Il 10 e 11 novembre negli spazi di Bunker a Torino si è svolta Augusta, mostra mercato di vini naturali. Una manifestazione, giunta alla seconda edizione, che ha la felice ambizione di propagandare i valori dell’artigianalità e della sostenibilità della filiera agricola anche attraverso ciò che vino non è.
Augusta è fiera del vino. Così recita il pay off dell’evento con l’anfibologia del termine sostantivo/aggettivo. Dove il vino naturale rappresenta l’organismo cardine di un ecosistema di valori, e la fierezza per il rispetto dell’ambiente, dei processi agricoli e di trasformazione, ne forniscono degli esempi.
Con 3.150 visitatori, 20% in più rispetto all’anno scorso, tra appassionati e operatori del settore, ha dimostrato una crescente affezione alla kermesse torinese e a quello che rappresenta. Ha ospitato: 62 produttori di vino provenienti, in ordine decrescente, da Francia, Italia, Spagna, Austria, Germania, Svizzera, Slovenia; 2 birrifici artigianali, 2 distillatori e chinati, 1 acetaia francese, 3 torrefazioni, 7 produttori agricoli e artigiani, 3 food truck, 1 libreria; tutti che si muovono nel campo semantico del non convenzionale.
Ma chi c’è dietro Augusta?
L’ideatore è Piero Crocenzi, spalleggiato da Silvio Vitale. Crocenzi è amministratore delegato di Eventi 3, società che, tra gli altri, è anima organizzativa anche del Salone del Libro. Piero è appassionato di vino e con Augusta ha investito fin da subito nella portata culturale della fiera, con l’idea di far rivivere a Torino, il fermento enogastronomico che all’inizio degli anni Duemila spumeggiava in città. Da qui infatti Augusta OFF: l’alter ego itinerante e dell’evento, durante il quale, enoteche e ristoranti si rendono ebbri complici con dj set e degustazioni per consentire agli “Augustiani” di brindare fino a tarda notte.
La project manager è Lucia Telori. Con un’esperienza decennale nel vino, Lucia ricopre la veste operativa che prevede il processo di selezione e scouting dei produttori che orbitano in Augusta, includendo nella lista anche aziende estere ancora senza importatori in Italia. Perché l’anima commerciale della fiera sia comunque legittimata.

Team Augusta: da sinistra Piero Crocenzi, Giovanna Solimando, Silvio Vitale e Lucia Telori
Negli allestimenti e la comunicazione,
Gianluca Cannizzo si è occupato dell’art direction con la sua agenzia
Mypostersucks. Realtà così radicalmente influente in questo consesso, da condizionare da anni gran parte dell’estetica naif e spassosa del vino naturale. C’è sua la firma su molte etichette, poster e quadri che adornano tantissime enoteche e ristoranti in tutto il mondo.
Novità dell’edizione 24?
Gli specialty coffee che accolgono i visitatori all’ingresso con i torrefattori fiorentini di
D612,
Peacocks di Carate Brianza e gli autoctoni
Santaromero. L’aggiunta di un altro padiglione espositivo, inoltre, ha garantito una piacevole fruibilità dei banchetti di assaggio, disseminati su una superficie complessiva di 25.000 mq. E uno degli aspetti gradevoli della fiera è proprio lo spazio di Bunker, vivibile e disteso, sia nei padiglioni interni che all’esterno dove a suon di funky si poteva godere del sole e dei foodtruck di
Tipografia Alimentare (Milano),
Scrap (Savona) e
Bstradi (dall’Emilia).
E i banchi di assaggio?
Per il vino, la parola artigianalità copre un ventaglio ampio di significato - come è giusto che sia - e va da “tagliato con l’accetta” a “sartoriale”; e spesso le due interpretazioni convivono nelle referenze della stessa cantina. Il campo semantico in cui ci si muove ancora una volta è
non convenzionale. I vignaioli coinvolti, sono tutti molto piccoli, alcuni raggiungono un ettaro complessivo di proprietà (un campo di calcio per intenderci) e provengono da territori prevalentemente poco blasonati, meno sotto i riflettori. E c’è tanto da guadagnare per i palati curiosi. Curiose come le cuvée in assaggio. Dove spesso il monovarietale non è un obiettivo, anzi, viene quasi fuggito per esigenze agricole.
Tutti i vini sono figli delle annate, quindi sempre diversi nel tempo, e non di rado si possono degustare vitigni underdog, da molti considerati minori o quasi scomparsi.
Sui vini naturali c’è sempre tanto da dire, e allo stesso tempo se ne è parlato tanto, anche troppo, e ora pare si sia normalizzata la sua definizione anche nei contesti più mainstream. Vini di nicchia che comunque abitano la ristorazione e l’alta ristorazione ormai da un bel po’. Come nel caso di
Podere Magia, piccolissima realtà emiliana che vanta di essere stata inserita nella selezione proposta al
Noma di Copenaghen.
Di seguito una serie di assaggi strappalacrime e stuzzicanti (una non classifica tra la scoperta dell’acqua calda e alcune sconosciute novità).

La Freisa e il Grignolino di Tenuta Migliavacca e il pinot nero Cote de Nuit, Emphase di Antoine Lienhardt dalla Borgogna

Il gamay di Stephan Cyran in Lorena e la gentilezza del savagnin di Ratapoil, un ex prof. di storia ora vigneron in Jura

La dissetante e schietta Alsazia di Domaine Ginglinger e l’eleganza del Barbaresco di Roccalini

La generosità prorompente del gewurztraminer Bild di Bruno Schueller e Le acidità appetitose della grenache di La Ferme du Pasteur con Coquin de Sort