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Matteo Malusardi, uomo di sala della Trattoria Al Laghett di Milano, scomparso il 16 marzo scorso a soli 38 anni
Un mese fa, lo scorso 16 marzo 2020, una voce rotta dal pianto mi annuncia al telefono che Matteo Malusardi, 38 anni, gestore e sommelier del ristorante Al Laghett di Chiaravalle, alle porte di Milano, ci ha lasciato: un malore nella notte e il suo cuore ha smesso di battere.
Proprio pochi giorni prima sull’Instagram del ristorante ci eravamo scambiati due battute in seguito al lockdown imposto dal Governo: “Mi sto leggendo un libro al giorno – mi raccontava Matteo - passare da lavorare 12 ore a non lavorare è difficile da concepire”. E forse questo stop forzato improvviso, non sapremo mai se lo stop o il Covid19, ha contributo ad arrestare quel cuore che un difetto congenito lo aveva già.
Messo giù il telefono, prima del dolore è montata la rabbia, verso un dio che spesso colpisce senza guardare: già 10 anni fa, stroncato da un male incurabile, era mancato lo zio di Matteo, Paolo Gerosa, per gli amici semplicemente “Il Gè”, che del Laghett, il ristorante di famiglia, era lo chef.
In quel frangente la signora Pinuccia, mamma di Paolo e nonna di Matteo, si era rimboccata le maniche e nonostante l’età era tornata a tirare la pasta dei ravioli di magro. Angelo Spelta, lo storico maître, aveva persino rinunciato alla pensione per instradare il figlio Mauro, lo chef attuale, che aveva fatto l’alberghiero per metterlo con sé ai fornelli e infine Matteo, che forse aveva altri progetti nella vita, preso da questo slancio famigliare aveva iniziato ad aiutare in sala, istruito dalla mamma Rosella e dal papà Enzo. Tutti con il sorriso e la passione.
Il pergolato del Laghett
Ed ecco che Matteo dopo i primi timidi passi dettati forse dall’urgenza di non fermare il corso del ristorante, comincia a studiare, a fare ricerca sui fornitori della carne, a degustare nuove etichette da mettere in cantina, insieme a salumi e formaggi. Aveva fatto anche i primi due livelli del corso sommelier, gli mancava il terzo: ma certo lui era più propenso a passare le ore alla scoperta di piccoli produttori, che non sulle pagine dei manuali di enologia. Infatti sapeva sempre consigliarti l’Ortrugo speciale da abbinare alla Salvia fritta (“fidati, anche se è mosso ti piacerà”), o il rosso biologico toscano con cui annaffiare i Nervetti in insalata ("di questo sono riuscito a prendere le ultime bottiglie, poi tocca aspettare").
In cucina con Mauro si era creata una bella intesa, ogni tanto li sentivi urlare tra le padelle (anche se io, a dire la verità, una cucina silenziosa e pacifica non la conosco) e negli ultimi anni la mano pur nella semplicità delle loro ricette, si era affinata nell’esecuzione, nonostante i grandi numeri che reggeva in contemporanea (due sale interne, la terrazza sotto il glicine e il pergolato per un totale di circa 200 coperti). Eppure usciva sempre un gran risotto, preparato con tutti i crismi utilizzando midollo e brodo di manzo e gallina, l’aggiunta di un bicchiere di Barbera dell’Oltrepò; e che se avanzava, come vuole la tradizione, veniva fatto “al salto”, schiacciandolo in padella con una paletta e creando un’appetitosa crostina dorata.
Con Carlo Cracco, cliente abituale
I Mondeghili del Laghett
Aveva poi un cuore grande e generoso, un cuore che il 16 marzo 2020 ha smesso di battere. Abbiamo tutti sperato che da su lo zio Paolo mettesse una buona parola perché si salvasse, ma se lo è preso con sé…ci guarderanno dall’alto quando potremo tornare Al Laghett per ricordarlo, guarderemo il sole in cielo e loro saranno lì con un calice di vino in mano.
milanese d’adozione, laureata in Lettere, già giornalista enogastronomica con la passione per il tè su diverse testate, da oltre 15 anni è passata dall’altra parte della barricata occupandosi di comunicazione e consulenza nello stesso ambito. L’inseparabile bicicletta con cui si sposta per la città le fa bruciare tutto quello che assaggia e fa assaggiare
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose