Sono ben lontani i tempi in cui si passava per la Danimarca per raggiungere prima possibile la Svezia e il grande nord o ci si fermava a Copenhagen per il calcio, la Sirenetta e le pipe forgiate lassù. Mai per la cucina, anche se gli smorrebrod mi accompagnano da sempre, un’unica fetta di pane di segale imburrato e ricoperto di salmone, uova, gamberetti e via così di scelta in scelta. Tutto quello che ammiriamo ai giorni nostri ha radici che affondano in un tempo in fondo recente, in questo primo quarto di ventunesimo secolo. Da un seme interrato da René Redzepi è
nata e si è sviluppata una foresta che abbraccia tutto il Nord e tanto altro ancora. E così non mi stupisco affatto davanti a una novità.
L’ultima data 21 aprile 2025 al 15 di Rosenborggade dove un tempo aveva sede una scuola, poi un ristorante e adesso una realtà che non è unica, nemmeno pensando all’Italia, ma che presenta dei tratti molto particolari. A leggere l’insegna, Epicurus, è facile pensare al piacere della tavola, ma in questo caso si va oltre perché al piano rialzato abbiamo un ristorante ma, all’interrato, una sala jazz in quella che era la palestra.
Aperto quattro sere a settimana, da mercoledì a sabato, è la sintesi delle menti e delle passioni di quattro figure speciali nel panorama danese e oltre:
Sir Niels Lan Doky, intenso pianista jazz, cura il programma musicale;
Lars Seier Christensen, banchiere, co-proprietario del Copenhagen calcio, garantisce il sostegno economico come già fa, tra gli altri, con
Geranium e
Alchemist;
Mads Bottger è il proprietario del castello di Dragsholm, eretto nel 1215 e oggi un relais & château; infine
Rasmus Shepherd-Lomborg, maestro nell’universo dei cocktail.
Visto il tutto dall’Italia, la presenza di
Christensen è una garanzia di qualità culinaria, ma se si pensa ai suoi gioielli stellati si va fuori strada. Non c’è sperimentazione da
Epicurus, la nuova cucina nordica rimane fuori dall’ingresso.
Mats Bottger e lo chef
Oliver Bergholt curano un’offerta che strizza l’occhio alla Francia, esecuzioni rassicuranti, che predispongono allo spettacolo musicale a seguire, in un ambiente dove ci si può esaltare per le miscelazioni di
Rasmus Shepherd-Lomborg e
Michael Hajiianni. Se non ci si ferma per il concerto, l’esperienza risulta monca e perde di significato. Regolatevi.
Il menù degustazione dedicato alla musica ha un costo di 695 corone, circa 93 euro, più un eventuale abbinamento vini che oscilla tra le 600 e le 1200 corone. A cena, perché la cantina del jazz club è molto più rifornita e importante. In ogni caso, brillanti gli snacks come un bignè salato, crudo e tartufo oppure tre ostriche diversamente condite fino al fuoco di un
peperoncino verde, preludio all’armonia tutta francese di un Waffle con funghi misti cotti nella panna e l’aggiunta del fyrtarn, un formaggio danese che ricorda il Comté come il nostro Vezzena. Quindi il piatto principale, una perfetta Anatra arrosto, purè di mele e ancora tartufo bianco, e la chiusura con un misto di formaggi, erborinato compreso.
Un appunto, l’illuminazione andrebbe ripensata. Troppo uniforme e generica, non brilla nulla, a differenza della sala jazz, spettacolare, con il palco dominato da un pianoforte Bosendorfer 230 Vienna Concert, e in un
muro un dipinto di
Miles Davis che alternava i colori alle note, un quadro donato a
Sir Niels Lan Doky da
Bill Evans. Bastano queste poche note per capire che la parte jazz ha un peso specifico maggiore rispetto a quella del cibo, vino e cocktail stanno a parte e convincono.
Solo avere ascoltato il quartetto guidato dal bassista Darryl Jones è valso il viaggio. In lui gli echi degli Stones e di Sting, di Madonna e di Miles Davis. Piacere infinito.