FoodExp edizione numero 8 dal 14 al 17 aprile a Lecce, gran cerimoniere Giovanni Pizzolante. Calendario ricco di lezioni, degustazioni, pranzi e cene. Impossibile seguire e raccontare tutto, così ho scelto la collaborazione tra il Basque Culinary Center di San Sebastian e uno dei cuochi legati alla Chefs Community for Innovation, scommessa strategica per connettere figure di tutto il mondo interessate a sperimentare, condividere conoscenze e sviluppare progetti in collaborazione con l’ambiente accademico e scientifico basco.

Giovanni Pizzolante, ideatore e curatore di FoodExp a Lecce, rassegna giunta all'ottava edizione nell'aprile 2025
Il gruppo conta una sessantina di professionisti. Alcuni sono super stellati, come
Diego Guerrero e
Yoshihiro Narisawa, che garantiscono un importante traino mediatico, ma i più sono giovani che spingono per costruire un futuro che faccia crescere il settore gastronomico in tutte le sue direzioni, dalla ristorazione all’industria alimentare. Tre sono italiani,
Giovanni Olivieri di
Orma a Roma,
Davide Guidara dei
Tenerumi a Stromboli e
Ciro Scamardella di
Pipero nella capitale, forse quattro con
Alberto Gipponi, di
Dina a Gussago (Brescia).
A Lecce,
John Regefalk, responsabile di ristorazione, didattica e ricerca del
BCC, ha condiviso il palco con
Scamardella e con
Natalia Villamor, messicana, studentessa del quarto anno della Laurea in gastronomia e stagista da
Ciro. Attraverso la sua tesi,
Natalia sta sviluppando un progetto concreto, l’avvio di un dipartimento interno di ricerca e sviluppo, dotato di una metodologia pensata per rendere l’innovazione continua, organizzata e replicabile nel tempo, anche dopo la conclusione del progetto formativo.
John ci tiene a rimarcare come questo sia un esempio reale di come la formazione universitaria e la ristorazione possano lavorare insieme per generare valore concreto, strutturare processi di innovazione e promuovere nuove dinamiche professionali all’interno dei ristoranti. Quindi non solo nei contesti di ricerca e industria, ma anche all’interno della ristorazione stessa, accompagnando chef e brigate nel rendere il loro lavoro più creativo, aiutandoli a organizzarsi con più metodo e a generare valore nel tempo.

Il punto di partenza è chiaro: per innovare davvero, con i fatti e non giusto a parole, servono tempo, metodo e studio mirato. Serve uno spazio in cui poter analizzare a fondo le tecniche, sperimentare sulle materie prime, riflettere sul perché delle trasformazioni, fare errori, correggerli e documentarli. Una condizione spesso difficile da raggiungere nel contesto quotidiano di un ristorante, dove la pressione del servizio e della produzione quotidiana rende complicato dedicare risorse alla sperimentazione.

Xinge Liu a FoodExp 2025. Alle sue spalle si riconoscono Carlo Passera, Roy Caceres e John Regefalk
Il lavoro svolto da
Natalia, in stretta collaborazione con la brigata di cucina e di sala di
Pipero, è stato quello di dare forma a una metodologia adattata al contesto specifico del locale. Dopo un’analisi approfondita delle risorse disponibili – persone, spazi, attrezzature – il team ha definito obiettivi concreti, sviluppato un piano di lavoro e introdotto tecniche e strumenti che normalmente si trovano solo nei laboratori gastronomici o nei ristoranti più innovativi.
Tra questi strumenti, presenti sul palco a Lecce, un ruolo centrale lo ha
avuto un fermentatore a controllo climatico, costruito con componenti acquistabili online, capace di garantire condizioni controllate di temperatura e umidità. Questo strumento ha permesso di gestire fermentazioni delicate, come quelle necessarie per la produzione di koji, miso e salse umami, in modo stabile e preciso. L’OCOO, una pentola elettrica coreana, è stata utilizzata per cuocere in ambiente chiuso, combinando temperatura, pressione e umidità su curve prestabilite: una tecnologia che consente fermentazioni, decozioni, cotture lente e

Ciro Scamardella, chef del ristorante Pipero a Roma
trasformazioni termiche complesse in modo ripetibile e controllato.
Il Twinstones invece, è una raffinatrice a pietra ispirata ai metate tradizionali messicani. È molto usata nel mondo del cioccolato per la fase di concaggio, ma si rivela estremamente efficace anche per preparazioni come pralinati, miso, paste di frutta secca ed emulsioni: le pietre ruotano lentamente, evitando surriscaldamenti e preservando aromi e consistenze.
Grazie a questi strumenti, è stato possibile condurre una serie di test e
prototipi orientati a esplorare nuove strade nel trattamento della materia prima. Sono stati realizzati kimchi mediterranei a base di carciofo, friariello e zucchina, fermentati per quindici giorni; kombucha aromatizzati con limone e zenzero, fermentati in bottiglia chiusa per ottenere una naturale gassatura; essenze vegetali ottenute da frutta come la mela, destinate all’utilizzo in salse e fondi; e diversi tipi di koji — da nocciola, riso, ceci e lenticchie — tutti inoculati con Aspergillus oryzae, ognuno con caratteristiche proprie in termini di aromi, sapori e carica enzimatica.

Natalia Villamor, messicana, studentessa del quarto anno della Laurea in gastronomia al BCC e stagista da Pipero a Roma
Da questi test sono nati spunti interessanti e validi che hanno trovato poi spazio nel menu di
Pipero. Tra questi,
Friariello, ostrica e alga nori, dove la tecnica del kimchi è applicata al friariello. Dopo 15 giorni di fermentazione, parte del kimchi viene mescolata con un battuto di friariello appena sbollentato, che fa da base all’alga nori. L’ostrica è protagonista in doppia consistenza, sia cruda che trasformata in maionese, e il piatto si completa con l’infiorescenza del friariello e con le foglie più esterne della pianta, che vengono cristallizzate, aggiungendo

Foto ricordo per i tre protagonisti di una importante lezione a FoodExp 2025, da sinistra Natalia Villamor, Ciro Scamardella e John Regefalk
una nota croccante e visivamente evocativa.
Un altro esempio significativo è Gambero, ciauscolo e mela annurca, che valorizza il potenziale dell’OCOO, utilizzata qui per ottenere un brodo concentrato di mela annurca, arricchito in partenza con fiori di ibisco, attraverso un programma di essenza di sei ore. Il gambero viene battuto al coltello insieme al ciauscolo, lavorati fino a ottenere una pasta unica e compatta. Il tutto viene condito con un olio al dragoncello e completato con il brodo aromatico caldo, che armonizza gli elementi del piatto.

Tutte le lavorazioni sono state documentate, assaggiate, integrate nel lavoro quotidiano e condivise con la brigata, costruendo così una cultura interna dell’innovazione che coinvolge non solo la cucina, ma tutto il locale. Questo dimostra che è possibile fare ricerca dentro a un ristorante, se si crea un metodo adatto, se si lasciano spazi di tempo e riflessione, e se si pensa all’innovazione come a un processo costante, non come a un’eccezione. È un esempio replicabile, che mostra come il dialogo tra università e mondo professionale possa portare risultati concreti, migliorare la qualità e aprire nuove strade per la gastronomia del futuro.