Difficile riesca lo stesso anno a visitare due volte un ristorante, soprattutto se lontano da Milano. Certo non per cattiva volontà, bensì per troppo di tutto da seguire e per la fortuna di potere contare su un fior di redazione. Così se un Passera o uno Zanatta è già stato da poco in quella certa insegna, io cerco di visitarne una trascurata da troppo a lungo, lì a prendere ingiustamente polvere.
Due perfette fotografie di questo anno disgraziato mi portano a Roma, verso fine inverno e adesso di nuovo, sempre accanto a Trinità dei Monti, all’hotel Hassler, la cui proprietà, la famiglia Wirth, ha buon gioco nel segnalarlo come uno spicchio di paradiso sopra Piazza di Spagna, al termine di una scalinata di incredibile bellezza.

L'ingresso di un hotel Hassler chiuso da inizio marzo per gli effetti del Covid
L’
Hassler è un 5 stelle lusso che al sesto piano racchiude un fior di locale, l’
Imago. Dall’aprile 2019 ne è chef
Andrea Antonini, classe 1991, molto posato e attento, uno che pensa e rumina cucina senza lasciarsi andare a effetti speciali gratuiti, proclami e giochetti sui social. Taciturno il giusto con la voce, tende a parlare con i fatti e i piatti.
Non è facile perché la capitale sa essere così bella, che in tanti posti quello che ti viene servito passa facilmente in secondo piano. E i tramonti, il buio della notte aiutano ovunque, figuriamoci con chi è già splendido di suo. Antonini ha per me il pregio di sfruttare il panorama dell’Hassler per dare ancora più forza alle sue proposte. Soprattutto adesso in piena emergenza.
Imago uno e Imago due perché il caso ha voluto che questo sia stato l’ultimo ristorante visitato prima del confinamento a casa. Era il 5 marzo, un giovedì. Ricordo preoccupazione tra il personale e un hotel pressoché vuoto, pochissime le camere occupate, pochissimi gli ospiti alla colazione del mattino. Tornato a Milano, di lì a poco il governo avrebbe chiuso l’Italia.

La cucina al sesto piano del ristorante Imago
Ricordo che chiamai
Marco Amato, il grande riferimento in sala, per avvisarlo non avere senso scrivere di un posto che chissà quando avrebbe riaperto e come. Ci lasciammo ripromettendoci di risentirci quando il bicchiere poteva essere considerato mezzo pieno. Con l’albergo non ancora riaperto, patron
Wirth ha sfruttato gli spazi del
Palazzetto, quattro piani che si sviluppano sulla destra della scalinata di piazza di Spagna vista dalla sommità. Quattro stanze, enoteca, un suo ristorante, cocktail bar in alto, soluzione tampone, perfetta per riprendere confidenza con ogni aspetto della ristorazione e per capire come fare con l’Imago vero e proprio.
Locale guidato da
Antonini e da
Amato al sesto piano dell’
Hassler, pagava sia lo scotto che gli ospiti sarebbero dovuti entrare in una hall addormentata sia quello di una sala chiusa dalle vetrate. Sembrava mancare quell’energia che avrebbe dato forza all’offerta. La soluzione è stregante. Per come è fatto oggi, l’
Hassler ha due enormi suite agli ultimi due piani, al settimo quella storica e all’ottavo una più recente, aggiunta nel tempo.

Pollo e peperoni in raviolo, chef Andrea Antonini
Ecco la soluzione: spostare i tavoli sulla terrazza del settimo, 250 metri quadri di paradiso con la vista su Roma intera. Ti lascia senza fiato. Aperta il 16 giugno, solo a cena, da martedì a sabato, celebrerà l’ultimo servizio il giorno di Ferragosto, poi ferie fino a martedì 8 settembre. Per allora sapremo se la formula, assolutamente unica e legata ai tempi dell’hotel, verrà riproposta per tutto il mese.

Risotto, scampi e porcini
Partiti con l’idea di 9 tavoli, venerdì scorso 24 luglio ne ho contati 12 per un tetto di una trentina di clienti. Non è solo una questione di attenzione in cucina a ranghi ridotti, ma lo è ancora di più di servizio. Creato questo splendore all’ultimo, i camerieri è come se facessero culturismo. Tenete conto che tutto esce da un pass al sesto, va percorso un corridoio, salito un piano di scale e poi ancora la terrazza. E per non raffreddare i piatti, non solo la classica cloche ma anche un vassoio e una pietra calda d’appoggio. E avanti e indietro, avanti e indietro con un tavolo importante arrivato alle 23, un habitué a cui non si può negare una cena per lui e i suoi ospiti. Sei in tutto e ben distanziati ma di questi tempi si è sembrato di vedere quasi un banchetto.

Astice alla catalana nell'interpretazione di Andrea Antonini
Dodici preparazioni in tutto, per giocare alla carta o scegliere tra i menù degustazione. Per iniziare Ceviche di capesante all’italiana (senza peperoncino) e Coccio, panzanella e limone, inebriante. Quindi i tre primi: Pollo e peperone in raviolo, inteso, marcato ma scordatevi il piatto fatto a casa da mamma; Spaghetti, cetriolo di mare, ricci e pecorino, perfetti nella loro sapidità; Risotto, scampi e porcini, cotti e crudi, coraggiosi nella loro esemplare esecuzione perché piena estate torrida a Roma e non sulle Dolomiti.
Due secondi, sempre assaggi: Piccione e camomilla 2.0 per marcare la sua evoluzione e Astice alla catalana, ineccepibile a patto cambiargli nome perché nulla da spartire con l’insalata che è la bandiera di Alghero in Sardegna. Certi nomi sono scolpiti nel marmo, evocano ricette ben precise. Lecito ripensarle, aggiornarle, ma non vedo molto senso nello stravolgerle.
Prima di una doppia dolce chiusura, un secondo bicchiere di Rossese di Dolceacqua Superiore Posaù di
Giovanna Maccario, azienda
Maccario Dringenberg a San Biagio della Cima (Imperia), telefono +39.333.2063295.
Quindi i dessert, due perché, non riuscendo a decidere, ho provato sia Ricotta e visciole sia Cheesecake di pecora, albicocche e pinoli. Meglio la seconda, troppo piena la prima ma poco o nulla cambia nel giudizio. In piena emergenza ho davvero applaudito quanto impostato e preparato da Antonini. Il suo merito? Avere deviato il mio sguardo dal panorama ai suoi piatti. Da applausi.