08-05-2022

Davide Oldani e l'idea di un carrello dei formaggi 3.0 e che segue le stagioni, ovviamente al suo D'O

Il vecchio carrello è ormai inattuale, è una proposta troppo impegnativa per un fine degustazione, poco salutare, dà problemi di conservazione. «Del buono, poco», dice lo chef di Cornaredo. Ossia: un solo assaggio, selezionatissimo, e due... evocazioni

“Del buono, poco” è il nuovo motto di Davide

Del buono, poco” è il nuovo motto di Davide Oldani nei confronti del vecchio carrello dei formaggi, e del formaggio nella ristorazione in generale. Ossia: il tradizionale carrello è inattuale, bisogna proporre poco ma di altissima qualità, badando anche alla "stagionalità del formaggio", ossia servendo ciascun cacio nel periodo dell'anno in cui si esprime meglio. Così l'assaggio di "formaggi" al D'O, vedi la foto sopra, prevede tre pezzi, ma solo uno è formaggio vero, quello al centro, un Montebore. La finta groviera, a sinistra, è una mousse di pera e pepe del Tibet; la finta scaglia di Parmigiano, a destra, è un pane imbevuto in acqua di formaggio e poi arrostito. Tutte le foto sono di Brambilla-Serrani

Il giovane Davide Oldani si chiedeva sempre perché mai suo padre amasse mangiare la crescenza insieme alla mostarda. Lo avrebbe capito qualche anno dopo, quando avrebbe iniziato quell’avventura nelle cucine d’Italia e d’Europa in grado di portarlo a essere oggi uno chef a due stelle Michelin, e inoltre insignito anche della stella verde. L'attuale Oldani pensiero sul mondo dei caci (e non solo) è stato ben delinato dal palco di Identità di Formaggio, all'ultimo Identità Milano. Qui Oldani subito ha voluto parlare dei giovani: «Vanno sempre più coinvolti in quella che è la visione del futuro, che spero si concretizzi in una buona ripresa per tutti, perché in loro c’è entusiasmo e ottimismo, da regolare però, tenendo sempre i piedi ben saldi a terra». Il futuro è oggi e passa per un’inconfondibile sostenibilità umana, vero tratto distintivo del cuoco di Cornaredo.

Che ci spiega: «Nei giovani c’è “tanta roba buona”, come si suol dire: credo tanto in loro e sarà bellissimo vedere diplomarsi gli allievi dell’Istituto Alberghiero Olmo, progetto in cui ho creduto fin da subito. Magari potranno diventare anche loro come i “ragazzi del D’O”, cioè un nucleo di 6 o 7 top player su cui fondare la crescita e la gestione di un progetto». La squadra di Davide Oldani si compone infatti di uomini di sala e cuochi che sono entrati nel suo progetto e sono cresciuti con lui: Davide Novati (direttore di sala), Manuele Pirovano (sommelier), Riccardo Merli (chef), Filippo Amodeo (pastry chef) e i due executive chef Wladimiro Nava e Alessandro Procopio. Quest'ultimo era anche presente sul palco, al congresso: «Alessandro è con me da 19 anni, cioè da quando abbiamo aperto il primo D’O, ma era talmente bravo che… l’ho mandato via! – scherza chef Davide – Ha fatto 7 anni in Francia, lavorando da Ducasse, dai Troisgros, e un periodo a Londra a Le Gavroche. È rientrato naturalmente pronto per un ruolo di responsabilità, dopo aver respirato e vissuto l’atmosfera dei più grandi tre stelle Michelin».

Davide Oldani

Davide Oldani

La cucina è un viaggio, come la vita, e parallelamente alla formazione di Alessandro, tra le tante innovazioni “made in Cornaredo”, maturava l’idea di valorizzare il formaggio in un modo unico. Nel 2003 veniva servita una verticale di formaggi, posizionati in fila su di un apposito piatto scanalato, per evitare l’effetto “orologio”, così comune ma forse poco comprensibile (con l’amletico dubbio: si degusta in senso orario o antiorario?). I prodotti caseari godevano di texture e gusti diversi (Latteria Carnia, Salva cremasco, Pecorino romano, Gorgonzola di capra) ed erano accompagnati da una composta di frutta (ribes nero) e da un pane arrostito. Questi ultimi due elementi sono un’eredità della cucina classica, dove il formaggio chiamava un contrasto (la frutta o il miele) e un accompagnamento (il pane).

Da allora di tempo ne è passato, il D’O ha cambiato sede, è maturato e progredito; ha vissuto insomma tutta l'evoluzione insieme a Oldani e alla sua brigata, fino al ristorante di oggi. «Ci siamo allora chiesti come poter esaltare al giorno d'oggi il formaggio, prodotto eccellente e spesso veramente artigianale, dopo un menu degustazione di 6, 12 o 14 portate. Ci sono voluti sei anni di prove, di studio e di confronto per arrivare a quello che è “Find the real one”».

La lezione di Oldani

La lezione di Oldani

Alessandro Procopio, prima di procedere alla preparazione, mostra un piatto, bucherellato a mo’ di groviera e realizzato appositamente, con il disegno di un topolino e la scritta che esorta a “trovare quello vero”. Continua Oldani: «Teniamo molto a questo nuovo modo di assaporare il formaggio, poiché nasce da un’idea condivisa, ragionata e affinata, fatta di gioco di squadra».

Il piatto si compone di tre pezzi: il formaggio è al centro, nudo e puro, prezioso e intoccabile nella sua purezza (sul palco è stato portato un Montebore) e viene completato dalla rivisitazione, tanto divertente quanto buona, degli altri due elementi che solitamente lo accompagnano. Grazie ad appositi stampi, la composta di frutta diventa una mousse di pera e pepe del Tibet a forma di pezzo di groviera, mentre il pane, imbevuto in acqua di formaggio e poi arrostito, diventa una punta di Parmigiano. Forme che ricordano l’elemento protagonista, ma che si rivelano essere altro: da qui, l’esortazione a trovare “quello vero”.

Find the real one

Find the real one

«La parte giocosa è un modo nuovo di rappresentare quello che ci appartiene come cultura classica italiana, cioè i formaggi, offrendo uno stile più divertente e una firma propria dei ragazzi del D’O, che, insieme a me, hanno curato la realizzazione della ceramica, dell’impiattamento e la ricerca della materia prima», racconta Davide Oldani.

Ma allora perché non fare un carrello dei formaggi? Risponde lo chef: «Per due motivi. Primo, per il rispetto altissimo che vogliamo avere verso tali prodotti, anche in ottica di spazi per la corretta conservazion. Poi, per offrire una quantità giusta a fine pasto, andando incontro al far stare bene i nostri ospiti, seguendo leggerezza e delicatezza. Il formaggio non deve essere la “mazzata finale” su di un menu: non è più possibile».

C’è tempo pure per un pensiero a Gualtiero Marchesi, maestro di Oldani e indiscusso riferimento per la cucina italiana: «Il signor Marchesi amava dire: “Del buono, tanto. Del poco, nulla”. Io oggi l’ho trasposto in: “Del buono, poco”». E inoltre: «La varietà di prodotti lattiero caseari, considerando solo i nostri confini, è talmente vasta che mai avrei immaginato una simile gamma di gusti, profumi, consistenze. Serviamo quindi un formaggio al massimo per due o tre settimane, quando è al top della forma, sempre dopo un confronto col produttore». Ogni cacio ha quindi la propria “stagione” per essere assaporato e goduto appieno, al pari di tanti altri ingredienti. Questo è un grande esempio di sostenibilità a tutto tondo, ragionata sulla salubrità e sulle quantità, ma che porta anche una firma divertente e inconfondibile: quella di Davide Oldani e dei suoi ragazzi. Credetegli: il formaggio non è mai stato così buono. 

Oldani tra Alessandro Procopio, a sinistra, e Fabrizio Nonis, che ha presentato le lezioni di Identità di Formaggio

Oldani tra Alessandro Procopio, a sinistra, e Fabrizio Nonis, che ha presentato le lezioni di Identità di Formaggio


IG2022: il futuro è oggi

a cura di

Luca Farina

piacentino, classe 1988, ingegnere&ferroviere. Mosso da una curiosità gastronomica continua, ama definirsi “cultore delle cose buone”, essendo cresciuto in una famiglia dove si faceva tutto “in casa”. Crede fermamente nella (buona) tavola come creatrice di legami, generatrice di ottimi ricordi e di emozioni vive. Instagram lucafarina88

Consulta tutti gli articoli dell'autore