricoltore e responsabile delle coltivazioni de L'Orto di Mimì in uno scatto assieme allo chef Satoshi Hazama
Per esempio, ricorrendo all’uso di serre funzionali nel limitare il contatto dei vegetali con le piogge acide che intaccano la produzione fino a rendere necessari interventi chimici. Al riparo da un ampio telo blu, in grado di filtrare le radiazioni del sole e senza far aumentare la temperatura della terra, cresce lo shishito, un peperone giapponese molto dolce che richiama tanto il nostro friggitello, solo più croccante, ideale per preparazioni al forno o alla brace.

La coltivazione di shishito
I pomodori - dai datteroni gialli, il Piennolo e carnosi cuori di bue, crescono, invece, lungo fibre di cocco, che a differenza delle canne di bambù tendono a non lasciarsi corrodere da agenti patogeni; oltre 400 alberi popolano la proprietà dell’Orto di Mimì, compreso lo yuzu che cresce su piccoli arbusti i quali richiedono "un appoggio" su altre piante essendo il suolo estremamente basico per la pianta originaria; alberi di pepe di Sichuan che, spezzato sotto ai denti, sprigiona sul palato un’estrema freschezza citrica, come lime premuto che solletica e persiste.

La produzione di water shiso avviene in una vasca di acqua "rinforzata" da plancton, estremamente funzionale per la crescita della pianta
E poi ancora, lo shiso, verde a rosso, o il water shiso coltivato in acqua arricchita da plancton, ricca di sodio e potassio, per una foglia ben diversa rispetto a quella tradizionale – più coriacee e carnose le prime, tenerissime e quasi impalpabili le seconde.

Il negi, il cipollotto giapponese
Ma c'è anche il negi, un cipollotto giapponese lungo e bianco, coltivato in due modalità che si differenziano in base al grado di stress a cui è sottoposta la pianta: un negi “iper-stressato”, specie per carenza di acqua, concentrerà una quantità superiore di olio essenziale, per cui il negi viene schiacciato, l'olio fuoriesce e viene messo in acqua, estratto e diluito in un olio vegetale che ne smorzi l’intensità; diversamente, quello coltivato per irrigazione, tradizionalmente, risulterà più amabile, grazie all’apporto di potassio.
E poi, a pochi passi, il paniere dell’italianità a tavola, tra i capperi e i loro fiori, le melanzane, le albicocche, le zucchine e i peperoni. Un ecosistema in cui tutto è possibile, e dove una coltivazione e il metodo che la sostiene non è fatto e finito, ma si misura continuamente con le esigenze dell’uomo e quelle della natura, “controllata” certo, ma con il solo fine di evitare che venga esercitata su di essa una pressione ingiustificata.

Le coltivazioni di wasabi
Lo stupore è diffuso, soprattutto tra chi ormai è distante anni e km dal proprio Paese di origine: nell’Orto, infatti, si sono ritrovati una buona fetta di chef giapponesi (e non solo) ormai radicati a Milano, su iniziativa di Aya Yamamoto di Gastronomia Yamamoto.
Insieme, passeggiando tra le coltivazioni, restano sorpresi dalla qualità di quei prodotti che li ricongiungono alla propria terra, pur trovandosi a solo un’ora dalla città che li ha accolti.
Si dialoga, si scambiano opinioni, emergono tendenze, come quella inattesa che spiega il grande amore degli italiani per la cucina asiatica: infatti, dove prima erano i nostri prodotti ad avere la meglio nelle esportazioni, oggi il Bel Paese importa sempre più ingredienti asiatici di qualità, assecondando quell’attrazione sempre più forte per la cultura gastronomica giapponese, cinese e coreana in particolare.

Le melanzane dell'Orto in cottura
Si arriva a tavola, quella di Gastronomia Yamamoto a Milano, che ha sposato il progetto dell’Orto di Mimì introducendo diversi ingredienti in carta: convivialità, il gesto di passarsi i piatti da un capo all’altro della tavola, di servire il commensale che non conosci e con il quale crei un legame profondo anche solo per pochi istanti.

Cipolla al forno con katsuobushi

Daisuke Seki, chef di Gastronomia Yamamoto
Ingredienti raccolti e trasformati, o lasciati in purezza: zucchine appena grigliate al naturale, o melanzane al bbq con una salsa caramellata, intensa, al sesamo e arachidi, cipolla cotta al forno, fondente con katsuobushi in abbondanza in cima, e onigiri generosi serviti con una composta di shiso e miso, dall'umami potente.
Ed è proprio a tavola che si delinea quel punto comune che lega la nostra cultura a quella giapponese, ovvero la grande capacità di accogliere l’ingrediente in purezza, di riconoscerne la qualità che invita ad aggiungere il meno possibile e a celebrare la tavola condividendo sapori, pensieri, esperienze.