La bottega di Sandrino, orgogliosamente «carciofaro de Campo de’ Fiori da quattro generazioni», è la prima che s’incontra entrando al Mercato Centrale di Roma. Non so se sia solo un caso, o se la posizione del banco di Alessandro Conti sia il risultato di una precisa scelta di marketing. Ma trovare un piatto di carciofi e insalata di puntarelle alla romana come biglietto da visita del secondo Mercato Centrale appena inaugurato a Roma, che segue di due anni l’apertura di quello di Firenze a San Lorenzo, è fattore identitario di quella «peculiarità territoriale» tanto ricercata da Umberto Montano, presidente di Mercato Centrale, e ideatore del progetto partito dal capoluogo fiorentino. Del resto cosa sarebbe la cucina romana senza carciofi e puntarelle?
«Sono un sognatore facile agli entusiasmi, ma la notte prima dell’apertura sono stato assalito dai dubbi», ammette Montano chiacchierando coi giornalisti, davanti all’ottima pizza margherita di Romualdo Rizzuti, all’ombra della Cappa Mazzoniana, il capolavoro architettonico che costeggia la Stazione Termini sul lato di via Giolitti, gioiello tutelato dalla Soprintendenza dei Beni Culturali ed ex sede del Dopolavoro ferroviario, diventato la casa di Mercato Centrale Roma. «L’ambizione è far diventare questo “mercato” una destinazione per la città. Che si trovi all’ombra della Stazione Centrale, e potrà essere anche un luogo per i tanti viaggiatori che arrivano a Roma in treno, è soltanto un caso», ammette.
Sono serviti appena quattro mesi, «uno in più del previsto», per trasformare nel
Mercato Centrale Roma i locali in cui nel 2008 - dopo un investimento di 2,8 milioni di euro da parte di
Grandi Stazioni - era stato inaugurato in pompa magna il ristorante
Convoglia. Spiega
Montano: «Diamo lavoro a 285 persone, 40% di nostra competenza e 60% delle botteghe». Del fatto che il sogno del “mercato popolare” potrebbe scontrarsi con i prezzi delle consumazioni il patron è conscio. «Da sognatore rimango convinto che la maggior parte delle persone possa decidere di spendere 8 euro per una margherita di qualità», ribatte a tali obiezioni
Montano, ristoratore di
Alle Murate e dell’
Osteria del Caffè Italiano di Firenze che, nei suoi sogni, ha coinvolto
Claudio Cardini, leader europeo del settore dei campeggi e del turismo all’aria aperta.
A scommettere sulla bontà del progetto che punta anche alla riqualificazione della zona anche attraverso l’area-eventi da 150 posti in cui dovrebbero essere protagonisti cinema, teatro e danza, sono stati i titolari delle diciassette botteghe (300 le sedute per le consumazioni) e del ristorante con bottega da 120 coperti che occupa il primo piano, gestito da
Salvatore De Gennaro e
Oliver Glowig. Offrirà ad esempio le famose
Eliche cacio, pepe e ricci di mare di quest’ultimo a 18 euro. «È il piatto più caro dei 30 nel menu, dolci compresi… ma non potevo non inserirlo – dice
Glowig -. Nello spirito del mercato, però, saremo molto elastici anche se ci chiederanno piatti non in carta».
«I no non esistono - aggiunge De Gennaro - e gli ingredienti possiamo comprarli nelle botteghe». Tra queste ultime ci sono quella dei tartufi di Luciano Savini, le proposte vegetariane e vegane di Marcella Bianchi, gli hamburger di Chianina di Enrico Lagorio e i dolci siciliani (e non solo) di Arà di Carmelo Pannocchietti che raddoppiano dopo l’esperienza fiorentina. Si affiancano i formaggi prodotti, selezionati e affinati da Beppe Giovale e i fiori recisi e il cioccolato Steiner di Pierangelo Fanti, alla sua prima esperienza di bottega a marchio.
Ma la forza sta nei piatti della tradizione romana e di alcuni suoi bottegai storici: il panettiere
Gabriele Bonci (anche qui si pone, però, il dubbio per la brioche alla frutta al prezzo poco popolare di 3,50 euro); il macellaio-allevatore
Roberto Liberati con la sua selezione di carne e salumi; il pescivendolo
Edoardo Galluzzi dell’
Antica Pescheria Galluzzi; le paste fresche di
Egidio Michelis, non mancherà l’amatriciana; i gelati di
Luca Veralli; i fritti di
Martino Bellicampi di
Pastella («Il fritto è inclusivo e democratico, il contenitore perfetto per rendere fruibile un piatto», spiega offrendoci un ottimo supplì alla gricia mantecato al miele); i trapizzini di
Stefano Callegari, «perfetti contenitori per i piatti della tradizione, dalla coda alla vaccinara alla polpetta al sugo», già sbarcati in Giappone e a New York. E si torna ai carciofi di
Sandrino. Che serviti coi funghi di
Gabriele La Rocca fanno una gran figura.