Qualche tempo fa, a cena a Identità Golose Milano, Ferran Adrià lamentava la carenza di studi specifici sulla gastronomia (leggi Mille cose che ci ha detto Ferran Adrià su innovazione, cucina e futuro), il fatto che si fosse approfondito non a sufficienza la conoscenza della storia della cucina, che noi italiani - ad esempio - sapessimo poco di Apicio, o di Bartolomeo Scappi, che il catalano considera un grande. Vero, verissimo: chi scrive però gli replicò come proprio quei due autori - e non solo quei due - fossero oggetto dell'analisi di un nostro straordinario chef contemporaneo, Riccardo Camanini (si vedranno a Madrid, entrambi relatori a Madrid Fusión il 28 gennaio: inaugura Adrià, segue Ricard Camarena, quindi Mateu Casañas, Oriol Castro & Eduard Xatruch, infine appunto Camanini, clicca qui per il programma).

Riccardo Camanini a Identità Milano 2018
Già vi abbiamo raccontato lo studio dello chef del
Lido 84 sullo
Scappi (
Camanini alle origini della cucina italiana); e abbiamo citato anche i suoi primi approfondimenti su
Apicio (
Che lezione Riccardo Camanini, cuoco dell'anno 2017). Questo suo lavoro è proseguito, prima dando vita alla ormai celebre
Cacio e pepe in vescica (
qui la ricetta), poi a un altro piatto:
Rognone alla pressa, APICIUS.
Preparazione straordinaria ma tutt'altro che semplice al palato: quasi border line per via del suo condimento "antico", di derivazione latina appunto. In pratica il rognone viene cotto
à la coque intero, ossia con il suo grasso esterno (si dice
à la coque per questo: è come l'albume che racchiude l'uovo). Poi viene pulito: la parti laterali sono le più pregiate e quindi finiscono nel piatto (a margine, un purè di patate alla
Robuchon: un chilo di patate ratte ogni chilo di burro), quelle centrali più succose vanno invece nella pressa. Se ne ricava un succo che viene condito secondo la ricetta di
Apicio, tratta dal
De re coquinaria, capitolo dedicato agli
intrugli. Lì si parla di una sorta di condimento universale, "
Condito di brodo di miele da viaggio", che
Camanini realizza con fondo di faraona, senape all'antica, erba cipollina, olio extravergine, aceto, miele di Groppello, colatura di alici (ossia quanto di più simile abbiamo rispetto all'antico
garum romano).

La salsa ottenuta dalla pressa
Questa salsa è complessa, ricca, piena di spigoli, al limite del faticoso: dolce, acida, sapida, pungente. «La cucina di
Apicio è così, fatta di sferzate. Io sono stato rigoroso nel recuperare tali stimoli palatali», spiega
Camanini. Che continua: «Il
condito di brodo di miele da viaggio veniva preparato per i soldati delle colonia romane che andavano in guerra. Come anche il
garum era prodotto in Italia e poi spedito nelle province dell'Impero. Rispecchia alcune caratteristiche che sono tipiche in
Apicio, le cui salse risultano ai nostri occhi tutte molto simili: sempre ci sono il miele, l'aceto, la colatura di alici (o per meglio dire il
garum) e il
laser, un'erba ormai scomparsa, citata in 99 ricette su 100. Credo fosse una sorta di ruta, non c'è spiegato nulla, non si sa altro».
Da Wikipedia:
Il silfio (conosciuto anche come silphion o laser o laserpicio) è una pianta estinta appartenuta probabilmente al genere Ferula. Cresceva in una ristretta zona costiera, di circa 200 per 60 km, in Cirenaica (attuale Libia). Considerato in genere come una specie estinta di "finocchio gigante" (qualcuno ritiene che in realtà appartenga alla specie non estinta Ferula tingitana), rappresentava un tempo la maggiore risorsa commerciale dell'antica città di Cirene. (...)
Era ampiamente utilizzata dalla maggior parte delle antiche culture mediterranee; i Romani la consideravano "valere il suo peso in denarii". Il prodotto di valore era una resina (detta laser o laserpicium) ricavata dalla pianta. A parte i suoi usi nella cucina greco-romana (come ad esempio nelle ricette di Apicio), la pianta era utilizzata per molte applicazioni mediche. (...)
La ragione della presunta estinzione del silfio non è completamente chiara. Molte speculazioni si basano su di un presunto aumento della domanda di animali cresciuti nutrendosi della pianta, per dei presunti effetti sulla qualità della carne: il pascolo eccessivo combinato con un'eccessiva raccolta potrebbero aver provocato l'estinzione. Il clima del Maghreb è andato progressivamente inaridendosi nel corso dei millenni, e la desertificazione potrebbe essere stata un altro fattore. Un'altra teoria punta il dito contro l'avidità dei governatori della provincia romana Creta et Cyrene; la cosa sarebbe del tutto plausibile (...) Gli ultimi esemplari vennero donati all'imperatore Nerone a titolo di curiosità.

I pezzi di rognoni destinati alla pressa
Riprende
Camanini: «Sono tutti gusti molto forti. Ma c'è una motivazione specifica: erano salse che fermentavano, gli antichi romani certo non disponevano della catena del freddo. Ho letto una frase di
Cristoforo di Messisbugo (vissuto nel XVI secolo, quindi in un ambiente molto diverso, ma con dinamiche identiche,
ndr) che fa più o meno così:
se i polli puzzano, o se troverai la carne di maiale di poco gradevole profumo, li immergerai nel miele. Siamo di fronte a una cucina dagli odori, dalle fermentazioni spintissime: così era diffuso l'uso di miele e aceto, un po' camuffavano questi sentori, un po' sanificavano la carne».
Apicio inseriva nel suo
condito anche il sangue dell'uretra. «La cosa mi ha sorpreso. Allora mi sono rivolto a
Franco Cazzamali (gran macellaio,
ndr). Per quanto ne sapevo io, il rognone va scottato in padella e poi fatto scolare per un quarto d'ora così da fargli perdere l'odore fastidioso dovuto appunto all'uretra. Lui mi ha risposto:
se l'animale è allevato bene, con una crescita e un'alimentazione sane, l'uretra è pregiata, è la parte del corpo più ricca in ferro. Non è nociva, anzi è piena di componenti interessanti. Da lì mi sono detto: proviamo a rifare questa preparazione. Perché non recuperare il concetto di
Apicio, passando le parti esterne del rognone alla pressa e poi aggiungendovi le altre componenti del suo
condito? Il lavoro è stato quello di cercare il più possibile di avvicinarmi al gusto originario».
«Più leggi
Apicio, più t'accorgi che i gusti alla fine sono sempre quelli, per le ragioni che abbiamo detto, all'epoca le possibilità in cucina erano molto limitate. Inoltre, si crede che il
De re coquinaria non sia stato scritto direttamente da lui, ma dai suoi servi, che hanno raccolto alla rinfusa alcune sue ricette, facendo gran confusione. Eppure trovo straordinario leggere quel libro, ma anche il
De honesta voluptate et valetudine di
Bartolomeo Platina. Vi sono riportate cose interessanti, che a volte a noi contemporanei paiono assurde, come quando spiega le ragioni del mal di stomaco cronico dei suoi amici, attribuendolo al loro consumo di carne d'agnello. Ci si diverte in queste letture, è come chiacchierare con un cuoco di molti secoli fa, che ti spiega tecniche e idee strane. Creano però stimoli, danno spunti per l'immaginazione».

Riccardo Camanini, il suo sous Gilles Fornoni e la sbernia ricoperta di cera, a Identità Milano 2018 (foto Brambilla-Serrani)
Camanini lavora sintetizzando queste conoscenze. Così è nata, ad esempio, la spettacolare lavorazione della sbernia (ne abbiamo parlato qui,
Strepitoso Camanini: cera una volta la sbernia): «C'è stato uno spunto iniziale che è venuto dal territorio. Poi lo scorso gennaio sono andato a Berlino a vedere la mostra di
Joseph Beuys, mi hanno molto colpito i suoi lavori con la cera d'api, in blocchi enormi. Poche settimane prima, chiacchierando,
Corrado Assenza mi aveva raccontato come già in età romana il miele venisse utilizzato per conservare frutta e verdura».

Unschlitt/Tallow, 1977: è l'opera di Joseph Beuys che ha ispirato Camanini. È realizzata con il sego
Camanini ha cucito insieme: «Abbiamo avviato una ricerca su come reagisse il miele con la carne, scoprendo che ne mantiene l'umidità, quasi fosse un sigillante. E allora abbiamo unito i vari elementi», ricavandone una preparazione straordinaria. Come dice sempre
Bottura, è la conoscenza la nuova frontiera dell'alta cucina.