01-11-2025

Alchemist e una cena Buonissima

A Torino Rasmus Munk, chef-patron del ristorante danese, ha reinventato la volta che accoglie la sua sala, negli spazi di un palazzo barocco di Torino. Un lavoro di quasi due anni

Buonissima ovvero “Cibo e arte, spettacolo e bellezza” a Torino, edizione numero 5, dal 23 al 26 ottobre, direttori artistici due giornalisti, Stefano Cavallito e Luca Iaccarino, e uno chef, Matteo Baronetto, organizzazione in capo dallo scorso anno a To be company, in particolare Pier Luigi Rosito e Stefano Zenga.

La rassegna mette tutti a tavola lungo quattro direttrici ben precise: ristoranti stellati, piole e osterie, cocktail bar e afterhours, degustazioni e lezioni di cucina. Ciliegina sulla torta, la consegna del premio intitolato a Bob Noto, questo autunno al francese Alain Passard.

Gabriele Zanatta ha raccontato qui la reunion degli Oasis ovvero la cena a quattro mani che ha visto di nuovo fianco a fianco Carlo Cracco e Matteo Baronetto, per la prima volta dodici anni dopo la loro separazione, il vicentino sempre a Milano e il piemontese a Torino.

L’altro momento clou è andato ancora oltre e ha visto Rasmus Munk chiudere per due giorni Alchemist e trasferirlo da Copenhagen in riva al Po. Lo sforzo organizzativo fa impallidire ogni altro pranzo o cena tra chef, con un padrone di casa che accoglie un collega piuttosto che due o più cuochi che si danno appuntamento in un posto scelto per l’occasione.

Con il danese nessun quattro mani, solo le sue e la sua mente. Con un problema da risolvere alto così. La sala di Alchemist è sovrastata da una volta emisferica sulla quale non vengono proiettati pianeti, soli e galassie, bensì immagini legate ai problemi più disparati ma anche a momenti di poesia e di speranza.

La semisfera non è solo un elemento architettonico, ma un fattore concreto e decisivo del successo del progetto di Munk. Non potendola replicare a millecinquecento chilometri di distanza, come fare a

mantenerne integra l’anima? Vestendola con abiti diversi, ripensando completamente la struttura. Un viaggio nel tempo, ma in avanti o a ritroso? Buona la seconda.

I 140 commensali, suddivisi in sette distinti turni da venti, si sono ritrovati catapultati al Seicento all’interno di Palazzo Saluzzo Paesana, un gioiello barocco nel cuore della città, punto di arrivo dopo tanto ragionare e tanto fare e disfare. I responsabili di Buonissima hanno iniziato a confrontarsi con quelli danesi a inizio 2024, un anno e mezzo fa. La domanda era una e solo una: che fare?

Ha detto Stefano Zenga: «Ci era chiaro che non potevamo ricreare Alchemist. Così, di comune accordo, abbiamo deciso di immaginare un evento unico, una sorta di produzione cinematografica che racchiudesse gli elementi distintivi della casa madre – percorsi itineranti, video proiezioni, performance – reinterpretati però in chiave torinese. Il tema è diventato una cena in un ambiente barocco, ispirata al Seicento, ma con piatti rivolti al futuro, un dialogo tra classicità e avanguardia, tra la storia della città e la visione contemporanea di Munk».

Il tutto concretizzato lo scorso mese di giugno in occasione dei World’s 50 Best quando il gruppo di lavoro ha esplorato diverse possibili strutture dalla Mole Antonelliana alla Centrale Lavazza, dal Museo dell’auto alle Gallerie d’Italia fino a Piano 35 prima di scegliere Palazzo Saluzzo Paesana.

La produzione di questa cena è stata una vera e propria sfida nella sfida. Tutto il project management è stato gestito internamente, e per affrontare la complessità dell’evento si sono spinti ben oltre la loro comfort zone affiancandosi a professionisti provenienti dal mondo dello

spettacolo e del cinema come scenografi, costumisti e truccatori, per costruire un linguaggio visivo coerente con l’impianto narrativo della serata. Che difficilmente replicheranno in futuro.

Il risultato è stato un percorso sensoriale e narrativo all’interno del palazzo, dove ogni stanza raccontava un frammento della visione di Alchemist, reinterpretata attraverso la cultura e l’estetica torinese. Non una semplice cena, ma un’esperienza totale, in cui gastronomia, arte visiva, suono, luce e performance si sono fuse in un racconto coerente e spettacolare.

Primo quadro un soprano a dare il benvenuto in musica al centro del cortile, poi tutti al primo piano nella stanza di un poeta in cerca di concentrazione dove sono state servite della farfalle e un biglietto edibile. Il quadro successivo, una tavola rettangolare imbandita con maialini arrosto, formaggi, porchette, piccioni, frutta, poi la sala animata da una ballerina classica e a seguire un grande tavolo rotondo capace di accogliere tutti e venti gli ospiti fino a un totale di 140.

Sono stati serviti la Lingua rossa, provocazione simbolo a Copenhagen, il cremino con l’immagine di Gesù (e non del cliente), un ritratto di

Pellegrino Artusi al posto dell’Urlo di Munch fino a distendersi su dei puff per seguire la proiezione sul soffitto di una stanza dei ciliegi in fiore e gustare un bocciolo, un assaggio di quanto scorre sulla vota a Copenhagen.

E in un certo senso calerà il sipario quando le immagini della proiezione coincideranno con quelle dell’affresco. Le prime si dissolveranno, lasciando spazio solo a quelle lì da oltre tre secoli. Munk, missione compiuta.


Affari di Gola di Paolo Marchi

Pagina a tutta acquolina, uscita ogni domenica sul Giornale dal novembre 1999 all’autunno 2010. Storie e personaggi che continuano a vivere in questo sito

Paolo Marchi

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Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
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