Nella seconda giornata del congresso in Sala Blu 2 sono andate in scena le Nuove Identità, rassegna dei talenti emergenti dall’Italia al resto del mondo senza soffermarsi troppo sui limiti anagrafici ma cercando d’indagare soprattutto chi abbia qualcosa di nuovo da dire e da mettere nel piatto.

Alberto Gipponi, ristorante di Dina di Gussago (Brescia), ha aperto la giornata di Nuove Identità, Italia-Mondo
ALBERTO GIPPONI - Rientra decisamente in questa categoria
Alberto Gipponi, chef patron del ristorante
Dina di Gussago che ha deciso di dedicarsi alla cucina a 35 anni, dopo la laurea in Sociologia e altre esperienze lavorative. «Ma ero cuoco da sempre, solo che non lo sapevo» racconta lo chef che sale sul palco con le braccia istoriate a penna dai concetti che vuole portare al congresso per non dimenticarsene nemmeno uno, al contrario delle sogliole rimaste a Gussago. E in effetti non è facile seguirlo nei suoi ragionamenti che saltano dall’estetica – in senso filosofico, partendo dai concetti di piacere, sapere, indifferenza, saggezza: i quattro passaggi del gusto secondo
Nicola Perullo – alla durevolezza del bello, prendendo come esempio la Pietà Rondanini di
Michelangelo, ma con la necessarietà di farsi interpreti del proprio tempo. Senza però perdere libertà e leggerezza perché, ricorda, «siamo cuochi e non facciamo operazioni a cuore aperto».
Così i piatti passano quasi in secondo piano, un peccato ma si può recuperare andandolo a trovare al Dina. Qualcuno assaggia comunque la sogliola con crema di ossa di pollo e limone nata dallo studio delle 187 ricette dedicate a questo pesce dall’Escoffier ma soprattutto dal confronto con amici e colleghi - da Canella a Baronetto, solo per citarne alcuni – su sapori, cucina e soprattutto sui grandi maestri che hanno fatto la storia e sono stati capaci di “irradiare il mondo”: Redzepi, Adria, Bottura, i fratelli Roca. Tutti ricevono la bustina con il casoncello crudo ma cotto, da cui è nato il grande successo dello chef. Ma per lui ciò che conta sono soprattutto le idee, anche quelle sbagliate. (Luciana Squadrilli)

Gonzalo Luzarraga, Rigò, Londra, con il moderatore della giornata Niccolò Vecchia
GONZALO LUZARRAGA - Più lineare
Gonzalo Luzarraga, nato in Cile da padre spagnolo e madre italiana ma da diversi anni a Londra alla guida di
Rigò, che da Chelsea si sta per spostare nel cuore di Londra, pronto a cambiare (o meglio, evolvere) per incontrare i gusti della nuova clientela. «Per me conta soprattutto la soddisfazione di chi viene a mangiare da me, nel cibo si deve trovare piacere», racconta lo chef che ha faticato ad affermare l’idea di una cucina italiana contemporanea a Londra e ha preferito far passare il concetto di un ristorante internazionale: «Londra è una città cosmopolita ma ha bisogno di categorizzazioni, così nei ristoranti italiani ci si aspetta per forza di trovare carbonara e pizza e se non accade si resta delusi». Il DNA italico però non è per nulla tradito e – insieme anche agli altri geni e a tutte le esperienze di
Gonzalo – resta sottotraccia, ben individuabile almeno per noi in molti dei suoi piatti: eleganti, ragionati, frutto di tante prove ma anche molto “di pancia”. Come il “risotto” di funghi enoki mantecati velocemente in burro e Grana Padano, con il tartufo nero a esaltarne il gusto umami, o il riso “vero”, mantecato con aglio nero, miele d’acacia e sette diverse varietà di alghe che crescono sulle coste scozzesi, per un effetto finale cremoso e morbido con la sferzata della nota salmastra delle alghe rafforzata dal
kale. E con una cottura perfetta, unico punto su cui lo chef è stato irremovibile nel confronto con la clientela londinese. Buonissima anche la pluma iberica frollata a lungo e servita rosata, accompagnata dalla nota iodata dell’ostrica, quella amara dei broccoli e quella dolce e cremosa della purea di pastinaca. (
Luciana Squadrilli)

Alessandro Miocchi e Giuseppe Lo Iudice di Retrobottega, Roma
GIUSEPPE LO IUDICE E ALESSANDRO MIOCCHI - È un racconto a due voci – che diventano tre con l’intervento di
Alessandro Di Tizio, l’etnobotanico abruzzese che li affianca nel progetto “erborizzare” dedicato alla raccolta di erbe e radici nei campi abruzzesi, accompagnate dal racconto grafico
livedel cartoonist Joshua Held– quello di
Giuseppe Lo Iudice e Alessandro Miocchi, le due menti dietro al progetto
Retrobottega a Roma. Cresciuto tantissimo in soli tre anni, costruito su una forte amicizia, su esperienze comuni ma anche su tanti errori – «ci siamo resi conto che fare i cuochi non significa essere ristoratori» – oggi è uno degli indirizzi più amati della Capitale, in continua evoluzione ed espansione senza però perdere di vista l’idea iniziale di una cucina pronta alla sperimentazione ma legata ai prodotti e alla terra. Le verdure, ad esempio, sono trattate come ingrediente protagonista al pari di carne e pesce, anche con cotture violente e preparazioni che ne esaltino i sapori. Nasce così il piatto presentato a Milano, l’unico sempre in carta se pur mutando con le stagioni: la
crepinette di foglie, versione vegetale del classico francese con la rete di maiale ad avvolgere una stratificazione stagionale e ragionata di foglie e radici, dalla bardana che fa da involucro esterno al cuore cremoso di ortica. Nel piatto anche boccioli di tarassaco sotto aceto, con il fondo di maiale a dare nerbo. Una sorta di “quinto quarto vegetale”, un boccone golosissimo e inedito che però, sottolinea
Giuseppe, «a ognuno ricorda qualcosa di familiare, sapori del passato magari difficili da individuare ma riconoscibili». Un involucro di memorie, pronto a farsi sempre nuovo. (
Luciana Squadrilli)

Paulo Airaudo, Amelia, San Sebastian, Paesi Baschi
PAULO AIRAUDO - Paulo Airaudo s’innesta sul tema della giornata raccontando l’esperienza di un italo-argentino sbarcato a San Sebastian e intenzionato a cucinare gli ingredienti locali in maniera personale e diversa, come fa nel suo ristorante
Amelia. «San Sebastian, nota a livello mondiale per la gastronomia, è una città molto tradizionale. Per me è stata una sfida portare lo sguardo e il punto di vista di uno straniero e una gran soddisfazione ricevere tanti consensi». Il primo piatto presentato sul palco di Identità Golose è la Sardina, barbabietola e
crème fraîche, composto di pochissimi ingredienti, scelti personalmente dallo chef e dal suo staff tra quelli di piccoli produttori della zona. La barbabietola è declinata in varie forme (purea, sfoglia e
pickle) mentre la sardina viene semplicemente scottata con il cannello. «Da
Amelia grigliamo quasi tutto, mi piace utilizzare questo tipo di cottura che lascia intatto il sapore originario degli elementi».
Airaudo, che ama giocare con le temperature, propone a seguire un Gelato al rum, avocado e caviale, da cui prende spunto per esporre la sua idea di sostenibilità: non è soltanto praticare il km zero, ma anche premiare chi produce altissima qualità anche se, magari, non è proprio dietro l’angolo: così «l’avocado, per esempio, è di un piccolo coltivatore di una cittadina vicina, mentre il caviale lo abbiamo selezionato da un allevamento italiano di un’azienda scandinava». (
Amelia De Francesco)
CIRO SCAMARDELLA - È una stratificazione di memorie vicine e lontane quella alla base della cucina di
Ciro Scamardella, da agosto scorso chef di
Pipero Roma. Nato a Bacoli, cittadina portuale a poca distanza da Napoli, ha fatto esperienza in Spagna con
Martin Berasategui prima di tornare in Italia, a Roma, a lavorare con
Anthony Genovese e
Roy Caceres, due cucine ad alto tasso di contaminazione e stimoli
global. Da
Pipero, invece, questo ragazzo pieno di entusiasmo e di idee sta lavorando sul recupero della memoria originaria, quelle della cucina campana e di casa, naturalmente riletta con la lente della creatività, delle tecniche moderne e del lavoro di squadra, con un processo creativo condiviso e arricchito dal contributo dell’intero team: da Victor, il giovane collaboratore colombiano sul palco con lui, ai preziosi feedback della sala guidata da
Alessandro Pipero. Come nel caso di quello che è già un piatto
signature, la Genovese di polpo in raviolo. La salsa napoletana di carne e cipolle è proposta in versione marinara, secondo l’uso dei pescatori di Bacoli che nobilitavano così la polpessa, il polpo meno nobile. Con il fegato,
Ciro fa una salsa intensa e avvolgente che, insieme alla salsa di cipolle e all’olio di cerfoglio, veste i bottoni di sfoglia farciti di una crema di polpo con la sua acqua di cottura e con le ventose a dare ogni tanto una consistenza inattesa. Poi c’è il “gioco” della mozzarella, da mangiare con le mani in modo da far colare il latte nella parte sottostante del piatto creato ad hoc, andando a insaporire le diverse consistenze di topinambur e daikon. (
Luciana Squadrilli)
KARIME LOPEZ - Karime Lopez porta a Identità Golose la sua personale esperienza di cosa significhi la memoria e, al tempo stesso, si esprime coralmente a nome di
Gucci Osteria da Massimo Bottura, un luogo che reca in sé l’onore ma anche la responsabilità di due nomi tanto importanti. La
Lopez parla di memoria, aspettativa e sorpresa come dei tre elementi chiave, centrali nell’esperienza ristorativa. Il cliente, infatti, arriva molto spesso con una idea di cosa accadrà a tavola, data in parte dal luogo in cui sa di andare e in parte da immagini in cui può essersi imbattuto. Ma lo stesso cliente arriva con qualcosa di ben più radicato, ed è la sua memoria, la memoria del gusto formato negli anni, con i piatti della nonna, un insieme di sapori di casa che sono un confortevole bagaglio gastronomico e sentimentale. Il compito di chi accoglie, in cucina come in sala, è quindi di sorprendere piacevolmente, innanzitutto, e poi di trasformare la sorpresa in una nuova, duratura memoria. Esempio ne è un piatto osato nel cuore di Firenze, dal nome “Che Chianina!”, con un velo di rapa a nascondere la toscanissima carne, dove solitamente ci si aspetta di vederla in bella mostra. O anche la Tortilla con palamita, avocado e olio di coriandolo: il Messico da cui viene che si contamina con ingredienti italiani, le memorie, la sua e quella di chi assaggia, che si compenetrano arricchendosi di nuovi elementi e sapori in uno scambio in cui vincono tutti. (
Amelia De Francesco)
IVAN E SERGEY BEREZUTSKY - Famiglia e ricordi, curiosità, sostenibilità, viaggio e scoperta, futuro. Sono queste le parole chiave attraverso cui raccontano il proprio lavoro i russi
Ivan e Sergey Berezutsky al loro
Twins Garden di Mosca, il primo ristorante
farm to table della Russia, con un’azienda agricola di proprietàdove coltivano molti prodotti e con cui portano avanti un progetto di recupero sui semi autoctoni. Una vera sorpresa per chi ancora non li conoscesse – ma sono stati anche
ospiti dell’Hub di Identità Golose – questi gemelliquasi identici nell’aspetto ma diversi nel carattere e nelle propensioni, anche in cucina: uno più attento alla natura, l’altro più portato all’innovazione, hanno fatto percorsi differenti prima di lavorare insieme per tracciare nuove traiettorie della cucina russa contemporanea e creare nuove memorie intorno al gusto russo. Per farlo, indagano i sapori dell’infanzia ma anche la biodiversità russa, fatta dei ricci del mare dell’estremo oriente come della
feijoa, frutto tipico della Russia meridionale dal sapore agro e iodato. Così ad esempio il pomodoro usato in ogni sua parte e nei diversi stadi di maturazione – sotto forma di cialda soffiata, quasi una sorta di macaron, farcito con semi di pomodoro verde marinati e crema di foglie di pomodoro, accompagnato da un “vino” di pomodori surmaturi fermentati – segna un punto d’incontro e di memoria comune tra Italia e Russia. Mentre il
miedavik, tipica torta russa al miele, prende inedite sfumature marine usando un miele in cui sono state messe le uova di riccio di mare ed è servita con una salsa di
feijoae una chips croccante con lo stesso miele, facendo di una ricetta tradizionale qualcosa d’innovativo. (
Luciana Squadrilli)
PAOLO GRIFFA - Conclude la giornata il giovane
Paolo Griffa. Classe 1991, grazie anche alle tante esperienze pluristellate (
Davide Scabin,
Marco Sacco,
Marc Veyrat e altri) è già straordinariamente sicuro di sé sul palco: brillante, preciso, puntiglioso «come la pasticceria mi ha insegnato a essere». Dal dicembre 2017 guida il
Petit Royal dell’Hotel Royal di Courmayeur, dove propone un menu dal doppio volto. Da una parte la carta normale; dall’altra la degustazione alla cieca, in cui non si conoscono i piatti né il loro numero. Ci si limita a scegliere gli ingredienti - coniglio, trota, patata… - o i concetti, come arancione o sotto terra.
Griffa ne offre al pubblico un assaggio con porzioni mignon del menu incentrato sul pollo (al ristorante cappone, ma non è più stagione): tonno di pollo confit in insalata di campo, zampa con salsa di fegatini e cipolla, consommé, finanziera. Dal palco illustra gli altri piatti, sempre incentrati su di un singolo ingrediente e sul valorizzare un territorio, la Valle d’Aosta, all’inizio sconosciuto a lui piemontese ma che ora gli è diventato amico. Senza pregiudizi: le frattaglie sono il feticcio dello chef, che prepara un boudin di sangue, una sfogliatella di patate, una girella di barbabietola. Tecnicismo estremo, ma anche gioco mirabolante, come nel dessert della Pignatta: al tavolo si rompe un cavallino con un martello ed escono caramelle frizzanti, coriandoli di zucchero, minuscole ostie colorate. Ma il dolce vero e proprio arriva dopo, alle spalle del cliente, inaspettato. La prossima sorpresa di
Griffa deve ancora arrivare. (
Giorgia Cannarella).