In viaggio tra le montagne e il tempo: la destinazione è la voglia di futuro, dipinta sui volti di Matteo e Marco Garrone. Tutto a partire da un primo viaggio, quello compiuto 101 anni fa da Luigi Garrone, quando decide di lasciare la famiglia in Monferrato e proseguire nel percorso del vino da solo, in terra ossolana. Un incontro che si perpetua oggi nell’armonia tra le vigne antiche, anche centenarie, e quelle più recenti. O tra i vini che sono biglietto da visita delle Cantine Garrone e quelli scaturiti magari da un confronto con la Svizzera.
Matteo e Marco, quarta generazione, in una presentazione al ristorante ll Liberty di Milano, ci ricordano subito che la storia, quella più grande della viticoltura in Val d’Ossola, è iniziata molto prima: ci sono tracce che risalgono al 1309. Ecco il tempo in viaggio, a Oira di Crevoladossola: qui si sono mossi in silenzio un grande ghiacciaio, via via ritiratosi, e i fiumi, con il loro scavare assiduo. Vegliano poi altri amici muti e fedeli: i laghi, che con la loro influenza mitigano il clima.
Ma la strada è in salita come le montagne, e deve accadere l'inatteso, deve balenare un’intuizione perché qualcosa possa cambiare in questo territorio lesto a spopolarsi e si vada oltre al mero consumo familiare. Roberto e Mario acquistano uve dai piccoli viticoltori e si arriva alla massa necessaria per la svolta. Bisogna vincere la resistenza di chi è legato alla terra e a ciò che produce senza guardare oltre quelle montagne: quando lo fa il decano Pierino De Gregori, gli altri lo seguono a ruota. Difatti, proprio questo è il segreto oggi. Cantine Garrone ha una trentina di ettari, ma lavora con cinquanta viticoltori che aggiungono 11 preziosi ettari in più. «Loro magari ci possono portare meno uva, a seconda delle annate – raccontano i fratelli – Però, sempre di alta qualità». Ci tengono, alla loro montagna, a ciò che offre. Qui entra in gioco appunto il terreno: i vigneti si trovano su terrazzamenti artificiali, scavati nella roccia e segnati da muretti a secco, come su pendii meno severi: ogni lavoro, tuttavia, va svolto manualmente. Non si vuole definire eroica, quest’operazione, perché la montagna ha abituato ai sacrifici. Nella varietà dei terreni, ci sono peculiarità in comune: pH tra acido e sub-acido, il materiale roccioso presente in modo significativo, si può individuare la sabbia ma meno argilla.

A ogni pianta il suo metodo: quelle ultracentenarie sono allevate a “
toppia” o pergola, in modo da assecondare l’inclinazione del terreno e non solo. Perché qui sotto gli agricoltori piantavano anche altri prodotti, quali segale o patate, per poter mettere a frutto ogni centimetro. Un buon sistema per proteggere dalle gelate insidiose della primavera, ma certo oneroso. Quindi negli ultimi anni via via si sono privilegiati impianti a Guyot.
Dicevamo di vini ambasciatori: il primo, non può che essere il Nebbiolo, qui Prünent, clone antico del vitigno piemontese. Lo affiancano Croatina e Merlot (quest’ultimo dovuto alla vicinanza della Svizzera) per i rossi e Chardonnay per i bianchi.
La ricerca affascina questa generazione, che la porta avanti anche con l’università di Torino, coinvolta nel progetto di recupero del materiale genetico del Prünent.
Allora lasciamo parlare proprio loro, i vini: quello d’entrata durante questo pranzo è un
Munaloss 2020, 70% Nebbiolo, 30% Croatina, che sa essere brillante, ma trasmette anche una certa saldezza, in omaggio al terreno roccioso delle montagne e alla tradizione. Ne vengono prodotte 25mila bottiglie. L’uva è pigiata e lasciata fermentare sulle vinacce per almeno 7 giorni in vasche in acciaio inox a una temperatura massima di 25°C, per poi riposare un anno nelle stesse vasche.

Prünent Valli Ossolane Doc Nebbiolo Superiore, annata 2019
Quindi reclama attenzione il
Prünent Valli Ossolane Doc Nebbiolo Superiore, annata 2019, 100% Nebbiolo, dieci mesi in acciaio e un anno in botte grande per la malolattica, 8mila bottiglie. Qui il rosso si fa granato, le note balsamiche dialogano con genziana e liquirizia.
Non può che essere 100% Nebbiolo anche Prünent Diecibrente, un Valli Ossolane Doc Nebbiolo Superiore 2020: 660 bottiglie che sanno sprigionare piacevolissime sorprese, con note agrumate e speziate, al palato una rotondità che gioca con la freschezza.
La Magnum Valli Ossolane Doc Rosso Cà d’Maté 2017 ci racconta altro ancora: 80% Nebbiolo, il restante Croatina, non dimentica l’anima balsamica delle valli, ma invita anche a esplorare i boschi carichi di frutti rossi. Quello che colpisce è la sferzata di energia, di quelle che promettono di non perdersi, bensì di accentuarsi negli anni.

Degustazione coi fratelli Garrone
Finiamo con
Tarlàp Valli Ossolane Rosso Doc 2020, 100% Merlot. Una profondità tannica prolungata, che si ostenta dal rosso rubino all’ultimo sorso. Risuona l’ultima parola: un goccio, ancora. Un
tarlàp, in ossolano - ricorda
Matteo, perché questo è il significato - per ricavare lo spazio di un sorriso anche qui in montagna, dove bisogna fare assolutamente sul serio.