29-10-2021
Lo chef Mattia Baroni. Tutte le foto sono tratte dal nuovo libro Fermentazioni, del quale Baroni è autore con Lorenza Conterno e Manuela Vanni (editore Italian Gourmet, 352 pagine, 75 euro)
Questo è stato un articolo complicato da scrivere, perché si pone l'obiettivo di sintetizzare e rendere potabili, persino "semplici", tante cose assieme, legate però da un pensiero forte, complesso, direi anzi straordinario, e da un personaggio a sua volta davvero interessante, Mattia Baroni, classe 1987, chef nato a Riva del Garda, Trento, ma cresciuto a Tremosine, provincia di Brescia: un paese a picco sul lago, immerso nella natura che diventa stimolo continuo - anche gastronomico - ed elemento di formazione, ne sanno qualcosa Alfio Ghezzi (leggi qui) e Riccardo Camanini (leggi qui). Una specie di eden bucolico, insomma.
In poche parole: Baroni fa ricerca gastronomica - e non solo - di altissimo livello, partendo dal suo rifugio-ristorante-laboratorio al Bad Schörgau, hotel con 21 stanze diventato grazie a patron Gregor Wenter un vero avamposto della ricerca italiana sul cibo pur nella periferica Val Sarentino, in Sud Tirolo, dove Baroni sforna idee e piatti.
E allora partiamo con ordine, da questi ultimi.
Baroni, a destra, con alcuni membri della sua brigata
Coscia di pollo impanata
Koji
Il libro Fermentazioni
Gita fuoriporta o viaggio dall'altra parte del mondo? La meta è comunque golosa, per Carlo Passera
di
classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera
Scatti dal test kitchen del Noma. Quasi ogni singolo piatto del ristorante di Copenhagen (2 stelle Michelin e numero 2 della World's 50Best) contiene uno o più elementi fermentati
André Chiang, considerato il cuoco numero 5 in Asia, lavora su succhi e fermentazioni per creare nuovi abbinamenti con il cibo
La lavorazione tradizionale del miso alla Maruya Haccho Miso: l'azienda esiste dal 1337, non aggiunge additivi. Soia e sale - ha spiegato a Milano il patron, Asai Nobutaro - vengono posti in queste botti di legno del diametro di 2 metri, alla sommità delle quali sono sistemate 400-500 pietre, per un totale di 3 tonnellate di peso. Poi si lascia fermentare per due anni. Questo tradizionale modo di preparazione è portato avanti da circa 50 artigiani