07-09-2023

Philippe Léveillé, che festa a Identità Golose Milano! Lo chef bretone ha inaugurato la stagione dell'Hub e celebrato i suoi 60 anni

Italia e Francia, foie gras e peperone crusco, babà e pastis: un menu intenso e goloso che racconta lo stile del cuoco di Miramonti l'Altro. Che dice: «Se dovessi ricominciare oggi la mia carriera, non esiterei un secondo»

Foto di gruppo al pass di Identità Golose Milano:

Foto di gruppo al pass di Identità Golose MilanoPhilippe Léveillé con le brigate di sala e di cucina

E' stata una serata di festa, gioiosa e golosa, quella che ieri, giovedì 6 settembre, ha inaugurato la nuova, quinta stagione di Identità Golose Milano, con il suo programma di chef ospiti a rappresentare il meglio della cucina d'autore italiana e non solo (il calendario di settembre è sul sito dell'Hub, non perdetevi i prossimi appuntamenti). Protagonista perfetto di questa prima cena è stato lo chef, un po' bretone e un po' bresciano, Philippe Léveillé, dal due stelle Michelin Miramonti l'Altro di Concesio (Brescia). 

Cuoco da sempre amico di Identità Golose e già diverse volte ospite delle cucine di via Romagnosi, Léveillé ci ha fornito un'ulteriore motivo per brindare insieme, con il suo sessantesimo compleanno da festeggiare (caduto a fine luglio). 60 anni di cui più della metà passati in Italia, al fianco della moglie Daniela Piscini, responsabile della sala di Miramonti l'Altro e figlia del titolare del ristorante Miramonti, che accolse il francese agli inizi degli anni '90. 

Per questa occasione così speciale, Philippe Léveillé ha voluto regalare al pubblico di Identità Golose Milano un menu inedito, tutto in equilibrio tra le due radici territoriali che innervano la sua cucina e la sua vita: l'Italia e la Francia. Il risultato è stato intenso e sorprendente. A volte le reazioni più istintive e dirette finiscono per essere più eloquenti di qualche articolata analisi critica: per questo motivo vogliamo riportare fedelmente una frase che abbiamo sentito dire a una delle commensali di questa cena, mentre, a fine serata, salutava lo chef. 

«Ma questi piatti li inserirà anche nel menu degustazione del suo ristorante, vero? Perché sono davvero straordinari, io vorrei poterli mangiare ancora!». Noi ci accodiamo con entusiasmo a queste parole, applaudendo ancora una volta la capacità di Léveillé di portare nei suoi piatti una concentrazione di gusto così potente e ricca, accompagnando sapori netti e decisi con un rigore tecnico eccezionale. Troverete le foto delle cinque portate che ha cucinato nel nostro Hub, con le loro descrizioni, nella gallery che chiude questo articolo.

Edoardo Traverso, executive chef di Identità Golose Milano, al fianco di Philippe Léveillé durante il servizio

Edoardo Traverso, executive chef di Identità Golose Milano, al fianco di Philippe Léveillé durante il servizio

Conversando con Léveillé a fine serata, non potevamo che esordire con un caloroso "buon compleanno"! Sfruttando l'occasione di questa ricorrenza rotonda per chiedere al nostro ospite se, come capita quando si taglia un traguardo importante, gli è successo di ripensare alle tappe più importanti della sua carriera professionale.

«Inizierò col dire una cosa - ci ha spiegato sorridendo - il giorno del mio sessantesimo compleanno l'ho vissuto malissimo! Non sono mai stato uno preoccupato dall'età e dagli anni che passano, ma questa volta mi sono reso conto che quando ero giovane, pensavo che un sessantenne fosse, semplicemente... vecchio. Sessanta: tre volte venti. Poi però, pensandoci meglio, mi sono detto che se qualcuno potesse assicurarmi altri vent'anni così, senza malattie e potendo fare quello che amo, firmerei subito. Mi basterebbe. Parlando della mia vita professionale, devo dire invece che più passano gli anni, più sono contento. Non sono mai stato un cuoco ansioso, preoccupato dal giudizio delle guide e dei giornalisti, stressato. Abbiamo lavorato serenamente, con passione, insieme a mia moglie Daniela, a mio cognato Mauro, e alle tante persone che in questi anni sono passate dalla cucina del Miramonti l'Altro, raccogliendo quel che ci siamo meritati con il nostro impegno. Anche questa sera mi sono divertito, cucinare è la cosa che amo di più e mi piace farla senza preoccupazioni. Tranquillo, sorridente, senza rotture di scatole». 

Quindi si può interpretare questo lavoro con serenità? A volte sembra che fare il cuoco significhi essere destinati a fare una vita d'inferno...
Certo che si può. Non voglio assolutamente criticare nessun collega, parlo solo per me. Ma questa storia delle gerarchie rigide da far rispettare in cucina, i "sì chef" ripetuti ogni momento, sono cose che non mi sono mai piaciute. E vengo da esperienze di questo tipo, essendo passato da giovane dalle cucine di Robuchon, Blanc, Senderens: bisognava dire "oui chef" in continuazione, perché quando sei un commis, sono tutti chef intorno a te. Non l'ho mai sopportato. Il rispetto non è chiamare qualcuno "chef", rispetto è amare il tuo lavoro e farlo ogni giorno con il massimo impegno, soprattutto quando un professionista ti accoglie nella sua cucina. Questa idea un po' militare invece non mi ha mai convinto e già da giovane mi dicevo che, quando avrei avuto un mio ristorante, mi sarei comportato in modo diverso.

Forse non è un caso che lei sia una persona che ama circondarsi di collaboratori giovani, a cui insegnare questo mestiere. Come dicevamo anche poco fa, di questi tempi si parla del lavoro in cucina con toni spesso eccessivamente drammatici, ma cosa si può fare per far vivere meglio il mestiere di cuoco ai giovani che vi si accostano?
Il primo passo credo sia vedere il tuo chef che ti accoglie con un sorriso nella sua cucina: è già una cosa che fa la differenza. Se quello che respiri è nervosismo e urla, le tue giornate diventano una tortura. Credo che sia importante fare amare questo mestiere, facendo capire che è impegnativo. C'è da lavorare tanto e non si possono raccontare barzellette: a volte arrivano da noi in stage ragazzi dalle scuole alberghiere e rimangono sorpresi, in negativo, dei carichi di lavoro. E' così. Per fare da mangiare a pranzo e a cena serve impegno. Ricordo che il mio insegnante all'alberghiero ci diceva ogni giorno, entrando in aula: "Ragazzi, potrebbe essere il giorno giusto per togliersi il grembiule. Se non vi piace questo mestiere, smettete". Secondo me è giusto dire così, perché serve voglia e determinazione, bisogna dare tanto, certi sacrifici sono necessari. Poi però ci sono anche tutte le cose belle di questo lavoro, di queste non si parla mai. Con questo mestiere, se si ha l'intelligenza di imparare un po' di inglese, si può viaggiare, fare qualche soldino all'estero e intanto guardare, assorbire, imparare tecniche diverse, riempiendo il proprio bagaglio di esperienze. Così al ritorno a casa, si può aprire un ristorante e ottenere dei buoni risultati. 

Philippe Léveillé nella cucina dell'Hub

Philippe Léveillé nella cucina dell'Hub

Quali sono i consigli che dà più spesso a chi lavora con lei?
Capita a volte che qualche ragazzo mi chieda: "Chef, le serve aiuto?". Io dico sempre di no, posso farcela anche da solo. E spiego che invece mi aspetto che loro si mettano al mio fianco e cerchino di fare quello che sto facendo io. Mi devono guardare e provare a ripetere i gesti che faccio, mi devono rubare il lavoro, non chiedere se ho bisogno di aiuto. Devono imparare da me e io devo avere tempo per loro, per mostrare quello che faccio, per complimentarmi quando fanno le cose giuste e correggerli quando sbagliano, senza dar loro addosso. Il tempo è sempre poco, ma la soddisfazione di vedere delle persone uscire dalla mia cucina e avere successo fuori è una cosa unica. Allo stesso modo, non ha senso dire a qualcuno che è bravo se non è vero. Bisogna essere sinceri e ogni tanto mi capita di suggerire una riflessione sulla scelta di lavorare nella mia cucina: perché andare via non è una tragedia, non è un fallimento. Magari non piace la mia cucina, magari quella stessa persona può trovarsi benissimo in una trattoria invece che in un ristorante come il mio, e non esistono cuochi di serie A e di serie B. Una cosa che dico sempre ai miei ragazzi è: "Noi facciamo solo da mangiare. Non salviamo vite. Se lavoriamo bene, doniamo piacere due volte al giorno a chi viene da noi". Il nostro mondo è come il teatro: c'è un palcoscenico e ci sono gli spettatori. A fine spettacolo l'attore si prende gli applausi se è stato bravo, poi scende il sipario, l'attore si leva il costume di scena e va a casa sua, a dormire. Il giorno dopo si torna in scena. 

In più di 40 anni di lavoro, è cambiato qualcosa del suo modo di interpretare la cucina?
Non so se sono cambiato. Sono invecchiato, questo è certo. E quando invecchi cambi. Ma nella cucina invece credo di non essere cambiato: prendiamo i cinque piatti di questa sera, che sono forti, imponenti, con sapori decisi. Questa è sempre stata la mia idea, lo stile che ho cercato di proporre, lasciando che sia la materia prima a condurre il piatto. Ma la cosa più importante è che non ho mai perso la voglia di cucinare. Nel mio ristorante, nei due servizi che facciamo ogni giorno, io voglio stare davanti ai fuochi, con le mani impegnate. Difficilmente mi metto al pass, perché mi annoio. Questo lavoro mi piace, mi fa godere: se dovessi ricominciare oggi la mia carriera, non esiterei un secondo e non cambierei la mia vita con niente al mondo. 

Il risultato di questo amore per la cucina, si mangia ogni giorno nei piatti di Miramonti l'Altro e di Philippe Léveillé. Così come è successo ieri sera a Identità Golose Milano. Di seguito, le foto delle cinque portate con le descrizioni dello chef che le ha create. 

…Bretagna, Bertagna, Bertagnì!: «Facendo delle ricerche, ho verificato che il nome del Bertagnì (specialità tipica del bresciano a base di baccalà fritto, ndr) deriva da "bertagna" e prima ancora, risalendo al 1500, da "Bretagna". Questo perché il merluzzo arrivava da Saint-Malo, giungendo fino a Brescia conservato sotto sale. Essendo anche io un bretone arrivato nel bresciano, questa scoperta mi ha fatto sorridere. Ricordiamoci insomma che anche se adesso si parla molto di "contaminazione", ma non l'abbiamo inventata noi! Senza gli scambi e le contaminazioni avvenute nel passato, non esisterebbe la nostra cucina. E se questi scambi oggi finissero, sarebbe un vero peccato».

La piccola entrée è stata accompagnata da un drink a base di Surlo, un bitter realizzato dall'amico Cesare Rizzini

…Bretagna, Bertagna, Bertagnì!: «Facendo delle ricerche, ho verificato che il nome del Bertagnì (specialità tipica del bresciano a base di baccalà fritto, ndr) deriva da "bertagna" e prima ancora, risalendo al 1500, da "Bretagna". Questo perché il merluzzo arrivava da Saint-Malo, giungendo fino a Brescia conservato sotto sale. Essendo anche io un bretone arrivato nel bresciano, questa scoperta mi ha fatto sorridere. Ricordiamoci insomma che anche se adesso si parla molto di "contaminazione", ma non l'abbiamo inventata noi! Senza gli scambi e le contaminazioni avvenute nel passato, non esisterebbe la nostra cucina. E se questi scambi oggi finissero, sarebbe un vero peccato».

La piccola entrée è stata accompagnata da un drink a base di Surlo, un bitter realizzato dall'amico Cesare Rizzini

Foie gras e peperone crusco: «Questo è un incontro che, sulla carta, non dovrebbe avvenire. Che cosa hanno in comune? Nulla. Ciò nonostante ho favorito questo rendezvous: starà a chi asseggerà il mio piatto dire se da questo fidanzamento può nascere un matrimonio, a me piace tantissimo. L'idea è nata il giorno in cui ho assaggiato il peperone crusco, stavo bevendo del Sauternes e il mio palato ha sentito un'affinità. Così abbiamo provato a fare una marmellata di peperone crusco e Sauternes: a quel punto è stato istintivo associarla al foie gras...»

Foie gras e peperone crusco: «Questo è un incontro che, sulla carta, non dovrebbe avvenire. Che cosa hanno in comune? Nulla. Ciò nonostante ho favorito questo rendezvous: starà a chi asseggerà il mio piatto dire se da questo fidanzamento può nascere un matrimonio, a me piace tantissimo. L'idea è nata il giorno in cui ho assaggiato il peperone crusco, stavo bevendo del Sauternes e il mio palato ha sentito un'affinità. Così abbiamo provato a fare una marmellata di peperone crusco e Sauternes: a quel punto è stato istintivo associarla al foie gras...»

Tagliatelle, calamari e alghe dell’Atlantico: «L'anima bretone di questo piatto viene data dalle alghe, con cui prepariamo una crema. Mentre la parte italiana è rappresentata dalle tagliatelle e dai ciuffi di calamaretti, morbidi e croccanti. La sorpresa di questo piatto è una polvere di alloro tostato: l'alloro è un'erba aromatica che spesso si dà per scontata, poco considerata. Qui invece dà una spinta notevole al piatto»

Tagliatelle, calamari e alghe dell’Atlantico: «L'anima bretone di questo piatto viene data dalle alghe, con cui prepariamo una crema. Mentre la parte italiana è rappresentata dalle tagliatelle e dai ciuffi di calamaretti, morbidi e croccanti. La sorpresa di questo piatto è una polvere di alloro tostato: l'alloro è un'erba aromatica che spesso si dà per scontata, poco considerata. Qui invece dà una spinta notevole al piatto»

Piccione alla Carmagnola: «La Carmagnole, come molti sapranno, è la canzone della rivoluzione francese, e mi affascina l'idea che il peperone di Carmagnola, con il suo colore rosso, possa avere qualcosa a che fare con la storia della Carmagnole, sia la giacca rossa che il ballo. Nella ricetta il peperone compare in una polvere con cui disegneremo sul piatto il simbolo del Miramonti l'Altro» (ma anche nel gelato e nella decorazione che hanno accompagnato la coscia del piccione, ndr)

Piccione alla Carmagnola: «La Carmagnole, come molti sapranno, è la canzone della rivoluzione francese, e mi affascina l'idea che il peperone di Carmagnola, con il suo colore rosso, possa avere qualcosa a che fare con la storia della Carmagnole, sia la giacca rossa che il ballo. Nella ricetta il peperone compare in una polvere con cui disegneremo sul piatto il simbolo del Miramonti l'Altro» (ma anche nel gelato e nella decorazione che hanno accompagnato la coscia del piccione, ndr)

Babà alla Marsigliese: «Dopo la Carmagnole, mi sono detto, dovremmo cantare la Marsigliese! Scherzi a parte, qui mi sono permesso un esperimento rischioso: se qualcuno dei commensali dopo aver assaggiato il mio babà al pastis vorrà tirarmi le orecchie, lo accetterò di buon grado!» (invece il matrimonio è risultato felicissimo e molto apprezzato, ndr)

Babà alla Marsigliese: «Dopo la Carmagnole, mi sono detto, dovremmo cantare la Marsigliese! Scherzi a parte, qui mi sono permesso un esperimento rischioso: se qualcuno dei commensali dopo aver assaggiato il mio babà al pastis vorrà tirarmi le orecchie, lo accetterò di buon grado!» (invece il matrimonio è risultato felicissimo e molto apprezzato, ndr)


Identità Golose Milano

Racconti, storie e immagini dal primo Hub Internazionale della Gastronomia, in via Romagnosi 3 a Milano

Niccolò Vecchia

di

Niccolò Vecchia

Giornalista milanese. A 8 anni gli hanno regalato un disco di Springsteen e non si è più ripreso. Musica e gastronomia sono le sue passioni. Fa parte della redazione di Identità Golose dal 2014, dal 1997 è voce di Radio Popolare 
Instagram: @NiccoloVecchia

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