«Israele è attorno Tel Aviv. Se Israele sarà migliore, Tel Aviv sarà grande» ci racconta Oren Schnabel tra un sorriso e una battuta. Nella terza città del Paese, dopo Gerusalemme e Haifa, c’è una dannata voglia di superare problemi storici e fanatismi religiosi, dissidi etnici e conflitti politici, per godere la quotidianità che, da queste parti, è piacevolissima: clima mite, lunghe spiagge sul Mediterraneo più bello, gente accogliente, prezzi ragionevoli. Le tensioni appaiono lontane, si gode una sorta di dolce vita capace di attrarre tanti nostri giovani connazionali, che di tornare in Italia manco ci pensano, «qui stiamo benissimo».
Sono le parole di
Federico Cesura, che studia nanotecnologie e ci fa compagnia sorseggiando un cocktail al
coffeeBAR. O di
Fabiana Magri, genovese, ora project manager e press office di
Colorfood, progetto che mette insieme uno chef, un fotografo e uno stylist, il tutto ideato da
Dan Lev: sarà anche a
Expo 2015 (Padiglione Israele, dal 14 al 31 maggio) con crossover tra arte e food che coinvolgono grandi cuochi italiani, da
Giancarlo Morelli a
Cristina Bowerman, da
Iside De Cesare ad
Heinz Beck, da
Enrico Bartolini a
Victoire Gouloubi, da
Davide Oldani a
Francesco Apreda o
Aurora Mazzucchelli, fino a
Carlo Cracco, a Tel Aviv proprio dopodomani, mercoledì 25, per uno shooting aperto alla stampa e agli ospiti di una serata di gala organizzata dall’ambasciatore
Francesco Talò.

L'immagine fotografata da Dan Lev per Colorfood e realizzata dallo chef Heinz Beck. Lo stylist è Dalit Russo
Tel Aviv come avamposto del
bien vivre piuttosto che come retroguardia di un’infinita controversia.
Schnabel ci parlava nel corso di un aperitivo al
Montefiore, graziosissimo boutique hotel il cui ristorante interno, trendy e fusion (“
brasserie cuisine under Vietnamese spell”) scala posizioni su
Mapa, la principale guida locale, purtroppo solo in ebraico – per la versione online, ci si può barcamenare affidandosi agli automatismi pur imperfetti di Google Translator. E’ questo il tono di fondo della nuova cucina israeliana: sempre più lontana dalla tradizione kosher, sempre più ricca di influenze diverse, provenienti da ogni parte. Non è tanto voglia di evadere, quanto la rappresentazione fedele della fertile multiculturalità del Paese. Che prende l’eccellente produzione agroalimentare del territorio e la porta a fare un giro del mondo, contaminandola con spezie, profumi, aromi e suggestioni originali.
Penso ad
Aria, “
contemporary chef bistro”
à la page nel palazzo storico che appartenne alla famiglia di un rabbino ultraortodosso,
Yoel Moshe Salomon. Lo chef è tra i più promettenti della nuova generazione,
Guy Gamzu, incarnazione della Tel Aviv di oggi: la famiglia di sua madre stava in Marocco, poi si spostò in Francia, in Egitto e infine in Israele, dove ha portato le proprie ricette che attingono da tutte le culture gastronomiche via via conosciute; il padre invece è nato in Iran, e ha apportato ulteriori influssi.
Gamzu ha ereditato tutte queste diverse influenze.

Il giovane chef Guy Gamzu di Aria: la sua cucina rappresenta al meglio la multiculturalità che pervade Tel Aviv
Non è l’unica storia possibile. C’è
Avivit Priel con le deliziose tapas mediterranee («Dalla Spagna a Gaza», dice) del suo
Ouzeria, condotto col marito
Limor Lami.
Ezra Kedem dell’
Arcadia fa più o meno la stessa cosa, ma come
haute cuisine (e ha appreso anche le basi di quella italiana, a Manhattan, con il siciliano
Tom Valenti. Mentre il collega
Lior Heftzadi vanta uno stage
Da Vittorio a Brusaporto, dai fratelli
Cerea: ma per assaggiare i suoi piatti bisogna andare a Gerusalemme, al
Lara). C’è
Haim Cohen, celebre anche in tv - è giudice del Masterchef israeliano - e con un ristorante a Philadelphia, negli Usa, oltre al suo
Jaffa-Tel Aviv.
C’è
Aviv Moshe, che delizia gli ospiti famosi del suo
Messa (tra gli altri:
Tony Blair, Pink, Roberto Cavalli, Pep Guardiola…) con una tecnica che coniuga l’influenza provenzale con quella della sua famiglia, ebrea del Kurdistan. E
Meir Adoni, del
Catit: nel suo passato anche
Arzak in Spagna,
Redzepi al
Noma e
Achatz all’
Alinea di Chicago. Va inoltre tenuto d'occhio
Jonathan Roshfeld, basi transalpine, "promising chef" per
Food&Wine 2010, che lavora all'
Herbert Samuel. Noi abbiamo trovato di ottimo livello i piatti del già citato
coffeeBAR, del gruppo R2M, che oggi impiega 700 persone in otto tra ristoranti e negozi gourmand: deliziosa la loro
Oca confit, spinaci, puré di patate e fichi marinati.
Ci è piaciuto molto
Cassis, il locale davanti alle onde che bagnano il porto di Jaffa, antica e fascinosa città sulla collina a dominare il profilo invece moderno di Tel Aviv: la chef
Ayelet Perry, tornata in Israele dopo 17 anni a San Francisco (ha lavorato anche a Palo Alto, allo
Spago di
Wolfgang Puck), propone una fusion mediterranea, da non perdere i suoi brunch a base di
flatbread, via di mezzo tra focaccia e piadina, poi sormontato di ogni ben di Dio: insalata israeliana (feta, uova, cipolla rossa, ravanello, origano, cetriolo…), salmone marinato e barbabietole con zest di limone, e così via, prima di un
malabi, budino di latte d’ascendenza turca. Oppure c’è l’offerta contemporanea del
Dining Hall di
Omer Miller, nel Performing Arts Center: unica la sua reinterpretazione del
sabich, sandwich con melanzana e uovo sodo, che si destruttura arricchendosi di cipolla viola, pomodori e
zhoug, una sorta di pesto yemenita piccante e speziato con cumino e cardamomo.

Ayelet Perry è la chef di Cassis: dopo esperienze in California, ha aperto un locale direttamente davanti alle onde di Jaffa
Ci ha entusiasmato la cucina di
Dan Yosha dell’
Abushdid: 26 anni, esperienze in Svizzera e Mauritius, propone “
food for the people” in un ambiente fascinoso, sospeso tra vestigia antiche e oggetti di
contemporary design: ottimo il suo
hummus cotto nello yogurt, favolosi i gamberi con
okra in salsa di pomodoro.
Gran parte di questi indirizzi prende parte a
Open Restaurants, un’iniziativa che Tel Aviv vuole esportare nel mondo. Giunta alla sua terza edizione, è festival del gusto – che si è tenuto quest’anno dall’11 al 14 marzo – durante il quale i migliori locali della città aprono le loro cucine. Così i buongustai, con un semplice ticket, possono godersi una cena da mille e una notte, osservando coi loro occhi gli chef mentre spadellano ai fornelli. «Un’iniziativa unica al mondo – ci spiega
Merav Oren, ceo di
Agora, la società che ha ideato e organizza l’evento – Ora in tanti vogliono copiarci, sia a Gerusalemme che all’estero». E’ un punto di osservazione privilegiato per osservare da vicino i progressi della nuova cucina israeliana, sempre più interessante. Che deve compiere solo un ulteriore passo: meno salse, maggiore pulizia del piatto. La complessità si raggiunge togliendo, non aggiungendo mille elementi.
(1, continua)