Il mondo vegetale al centro. Che si traduce, poi, nel rispetto della terra. Del futuro della terra. Il futuro è oggi anche per Veuve Clicquot, la nota maison di Champagne che compie 250 anni e che guarda al domani anche con il progetto della Garden Gastronomy.
È un progetto nato 4 anni fa e che si è concretizzato nel periodo della pandemia, come ha spiegato Didier Mariotti, dal 2019 chef de cave di Veuve Clicquot sul palco dell’Auditorium di Identità Milano 2022, partendo dalla terra. A Verzy è stato infatti ricreato un orto dove, al momento, sono coltivate 400 specie differenti, alcune addirittura quasi scomparse e recuperate. «L’obiettivo è di arrivare anche a 800, 900 o addirittura mille essenze – ha spiegato lo chef de cave – Il tutto si basa su un concetto di economia circolare: raccogliere frutta e verdura e utilizzarli totalmente, senza sprechi, nel nostro ristorante. E questo orto è anche gestito dalle persone che curano i nostri vigneti».

Didier Mariotti, chef de cave di Veuve Clicquot, presentato da Cinzia Benzi sul palco dell’Auditorium di Identità Milano 2022
Non solo: «In ogni paese è poi stato selezionato uno chef che avesse la nostra stessa visione». E in Italia
Veuve Clicquot ha trovato
Domingo Schingaro. «Lui è il nostro chef ideale. Siamo andati in Puglia, per guardarci negli occhi e per capirci:
Domingo mi ha spiegato che sfruttava al meglio tutto quello che sapeva dargli il territorio».
Un matrimonio felice. «Noi abbiamo una responsabilità – spiega Schingaro – dobbiamo essere custodi degli artigiani, perché il futuro è quello delle masserie, del ritorno alla terra». Schingaro ha sviluppato nel suo ristorante, il Due Camini a Borgo Egnazia, una cucina vegetale. «La nostra intenzione non era quella di seguire la moda del vegetale, ma è una scelta consapevole. Io vengo da una famiglia di pescatori, poi ho lavorato per 10 anni in Piemonte con la carne, quindi i 6 mesi di Expo 2015 a fianco dei grandi chef. Tutto questo ha rafforzato il mio carattere e mi ha permesso di avere una grande contaminazione. Così sono tornato in Puglia con la voglia di rimettermi in gioco completamente. E parto dal vegetale, che non è più un contorno, una decorazione o un accompagnamento, ma è al centro del piatto».
Una precisazione è necessaria: la Garden Gastronomy mette al centro il mondo vegetale, ma non è una cucina necessariamente vegetariana. Anzi, ci si trova con un’inversione di ruoli: la carne o il pesce possono diventare dei contorni, dei condimenti.
Così
Schingaro ha presentato una bieta trasformata e lavorata sulle consistenze, tanto da sembrare una tartare di carne. E della bieta rossa non si butta nulla, perché la foglia viene passata in farina di riso e trasformata in chip d’accompagnamento. Il piatto è chiuso da un tuorlo d’uovo marinato. Il miglior abbinamento? La
Grande Dame 2012, la
Cuvée de Prestige di
Veuve Clicquot, il vino simbolo anche del progetto legato alla
Garden Gastronomy. «Nella
Grande Dame – spiega
Didier Mariotti - il
Pinot Nero è al centro del vino, un vitigno che spesso si pensa che porti potenza, ma che in realtà richiede equilibrio in vendemmia, per avere poi una grande varietà».
Il progetto Garden Gastronomy ha anche un’altra finalità: «Vogliamo creare una comunità, riunire persone che hanno gli stessi valori, con la natura al centro delle priorità – sottolinea Mariotti - La terra è da preservare. Faccio un lavoro dove tutto ci è dato dalla natura. Il nostro mestiere è più facile in alcuni anni e più difficile in altri, ma non dobbiamo combattere la natura, ma ascoltarla e assecondarla, utilizzando quello che ci dà».
Anche nel secondo piatto Schingaro gioca con le consistenze, realizzando una sorta di “fetta di brasato” con una verza cotta al forno, dove le foglie esterne sono utilizzate per realizzare un fondo, aggiungendo poi miso di lenticchie e lenticchie fritte. La carne? C’è, ed è una fetta di carpaccio che viene posta sopra, quasi fosse una semplice guarnizione, a richiamare proprio il concetto di carne. Abbinato sempre alla Grande Dame 2012.
E Mariotti conclude: «Il futuro? Partire dalla nostra storia, per guardare ai prossimi 50 o 100 anni. Ma dobbiamo avere una visione più vicina possibile alle nostre vigne, alla terra, alla natura».