Fornelli spenti e telecamere, anche se solo virtualmente, accese. È un inizio poco canonico quello della 15esima edizione del Congresso internazionale Identità Golose. Non ci sono padelle sfrigolanti, né profumi a stimolare l’acquolina nell’Auditorium del MiCo, luogo deputato per l’avvio ufficiale dei lavori dell’appuntamento dedicato alla cultura enogastronomica più importante d’Italia. Stavolta a parlare è il ricordo della memoria collettiva del cibo, quella formatasi attraverso la televisione, quella “scatola” che è stata collante linguistico del Dopoguerra con il maestro Manzi e il suo Non è mai troppo tardi e, anche, custode e narratrice delle tradizioni dell’enogastronomia italiana. Quella tra la televisione e l’enogastronomia, infatti, non è una storia recente. Ben prima dell’invasione degli chef e dell’occupazione dei palinsesti dei programmi di cucina, a fare educazione fu Mario Soldati. «Spesso mi chiedono cosa ne penso dei cuochi in tv. E il mio pensiero non va istantaneamente all’oggi, ma al passato a quel 1957 in cui con le dodici puntate di Viaggio lungo la valle del Po Mario Soldati raccontava per la prima volta il cibo sul piccolo schermo. E poi al 1999 quando sono iniziate le trasmissioni Gambero Rosso con Nadia Santini e Gualtiero Marchesi perché gli stellati in televisione c’erano già», ha esordito Paolo Marchi presentando la sezione Identità tv – 60 anni di alta qualità a tavola moderata da Federico Quaranta.

Tutto ebbe inizio lungo il Po, comincia a raccontare
Davide Rampello, curatore e direttore artistico, nello speech d’apertura. «Oggi si parla tanto di storytelling, ma già
Soldati nel suo documentario
Viaggio lungo la valle del Po praticava con maestria la narrazione e il racconto in quel periodo di grande operosità che è stato il Dopoguerra italiano. L’impronta dello stile italiano nella letteratura con Moravia, Flaiano, Levi e Arbasino, nell’arte con Burri, Fontana e Manzoni si è fatta sentire anche con la nascita della Rai e tutti i programmi della neonata televisione», sottolinea l’intellettuale, già presidente de La Triennale di Milano. E in quella Rai
Soldati parlava già di enogastronomia come racconto del territorio, appunto in uno storytelling antelitteram, «in cui l’elemento narrativo era il vero punto di valorizzazione del tema». Dopo
Soldati il racconto dell’enogastromomia è proseguito, negli anni '70, in studio con
Ave Ninchi e
Luigi Veronelli protagonisti di
A tavola alle 7. Oggi le trasmissioni che parlano del cibo non hanno più il tema narrativo, ma usano il concetto del gioco, della gara. «Anche se in maniera diversa questo ha focalizzato di nuovo l’attenzione sul cibo e – ha fatto osservare
Rampello - ha riportato la gente a riconsiderarlo e a tornare a cucinare. E gli chef sono tornati modelli per i giovani».

Dante Sollazzo e Antonino Cannavacciuolo, sul palco con Federico Quaranta
Masterchef, nulla è stato più come prima. A cambiare il paradigma della cucina in televisione è stato l’arrivo di
Masterchef. Il format, la cui prima puntata fu trasmessa il 2 luglio 1990 nel Regno Unito, è arrivato in Italia nel 2011 rivoluzionando il modo di fare cucina in televisione. Oggi è trasmesso in 200 Paesi. «Il segreto del successo di Masterchef è il concept, lo stile diventato icona», spiega
Dante Sollazzo, head of entertainment
Endemol Shine Italy, costola italiana della società che ha sviluppato il marchio e produce il talent, giunto nel nostro Paese alla sua ottava edizione. Il suo successo è dato anche dai giudici che, sin dal 1990, hanno sostituito il classico conduttore. Iconico, pur essendo entrato nella squadra solo alla quinta edizione, è
Antonino Cannavacciuolo. «All’inizio ero scettico nei riguardi della televisione, pensavo che fare tv avrebbe tolto qualcosa alla ristorazione. Invece il successo sta aiutando il mio sogno: sono riuscito a creare due bistrot, creare nuovi posti di lavoro e aiutare qualcuno a realizzare i propri sempre nell’ambito della gastronomia». Leggi sul suo intervento completo:
Antonino Cannavacciuolo e Masterchef: fare tv? Faticoso e molto appagante.

Antonella Clerici e Davide Oladani, con Federico Quaranta
Rompere gli schemi: la prova del cuoco. Da ragazza che si occupava di sport a signora della cucina in televisione. È la parabola di
Antonella Clerici che per diciotto lunghi anni ha condotto in televisione
La prova del cuoco portando la cucina e i cuochi nelle case di tutti a ora di pranzo. «Un programma in cui all’inizio non credeva nessuno». Invece è stato un successo. Il segreto? Fare una trasmissione per la gente. «Non ho mai fatto trasmissioni per l’establishment, i miei piatti erano accessibili a tutti». Accanto a lei
Davide Oldani, oggi impegnato in radio con
Mangia come parli con
Pierluigi Pardo, che s’è rivisto sullo schermo di Identità Tv alle prese con uno spaghetto al pomodoro.«Credo che la radio sia un modo per raccontare la cucina in maniera semplice», spiega
Oldani che in televisione è passato fugacemente tra il 2013 e il 2014 con The Chef, talent in onda su La5, e più recentemente a Rai 1 con
Alle origini della bontà.

Giuseppe Bosin e Federico Fazzuoli dialogano con Quaranta
Una linea sempre verde. Erede de
La Tv degli agricoltori,
A come Agricoltura e
Agricoltura domani,
Linea Verde oggi condotta da
Federico Quaranta è una creatura di
Federico Fazzuoli che ha condotto il programma Rai fino al 1994 quando lasciò la Rai per Telemontecarlo. «Il mio intento era fare percepire
Linea Verde come un programma per tutti e non solo per gli agricoltori cui si rivolgevano le trasmissioni di cui prendeva il posto. La prima cosa che feci fu togliere la parola agricoltura dal titolo. Poi chiamai
Caterine Spaak e
Gigliola Cinquetti che facevano gli ultimi 10’ per attirare il pubblico e misi anche le previsioni del tempo con molta fatica perché l’Aeronautica non era d’accordo», racconta proprio
Fazzuoli degli inizi di una trasmissione che ha ancora oltre il 20% di share. «Oggi il racconto dell’agricoltura è cambiato, ma l’impostazione dovrebbe essere la stessa perché le materie prime sono importanti e conoscerle potrebbe aiutare la gente ad ammalarsi di meno», spiega. Il programma è passato in mano a
Federico Quaranta. «E il rito domenicale dell’attesa continua passando da
Federico a
Federico», dice soddisfatto
Giuseppe Bosin, uno degli autori della nuova edizione.

Gioacchino Bonsignore sul palco di Identità Milano
I grandi inviati del TG. Altro passaggio enogastronomico in televisione è quello nei telegiornali.
Gioacchino Bonsignore è caporedattore di
Gusto, rubrica del Tg5. «L’inserimento di
Gusto fu un’intuizione di
Enrico Mentana e
Lamberto Sposini che decisero di dedicare 5’ di un Tg che ne durava 30’ all’enogastronomia portando delle tematiche che fino a quel momento erano appannaggio di altro», ricorda
Bonsignore. In quegli stessi cinque minuti, poi, fu inserita anche la realizzazione di una ricetta. «Anche quella fu una grande intuizione – continua - per la quale impiegammo del tempo per arrivare a condensarla in 1’10’’ al massimo. Solo qualche anno dopo arrivò la
Parodi con
Cotto e mangiato». Lo stesso accade poi con il vino con lo «sdoganamento di termini poi entrati nel lessico comune».

Clelia d'Onofrio con Ernst Knam
Il lato dolce in tv. Se raccontare la cucina in televisione è complicato, lo è molto di più raccontare la pasticceria perché i tempi si dilatano e poi perché «un dolce è chimica, fisica e matematica». A farlo, da qualche anno, sono
Clelia D’Onofrio, giornalista, scrittrice e il pasticciere
Ernst Knam, entrambi giudici di
Bake Off Italia. «Come facciamo a raccontarlo? Negli anni abbiamo insegnato la pazienza e l’utilizzo di un linguaggio educato», dice sorridendo
Clelia D’Onofrio che, tra l’altro, è stata anche la curatrice de
Il cucchiaio d’argento. «Bake Off è un programma per famiglie, amato dai bambini agli ultranovantenni», continuano i due che in trasmissione si dividono i compiti. «Al mio amico
Ernst spetta la tecnica, a me – dice
D’Onofrio - l’aspetto narrativo perché pur non essendo una storica della cucina, ho letto tanto». Importante, però, come sottolinea
Knam «è non parlare troppo tecnicamente e essere noi stessi che non siamo attori, ma pasticcieri e cuochi».

Corrado Assenza e Paolo Marchi
La rivoluzione di Netflix. Dodici giorni di riprese per nove ore al giorno dai quali sono stati tratti i 48 minuti dell’unico episodio di
The Chef’s Table Pastry candidato agli Emmy hanno cambiato la vita al
Caffè Sicilia, storico locale di Noto di
Corrado Assenza. Stavolta non parliamo di televisione, ma di piattaforma di distribuzione di contenuti on line. L’inserimento nel catalogo di
Netflix della puntata girata in Sicilia ha rivoluzionato la clientela del locale di
Corrado Assenza, pasticciere la cui scuola di pensiero è ispirata alla naturalità. A Noto, dopo
The Chef’s Table sono arrivati da ogni parte del mondo, dalla famiglia di Saigon trascinata dai figli alla coppia israeliano-libanese che vuol comprarvi casa; dal laureando tedesco cui
Assenza è stato d’ispirazione fino al piccolo
Oscar Walker che, fra poco, potrà assaggiare la torta di cui ha portato in dono al pasticciere il disegno. Lui ne ha approfittato per educarlo all’immaginazione del gusto.

Microfono a Isabella Potì, sotto lo sguardo di Marchi
Non solo Tv, il futuro è sempre più social. Dopo la televisione e le piattaforme internet non potevano mancare i social. A fare una strategia social vincente è
Isabella Potì, oggi head chef di
Bros a Lecce. «Sono nata con il telefonino in mano e per me è normale», risponde con semplicità
Potì che comunica con l’hashtag #bebros. «Noi raccontiamo la nostra quotidianità sui social, comunichiamo la nostra professione che è quello che chi ci segue vuole vedere perché è interessato all’identità di
Bros – spiega - La nostra comunità, che è fatta dai nostri clienti, vuole essere partecipe».