La costruzione di un grande ristorante è questione complessa, che coinvolge in primis - ovvio - la cucina, ma sicuramente non certo solo la cucina: è un insieme di fattori, ossia di struttura, di ambiente, di stile, di fascino, di servizio, di eleganza, che va ben oltre la sola degustazione dei piatti. Costruire un grande ristorante dipende persino da un fattore sul quale il patron, o lo chef, può fare generalmente poco: a Rocca Cannuccia - che esiste davvero, si scrive Roccacannuccia tutto attaccato ed è frazione di Nardò, provincia di Lecce. Però il nostro riferimento è a un ipotetico luogo periferico senza bussola né tempo, mi scusino i roccacannucciesi - si può anche provare a lanciare un indirizzo di fine dining, ma verosimilmente è sempre operazione difficile, fuori dai canoni. Il tema è invece: edificare qualcosa di duraturo, e sostenibile. Per questo l'azione di Nino Rossi è millemila volte meritoria, praticamente un modello.
Rossi ha costruito un grande indirizzo di alta cucina nemmeno sul Monviso, o sul Terminillo, cosa che già sarebbe invero notevole: proprio sull'Aspromonte, il babau italiano, lo spauracchio di molte delle tante contraddizioni che incestano la nostra storia, insomma una sorta di non-luogo selvatico agli occhi di molti, o per ancor meglio dire un posto considerato infertile e adatto perlopiù solo agli aggiornamenti di cronaca nera. Sforzo immane, quello dello chef-patron, ma con esiti eccellenti.

Nino Rossi con Rossella Audino, la signora della sala
Il
Qafiz era già da tempo un indirizzo
one to watch, per utilizzare le categorie fighe della
50Best. Ne avevamo infatti già scritto molte volte, noi ad esempio
qui, oggettivamente troppo tempo fa, e più di recente - e meritoriamente -
Fulvio Zendrini qui. Intendiamoci: non che lo snobbassimo. Era proprio una questione logistica, ossia:
stima stima stima ma
distanza distanza distanza.
Alla fine siam tornati (attenzione: riapre tra dieci giorni, il primo novembre, dopo meritate vacanze), abbiamo trovato una crescita clamorosa, inaspettata.
Qafiz è l'Aspromonte senza l'Aspromonte. Ossia: un ristorante - che funziona, ha trovato la sua strada persino durante il lockdown, non è banale sottolinearlo - legato intimamente alla propria collocazione territoriale, ne è figlio legittimo e riconosciuto; anche se sa prescindere da questa, per modi e qualità potrebbe essere altrove, ovunque, soprattutto in aree più vocate. È insomma un capolavoro di Nino, persona notevole umanamente e professionalmente.
Il paradosso finale - ma è in realtà quasi scontato in questi frangenti - è che proprio chi, come lui, si (im)pone da tempo la riflessione sul rapporto del quale stiamo parlando, quello tra fine dining e territorio (e quindi, nel suo caso, tra
Qafiz e
Aspromonte), ebbene proprio lui si preoccupi ancora e ancora dello stesso tema, non lo consideri adeguatamente risolto, mentre per noi lo è in gran parte, detto che si può sempre migliorare. Tale considerazione ci viene alla penna perché, proprio dopo aver scritto le note che leggete sopra, lo stesso chef ci ha annunciato: «Alla ripresa dopo le vacanze aggiusteremo la formula. Cercheremo di portare al
Qafiz, ovviamente alla nostra maniera, la tavola famigliare calabrese». E ancora: «Il turista avrà così modo di capire ancor meglio di quanto accadeva fino a ieri i tratti distintivi del nostro territorio; chi invece è del posto, in qualche modo li ritroverà». Il senso generale è: «Analizzare noi stessi e il nostro lavoro per capire quale giusto paradigma di fine dining si possa "incastonare" sull'Aspromonte. Al di là degli schemi che si ripetono un po' ovunque».
È un'evoluzione che Rossi sta conducendo da tempo, ma quanto già realizzato - ed è molto, come abbiamo visto - evidentemente non gli basta ancora. Gli fa onore: insomma varrà la pena tornare presto da lui.
E ora la nostra cena pre-chiusura, le foto sono di Tanio Liotta.

Ormai un classico del Qafiz, la Crème brûlée alla 'nduja, ovviamente magnifica (e molto migliorata rispetto alla nostra ultima esperienza)

Gimlet di peperone arrostito, frutto della passione e pepe sansho

Paninetto al vapore e poi fritto con caciocavallo di Ciminà, sarda piccante, polvere di foglie di limone

Wafer con maionese alla seppia, piselli e capperi

Tartelletta al guacamole (con avocado calabrese), peperone dolce, alaccia e panna acida

Pappardelle di zucchine, uova di trota, emulsione di uovo affumicato, limone candito, citronella, olio agli scalici (le foglie di cipolla)

Di gran livello questa Ostrica, cipolla di Tropea sottaceto, pistacchio, cipolla bruciata. Il lusso della semplicità, ci sono tutti gli elementi gustativi

Melanzana di Longobardi à la presse, arrostita al torchio, con salsa alla menta con verdure

Carnaroli, abete bianco, porcini

Tagliatelle, ristretto di carapaci affumicati, salmoriglio. Ricordo della grigliata di gamberoni, l'abbiamo già visto

Pesce spada, salsa all'aglio, oliva nera, cetriolo affumicato, erigeron (piante erbacee perenni appartenenti alla famiglia delle Asteraceae, originarie del Messico e del Venezuela, ma diffuse un po' ovunque)

Insalata di pomodoro: bottoni ripieni di pomodoro liquido, cipolle, olio, basilico

Bruschetta di fragole fermentate con shot di liquirizia, anice stellato e salsa ponzu

Piccione di Moncucco al bbq (1): ragù di coscia, maionese al rosmarino

Piccione di Moncucco al bbq (2): il petto, frollato tra gli 8 e i 10 giorni, con pesca, indivia, fiori di sambuco e spuma di nocciole al vermouth

Gel di limone, gelato ai ricci di mare, marmellata al finocchietto marino, polvere di alghe

Prugna di Terranova, cioccolato bianco, vaniglia, menta acquatica