16-11-2019
Scatti dal test kitchen del Noma. Quasi ogni singolo piatto del ristorante di Copenhagen (2 stelle Michelin e numero 2 della World's 50Best) contiene uno o più elementi fermentati
Quando si parla di fermentazioni, le reazioni dei cuochi divergono radicalmente. Per una fetta crescente di professionisti sono il futuro della cucina; l’altra fetta le ignora perché le considera avulse dalla propria identità e cultura. Quelli della prima fazione sono inclini a fermentarsi anche i fazzoletti per il naso; quelli della seconda le tengono fuori dalla porta perché, motivano ad esempio tanti chef italiani, «i nostri prodotti freschi sono così buoni e disponibili sempre che non c’è necessità di fermentarli». Sono i due partiti di un dibattito acceso, in corso da qualche tempo e di sicuro destinato a rinfocolare i prossimi anni. Il punto di vista più saggio è quello per cui, in linea generale, un cuoco che crede nell’innovazione non dovrebbe mai precludersi nessuna via. Il pregiudizio mascherato dalla conservazione di un'identità non vince mai: prima di dire no, è sempre meglio provare. Certo, non è esercizio obbligatorio e ognuno è libero di realizzare le trasformazioni che vuole, però occorrerebbe considerare alcuni fattori che ci risultano più chiari dopo un approfondimento tenuto al Noma qualche giorno fa.
“Noma. La guida alla fermentazione”, Giunti editore (460 pagine, 49 euro, si acquista online)
Il canadese David Zilber e il danese di origini albanesi/macedoni Rene Redzepi, autori della Guida. (foto Christopher Ho/KCRW)
Alcune basi di cucina del Noma
Koji, cioè riso o farro inoculato con fungo Aspergillus oryzae
Koji in stato avanzato di fermentazione
I sandwich di muffa del Noma
Il garum di cigno del Noma. Si parla di garum - prodotto delle cosiddette fermentazioni secondarie, cioé mescolanza di koji con proteine animali - già in "De re coquinaria" di Apicio, un testo di 2mila anni fa
Garum di scoiattolo
Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo
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classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. instagram @gabrielezanatt
Mette Søberg, danese di Copenhagen, 32 anni, al Noma dal 2013. Tre anni dopo assume la conduzione del test kitchen, il laboratorio creativo del ristorante che si fregia di 3 stelle Michelin e di 5 titoli di miglior ristorante al mondo
La bistecca di scoby, la madre del kombucha, uno dei passaggi del menu vegetariano-estivo del Noma di Copenhagen, Danimarca. L'insegna, aperta nel 2003 nella vecchia sede di Strandgade 93, ha 3 stelle Michelin ed è stata prima al mondo nel 2010, 2011, 2012, 2014 e 2021
René Redzepi, al centro, con una parte dello staff del Noma
Insegne, cuochi e ghiotti orientamenti: a narrarceli è Gabriele Zanatta, laureato in Filosofia, nonché coordinatore della Guida ai Ristoranti di Identità Golose. Il suo punto di vista va ben oltre la superficie, per esplorare profondità e ampiezza della tavola, di tutto quello che è Zanattamente Buono.