19-04-2023

Cà du Ferrà fa rivivere il Ruzzese delle Cinque Terre

A Bonassola, Davide Zoppi e Giuseppe Luciano Aieta s'impegnano a valorizzare uve abbandonate o dimenticate, con esiti già promettenti. La storia e i protagonisti

La vista dalle vigne di Cà du Ferrà a Bonassol

La vista dalle vigne di Cà du Ferrà a Bonassola (La Spezia)

La storia di Cà du Ferrà nasce dalla passione, quella tra Antonio Zoppi e Aida Forgione che, lasciate le rispettive professioni, nel 2000 vedono concretizzarsi il loro sogno: produrre vino. Custodi della bellezza del magico territorio di Bonassola, nel corso degli anni sono stati capaci di valorizzare quella splendida porzione di Liguria di Levante partendo dal rispetto per la terra e promuovendone i suoi frutti.

Distribuita in un territorio terrazzato di 4 ettari, Cà du Ferrà si estende dal livello del mare fino ai 400 metri di altitudine, in un’area dovin cui coltivare la vite non è semplice perché la conformazione del territorio non aiuta - per questa ragione la viticoltura delle Cinque Terre è definita "eroica". Insieme ad Antonio e Aida, negli ultimi anni, all’azienda si è aggiunto anche il figlio Davide: dopo la laurea in Giurisprudenza ha visto con occhi diversi l’attività di famiglia. Così come successe a Proust con la madeleine, Davide si versa un bicchiere di vino e tutto cambia, in quel momento il vino prodotto dalla sua famiglia diventa il suo vino; Davide diventa Cà du Ferrà.

…Un piacere delizioso mi aveva invaso, senza nozione della sua causa. Di colpo, m’aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, illusoria la sua brevità, allo stesso modo in cui agisce l’amore, colmandomi di un’essenza preziosa: o meglio, questa essenza non era in me, era me stesso… (Marcel ProustDalla parte di Swann)

Insieme a Davide entra in azienda anche il marito Giuseppe Luciano Aieta​, e grazie alla loro spinta creativa, Cà du Ferrà inizia una metamorfosi che la porta a diventare, da semplice azienda vinicola ligure, ad alfiere e portavoce del recupero dei vitigni presenti fin dall’antichità nelle Cinque Terre, ma oggi troppo poco valorizzati, come il Rossese Bianco, il Picabon e l’Albarola Kihlgren, o addirittura dimenticati, come il Ruzzese.

Davide Zoppi e Giuseppe Luciano Aieta

Davide Zoppi e Giuseppe Luciano Aieta

Il Ruzzese non ha nessun parente dal punto di vista clonale e ha personalità da vendere. È un vitigno unico, che non assomiglia a nessuno. Possiede un grappolo spargolo, acini piccoli e dalla buccia corposa, a scapito della polpa, ma ciò lo rende interessante dal punto di vista fermentativo, per ottenere ottimi passiti. È un vitigno a bacca bianca che non soffre la siccità e mantiene un’acidità straordinaria. Una volta vinificato è morbido, molto zuccherino, e, nonostante i suoi 14 gradi, ha una beva facile e imperdibile.

La visione del progetto di Cà du Ferrà è riportare sulle tavole il precursore dello Sciacchetrà, il mitico vino delle Cinque Terre, ossia il Ruzzese passito, mentre la sua missione è quella di recuperare un vitigno antico per attualizzarlo e renderlo squisitamente unico, ma non moderno perché la modernità cambia, l’unicità, invece, rimane assoluta.

A partire dal VI secolo d.C, il vino Ruzzese parte dal Levante ligure per raggiunge Roma, destinato a lasciare il segno sulle tavole più esigenti, una su tutte: la mensa papale. Si racconta che il vino Ruzzese fosse molto apprezzato da Papa Paolo III Farnese, in carica dal 1534 al 1549, e che il suo bottigliere Sante Lancerio lo avesse proposto al Santo Padre in qualità di uno dei migliori vini che l’Italia enoica potesse offrire.

Purtroppo verso i primi del Novecento tra i vitigni sterminati dalla fillossera c’è anche il Ruzzese. Per quasi un secolo è stato dato per spacciato fintanto che nel 2007 la Regione Liguria attraverso l’assessorato all’Agricoltura, guidato da Giancarlo Cassini, decise di coinvolgere il CNR di Torino e l’Istituto Nazionale di Protezione Sostenibile della Vite. Grazie a questo progetto il professor Mannini e la professoressa Schneider perlustrarono tutto il territorio ligure dove, nel comune di Arcola, trovarono una misteriosa pianta da cui estrassero la sequenza genetica; finalmente erano di fronte al Ruzzese.

Innamorati di questa storia, Davide e Giuseppe danno il via all’opera di recupero di questo straordinario vitigno partendo dal progetto “Il recupero della biodiversità attraverso il reimpianto del vitigno Ruzzese”, sostenuto da Coldiretti La Spezia, Regione Liguria e CNR di Torino, e nel 2015 decidono di piantare le prime 77 barbatelle di Ruzzese. Nel giro di 5 anni diventeranno 1.500 fino a ricoprire cinque terrazze a sbalzo sul mare nella zona dei piani di Cà du Ferrà a Bonassola, dove nascono i vini più pregiati dell’azienda.

Esposte a sud e baciate tutto il giorno dal sole, le piante di Ruzzese crescono rigogliose e nel 2020 avviene la prima vendemmia, un momento quasi intimo per l’intera famiglia di Cà du Ferrà laddove il mestiere della vinificazione è arte, che però non descrive la realtà, ma la traduce in essere. Una vendemmia tardiva, cui segue la stesura dei grappoli in cassette della frutta dove l’appassimento durerà circa 2 mesi e mezzo, da fine settembre a fine novembre, e successivamente la sgranatura manuale. La vinificazione si svolge nei primi giorni di dicembre, quando il vino sprigionerà il suo bagaglio di sapori e profumi. Non più di poche centinaia di bottiglie, per una produzione piccolissima, presentata durante la 55ma edizione di Vinitaly.

Diciassettemaggio è il nome scelto per il passito bianco Ruzzese di Cà du Ferrà. Si tratta di una dedica di Davide al marito Giuseppe, nato il 17 di maggio. Un gesto d’amore, una tenera espressione di gratitudine, un gesto complice tra due persone che condividono la medesima passione per il vino e lo stesso progetto di vita privata e professionale. Davide: «Cosa c’è di più personale del compleanno? Questo vino è un omaggio a Giuseppe ma anche alla storia del Ruzzese. Le date, i numeri hanno forgiato i secoli, ed è proprio ripescando nei secoli passati che abbiamo recuperato e riportato alla luce questo vitigno ligure unico».

…mi portai alle labbra un cucchiaino di tè dove avevo lasciato ammorbidire un pezzetto di madeleine. Nello stesso istante in cui quel sorso frammisto alle briciole del dolce toccò il mio palato, trasalii, attento a qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me... (Marcel ProustDalla parte di Swann)


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

Giorgio Minestrini

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Giorgio Minestrini

Gli odori sono emozioni enogastronomiche: annuso tutto, orgogliosamente, dal 1983. Quando non sono seduto a tavola faccio il papà e l'ingegnere

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