L’Italia del vino è alla ricerca della propria identità, andando in profondità, alle radici del proprio territorio e a scoprire soprattutto il suo enorme patrimonio di vitigni: è questo uno dei temi usciti dal Vinitaly 2017, appena concluso.
Come abbiamo già avuto modo di scrivere (leggi: Degustare l'Italia dei piccoli vitigni), raccontando una bella degustazione organizzata dall’associazione Le Donne del Vino, il patrimonio nazionale conta 560 varietà di vitigni differenti. Una biodiversità incredibile, unica al mondo, che i nostri produttori stanno imparando a valorizzare, comprendendo che le mode passano (e ci vengono in mente, per esempio, i vini superconcentrati o l’utilizzo sproporzionato di barriques nuove, dimenticando l’essenza pura dell’uva), mentre l’identità di un territorio resta. Ed è l’unica arma vincente, non per resistere, ma per conquistare sempre maggiori consumatori. Non parliamo solo di vitigni rari, ma anche di Sangiovese e Nebbiolo, giusto per fare due nobili esempi, che abbiamo solo noi.

Alessandro Campatelli di Riecine, azienda che dedica le proprie energie al Sangiovese
Premessa fondamentale, questa, per presentare tre aziende che stanno lavorando proprio in questa direzione e che ci sono particolarmente piaciute in questo Vinitaly. La prima è
Riecine, di Gaiole in Chianti, che ha dedicato la propria produzione interamente al Sangiovese, per realizzare vini che abbiano un forte legame con il territorio. La conferma arriva dal general manager ed enologo
Alessandro Campatelli: «Abbiamo 22 ettari, tutti a
Sangiovese, che decliniamo, o meglio, interpretiamo nelle varie produzioni. Tutti i vini sono a fermentazione spontanea, cioè senza aggiunta di lieviti selezionati. Siamo molto legati alla tradizione e cerchiamo di valorizzare il patrimonio che abbiamo».
Ne è una dimostrazione il Chianti Classico 2015, vino autentico, ricco e molto beverino allo stesso tempo, con una produzione di circa 40mila bottiglie. La selezione di vigneti "La Gioia" porta il Sangiovese a un livello più alto e la punta di diamante è il Riecine di Riecine 2012, un Igt che ha la stoffa del campione.

Luca Baccarelli e Luca Rosati con la bottiglia di Fiorfiore di Roccafiore
La volontà di produrre vini che "trasudino" storia, tradizione e territorio, può portare anche alla scelta di uscire dalle strette maglie delle Doc, per arrivare a vini maggiormente identitari. E' questo sicuramente il caso di
Roccafiore, azienda agricola di Todi, in provincia di Perugia, che oltretutto punta molto sul
Grechetto di Todi, vitigno utilizzato da pochissime realtà produttive. Il titolare
Luca Baccarelli: «Vogliamo fare vini che siano legati al territorio, con i nostri vitigni. La nostra azienda nasce fin da subito come bio: una scelta precisa, per mantenere vivo il nostro legame con la terra».
L'azienda possiede 94 ettari, 15 dei quali vitati, ed è stata premiata per la sostenibilità ambientale. I risultati? Il Bianco Fiordaliso (85% Grechetto di Todi e 15% Trebbiano Spoletino) conquista per freschezza e immediatezza, e il Fiorfiore 2015 (100% Grechetto di Todi) è un vino dal futuro garantito. Per i rossi, il Roccafiore 2014, 100% Sangiovese affinato in botte grande per 24 mesi, stupisce: in un'annata difficile, permane una grande bevibilità e una buona complessità al naso.

Il travolgente sorriso di Elisa Semino, azienda La Colombera di Tortona
Un piccolo gioco, per concludere. Chi conosce il
Nibiò? O almeno sa da che zona proviene? Ammettiamolo, è una domanda difficile, visto che ci sono solo due aziende che producono questo interessante vitigno autoctono piemontese. Una di queste è
La Colombera di
Elisa Semino, una realtà che si sta facendo conoscere soprattutto per il
Derthona Timorasso (restiamo nel campo degli autoctoni e dei vini di territorio), ma che propone anche questa curiosità enologica che sta dando ottimi risultati.
Qui ci sono 25 ettari coltivati a vite e 50 dedicati soprattutto alla produzione di ceci. Con il Nibiò viene realizzato il Suciaja (che significa "siccità") e il 2013 risulta essere una grande annata. Attenzione al Timorasso: abbiamo avuto l'occasione di degustare Il Montino, la selezione più importante dell'azienda, in una mini verticale di 2014, 2013, 2011 e 2006. Grande freschezza per il primo, struttura e spalla acida per il 2013, note più arrotondate per il 2011 ma ancora molto "vivo" e il 2006, dopo oltre 10 anni dalla vendemmia, è eccezionale per complessità e profondità.