21-07-2022
Siamo stati a Pantelleria, la perla nera incastonata tra la Sicilia e la Tunisia, nella fascia del sole più ruvida e selvaggia. Le aspettative la vogliono piena di marinai e invece trabocca di contadini, è una terra vulcanica che ha cambiato faccia almeno tre volte, come un’eterna fenice, in una perenne alleanza fatta di uomini e pietre.
Bastano pochi attimi per restare incantati dalla bellezza di un luogo così straordinario. Ogni sfumatura qui, al centro del Mare Nostrum, si illumina dei colori più autentici, dal blu intenso del mare che lambisce le coste, al nero delle rocce di ossidiana che prendono forma in giardini arabi, terrazzamenti e dammusi immersi nel verde delle coltivazioni. Il Parco di Pantelleria, il primo parco nazionale in Sicilia, offre percorsi di trekking unici per immergersi in questo mondo naturalistico, archeologico e storico, dove fatica e abnegazione hanno tramutato la complessa morfologia dell’isola in uno dei paesaggi agricoli più armoniosi del Mediterraneo. Per viverci e coltivare la vite, il cappero (una visita al Museo del Cappero, il fiore simbolo di Pantelleria, è d’obbligo per comprendere quanta dignitosa devozione alla difficoltà del lavorare la terra occorra per produrlo), l'ulivo e gli agrumi, generazioni di contadini hanno modellato l'orografia del territorio e plasmato le sue forme di allevamento, contrastando la lontananza dal continente e i principali fattori climatici: il vento e la scarsità di piogge.
E qui, dove anche l’umanità è patrimonio, l’intensità organolettica dei prodotti della terra non ha eguali. Figli di una natura così forte, sprigionano un ventaglio armonico di sapori che richiamano le culture dei diversi popoli che l’hanno conquistata: sesi, fenici, saraceni, arabi (i primi ad introdurre la vite) e bizantini. Le contrade in cui ancora oggi è frammentata, portano infatti nomi musulmani: Bukkuram, Mueggen, Khamma, Rekhale, Gadir, Kattibuale. Le percorriamo sulle tracce di uno dei più amati vini da dessert italiani, prodotto nel 2021 in 1.423 ettolitri da poche decine di aziende, tra queste Murana Vini, Marco De Bartoli, Abraxas Di Prosit, Donnafugata e Cantine Pellegrino, ognuna dislocata in zone differenti con caratteristiche territoriali analoghe ma peculiari, di cui proviamo a delineare l’essenza.
Salvatore Murana è un po’ il genius loci, una leggenda del panorama vitivinicolo isolano. Lo incontriamo a Mueggen, nel suo dammuso del diciottesimo secolo - la tipica abitazione con il bianco tetto a cupola per preservare l’acqua piovana, un bene prezioso qui - durante la cena di benvenuto, una successione di piatti della gastronomia locale preparati esclusivamente con i prodotti dell’orto adiacente, a km 0, afferma orgogliosamente Salvatore. Abbiamo assaggiato il suo sbalorditivo Creato 1983 e un piacevolissimo Spumante Metodo classico di Zibibbo che supera i 55 mesi di affinamento, il Matuè Pas Dosè 2015, una delle prove sperimentali di microvinificazioni condotte sul posto dal Vivaio Governativo Federico Paulsen. Scopriamo così un’idea inconsueta di antispreco: l’utilizzo di racemi, ossia il secondo frutto della vite, grappolini che maturano a fine settembre circa un mese dopo la produzione principale e che solitamente rimangono sulla pianta (la vendemmia avviene infatti già nel mese di agosto affinché i grappoli raccolti possano essiccare sui tradizionali stinnituri). Uno spumante sicuramente diverso dalle bollicine più blasonate, con il marcato carattere dello Zibibbo che si esprime in profumi di zagara, agrumi e note iodate.
Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo
di
Veneta di Bassano del Grappa, dopo un Master in Food & Wine Communication entra nell’estate 2016 nello staff di Identità Golose. Diplomata Ais (Associazione Italiana Sommelier), ora vive in Sicilia, per amore, e scrive dell’unicità dei sapori e delle persone di questa terra
Se siete appassionati di vino e volete restare sempre aggiornati sulle novità e le chicche del mercato, iscrivetevi alla nostra newsletter cliccando qui