03-10-2021

Il selvatico nella cucina dei grandi stellati: la "lezione" di Enrico Crippa e Ana Roš

I due celebrano natura e sostenibilità. Ma van oltre: il selvatico è fil rouge della loro filosofia. Perché spesso, in un’epifania nel mezzo dell’orto, c’è tutta la bellezza e il significato d'un piatto

Ana Roš ed Enrico Crippa, recenti protagonisti de

Ana Roš ed Enrico Crippa, recenti protagonisti de La Via Selvatica, percorso voluto dalla famiglia Ceretto nella cucina (e nella cultura) wild

Leonardo da Vinci diceva: “Salvatico è chi si salva”. E in qualche modo, anche se con una falsa etimologia, forse ci voleva spiegare qualcosa di preciso. Perché anche se “selvatico” non deriva certo dal verbo “salvare”, i due termini sono in qualche modo connessi. O così ci piace pensare.

A ben vedere, infatti, tutto quello che è selvatico in qualche modo si salva, si adatta, trova una via d’uscita. “Selvatico” ha la stessa radice di selva, quella selva che quando la si attraversa riesce a modificarci, rendendoci diversi, nuovi, per certi versi forse migliori. A far riflettere su tutto questo è il semiologo Stefano Bartezaghi, uno dei protagonisti dei dodici incontri della Via Selvatica organizzati dai Ceretto ad Alba.

Ma perché proprio “selvatico”? La prima volta che fu usato questo aggettivo per descrivere la famiglia, non la presero bene. In realtà, però, il termine ha un’accezione positiva perché strettamente legato al mondo della natura, a quella dimensione incantata che sono le Langhe, dove viti, uve e molte specie vegetali crescono indisturbate senza l’intervento dell’uomo, a meno che questo non sia intelligente e capace di guardar lontano, proprio come il lavoro quotidiano dei Ceretto.

Andrea Loreti

Andrea Loreti

Ad analizzare più in profondità, in ognuno di noi c’è un po’ di selvatico, quel senso che è strettamente legato all’onestà, alla verità senza orpelli. Come quando si cammina su un filo: sotto i piedi la natura che vive e davanti un solo punto, un solo obbiettivo: la verità. Non per nulla Andrea Loreni, funambolo protagonista anche lui dei dodici incontri della Via Selvatica, sospeso nel vuoto a spasso sopra le vigne della famiglia Ceretto, dice che è proprio «sul cavo che trovo la verità». A guardarlo si trattiene il fiato, l’anima è con lui su quel filo, un misto di paura e meraviglia… È l’essenza del sublime.

 

Ana Roš

Ana Roš

Ana Roš e la sua idea di selvatico in cucina
Se la si fissa negli occhi si percepisce una luce speciale, un bagliore selvatico, in Ana Roš. Non è solo la gioia di chi ama il proprio lavoro, ma la fiamma sacra di chi venera la sua terra, di chi sa che è da lei che parte tutto, dalle mani dei suoi contadini. Infatti ogni volta che parla di Jean e Matteo (lei canadese, lui italiano: sono giovani agicoltori che si affidano alla biodinamica e coltivano prodotti straordinari, a 45 minuti da Caporetto, ndr) si illumina: «Vanno sostenuti e incoraggiati, da loro dipende la magia dei piatti di Hiša Franko».

Un orto a Kobarid (che poi è Caporetto) a 1.000 metri di altezza, 12 ettari in biodinamico. Ana ha totalmente rivoluzionato e dato un nuovo volto alla gastronomia slovena: un volto fatto di intelligenza, sostenibilità e bellezza. Il tutto in un territorio storicamente molto difficile che però in mano a lei ha cambiato la sua essenza. Non a caso è stata incoronata World’s Best Female Chef nel 2017.

Dalla sua terra, ma soprattutto dalle sue mani, nascono piatti come la sua colorata Insalata di montagna, un piacere per gli occhi e per il gusto, ma anche una proposta strabiliante come la Trota stagionata, acqua d’orzo, cetriolo e infusione di fiori di sambuco, pralina di pancia di trota e foglia di fico. «Le trote vengono pescate da noi, in un lago molto conosciuto per la pesca, ottenuto grazie all’incanalamento di vari ruscelli - spiega - Per la pralina uso stomaco e fegato. Le frattaglie di pesce sono selvatiche e sostenibili». Ma la grande sorpresa della recente cena a quattro mani con Enrico Crippa al Piazza Duomo in occasione della Via Selvatica è stata la zampa dell’orso: una carne spesso usata in Slovenia. «Nel Raviolo di castagne ripieno di zampa d’orso e consommè di bosco ho voluto creare lo stesso profumo che c’è nel bosco da noi dopo che ha piovuto». E in un attimo ci ritroviamo lì, in mezzo a quegli alberi altissimi, circondati dalla natura incontaminata e selvatica di una splendida Slovenia tutta da scoprire.

 

 Enrico Crippa

 Enrico Crippa

Enrico Crippa e il suo mondo selvatico
Se si ha la fortuna di andare a fare una passeggiata nell’orto di Enrico Crippa e della famiglia Ceretto, si può capire ancora meglio quello che poi ci si trova sul tavolo. Sono erbe e vegetali di tutti i generi che lo chef seleziona con amore e meticolosità per poi trasformare in ingredienti per grandi piatti. «Il tema del selvatico è legato all’intero anno solare, non solo a una particolare stagione. Ogni periodo ha i suoi tesori - racconta lo chef - Qui ci sono tre ettari di orto e una parte la lascio volutamente incolta per poter raccogliere le erbe spontanee come il luppolo selvatico, l’insalatina di campo e tutti quei vegetali ed erbette che hanno una vita brevissima e che io voglio cogliere nel loro periodo migliore».

Ma la restante parte dell’orto è coltivata e vi si trovano verdure davvero particolari, come il pomodoro litchi, una bacca simile alla ciliegia ma con le spine, che pare sia il primo esempio di pomodoro per fecondazione in pianta. «Ogni tanto, con questo pomodoro primordiale propongo ad alcuni clienti una matriciana... diversa. Si tratta di un fuori carta, un colpo selvaggio, che li lascia sempre stupiti». Se si pensa alla cucina di Crippa in questa stagione, si può facilmente immaginare quanto sia ricca. In autunno le Langhe sono colme di vigneti nella loro massima espressione, tutto è legato indissolubilmente al bosco, al suo profumo. E re incontrastato è il tartufo, che quest’anno sembra avere però qualche problema per via delle condizioni meteorologiche. «Diciamo che ci vorrebbe un po’ di pioggia - spiega Crippa - Ma noi fortunatamente non siamo mai rimasti senza tartufo. A Piazza Duomo abbiamo i nostri fornitori del posto. Il problema è che se dovessero scarseggiare, ci potrebbe essere il rischio di trovare in giro il prodotto non italiano».

I due chef a La Via Selvatica

I due chef a La Via Selvatica

Ovviamente però Enrico non ne fa solo un problema di tartufo, ma piuttosto un discorso molto più ampio sul tema vegetale. «Molte piante ed erbe hanno una vita breve, soprattutto quelle spontanee, non coltivate. Io per esempio in primavera, quando c’è il risveglio della natura, dopo tutto il gelo dell’inverno raccolgo ortiche, borragine, tutto quello che si può trovare. Poi con l’estate arriva la stagione del cortile. Collaboriamo quindi con i contadini che lavorano anche con i nostri macellai, è un'attività di squadra». Ed è proprio per questo che il menu cambia sempre, anche da un giorno all’altro. «Se mi portano ventiquattro porzioni di piccione per esempio, mi bastano solo per un turno. Poi ci sarà la volta del vitello, dell’agnello o del germano (come quello al pepe che ci ha proposto, ndr.). La carta si modifica, evolve ogni giorno. Sicuramente lo sforzo è doppio, ma solo così riesci a dare un senso a tutto». E per “tutto” Enrico intende quel fantastico mondo del wild ragionato, dove non c’è spazio solo per piatti superlativi come il Risotto Rooibos, o per Messico, merluzzo e mais o ancora per Red sun, ricci di mare, mandorla e peperone, una portata che vorresti fosse infinita e che ad ogni boccone ti regala sensazioni inedite, in una coccola perenne di bontà...

Nella ricerca gastronomica di Crippa viene valorizzata sì la creatività, ma anche la verità semplice delle Langhe, così accomodante, rassicurante. Come gli splendidi fegatini di faraona o le terrine della tradizione. Perché nella sua cucina nulla va sprecato e ogni cosa viene celebrata, dall’elemento animale a quello vegetale, in un’eterna danza selvatica di gusto e sostenibilità.


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Barbara Giglioli

classe 1990, varesina, dopo la laurea in Linguaggi dei media ha frequentato il master in giornalismo dell’Università Cattolica. Ama cucinare, mangiare e scrivere di gastronomia

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